“L’impianto verticistico di Cosa Nostra sembrerebbe tuttora proteso verso l’accentramento delle funzioni di indirizzo e direzione in un “organo centrale” interprovinciale, sebbene l’azione di contrasto ne abbia più volte impedito la concreta ricostituzione. In tale quadro criminale, la figura più carismatica è il noto latitante Matteo Messina Denaro, attorno al quale si coagula il forte centro di potere di cosa nostra trapanese.

E’ quanto si legge nella Relazione della Direzione Investigativa Antimafia per il secondo semestre del 2014.

La “primula rossa” siciliana sarebbe tuttora impegnata, stando agli esiti dell’operazione “Eden” , a stabilire un punto di equilibrio e di sintesi tra le famiglie trapanesi e quelle palermitane più forti, per porre le basi di una possibile piattaforma d’intesa. Nonostante il diverso background strutturale – più compatto nel versante occidentale, rispetto all’asset composito dell’area orientale – le consorterie mafiose siciliane, coerentemente alla loro essenza, si muovono tendenzialmente seguendo la strategia della “sommersione”, evitando inutili e controproducenti ostentazioni di forza.

Nonostante le persistenti difficoltà che è costretta a fronteggiare, costituisce tuttora una “galassia” fortemente strutturata e pervasiva, con una spiccata territorialità nella regione d’origine ed una significativa capacità “trasversale” di condizionamento e infiltrazione dei contesti socio–politico–economici”.

L’asset verticistico–militare consente ancora all’organizzazione di assorbire la estenuante fibrillazione interclan, sebbene l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle famiglie, nonché le reggenze non unanimemente condivise potrebbero preludere ad iniziative di autolegittimazione, da parte di capi o “gruppi” alla ricerca di ruoli di maggiore spessore, anche con manifestazioni interne di violenza.

Gli assetti attuali rispondono inoltre ad una logica “di maggiore flessibilità nell’organizzazione di mandamenti e famiglie”, governate da vecchi uomini d’onore con compiti di gestione delle attività criminali di maggiore importanza ma con un ampliamento dell’autonomia e delle competenze delle più importanti articolazioni. Ma vi è anche la tendenza di molte famiglie che sembrano propendere per una più rigida compartimentazione, nell’intento di ridurre al minimo la dispersione d’informazioni di valore significativo per la sopravvivenza del sodalizio, attraverso differenziati livelli di accesso alle stesse, anche in ambito carcerario, sia pure come forma di reazione alle numerose collaborazioni con la giustizia, dolente nervo scoperto dell’organizzazione.

La permanenza in carcere non inficia l’autorevolezza degli ordini provenienti dal circuito penitenziario, che costituisce una sede “remota” dalla quale alcuni boss continuano a pieno titolo ad esercitare – sebbene per interposta persona – le loro prerogative. Anzi, la precarietà dell’attuale equilibrio potrebbe essere ulteriormente incrinata dalla fine del regime carcerario speciale, nonché dalla scarcerazione di alcuni di essi i quali, tornati sul territorio, potrebbero riconsiderare l’opportunità di una rivitalizzazione della struttura militare.

Ciò sarebbe in sintonia anche con la maggiore inclinazione a suggellare alleanze e ad intraprendere collaborazioni, sia tra le varie anime (famiglie o clan) di cosa nostra, sia con altre organizzazioni criminali, in particolare, con camorra e ‘Ndrangheta.

Sul fronte orientale è stato rilevato il tentativo di alcuni esponenti dei maggiori clan di Catania di accreditarsi – con fughe in avanti – ai responsabili dei mandamenti palermitani più rappresentativi, quali nuovi referenti di cosa nostra catanese. E In questo clima, un dato da non sottovalutare è il sistematico rinvenimento, a Catania come anche nel resto della Sicilia centro–orientale, di arsenali di armi, anche da guerra.

Tra le principali voci attive del bilancio mafioso permangono ancora gli introiti – in contante o sotto forma di servizi – provenienti dal racket delle estorsioni, piaga particolarmente virulenta in alcune aree, in quanto diretta espressione del potere criminale e della forza delle consorterie sul territorio.

Palermo costituisce, per la Sicilia Occidentale, un vero e proprio hub di cosa nostra, in grado di influire sulle principali attività illecite, nonché sulle dinamiche sociali ed economiche, anche del resto dell’Isola.

Gli odierni assetti della mafia palermitana rappresentano l’esito di un persistente processo di trasformazione delle cosche radicate su quel territorio, impegnate nella rimodulazione degli schemi organizzativi, al fine ultimo di conferire stabilità a una struttura di vertice, rispondente alle regole che storicamente l’hanno contraddistinta. Per tale ragione la tradizionale, ma non più rigorosa, articolazione territoriale in famiglie e mandamenti sembrerebbe orientata a riconsegnare alle prime una rinnovata autonomia operativa e, per quelle più influenti, un ampliamento delle competenze territoriali. Permangono le criticità connesse all’affermazione di nuove leaderships che devono essere riconosciute e accreditate tra i sodali.

Nella provincia il profondo “legame di sangue” e l’autorità del capofamiglia non viene meno neanche se questi è detenuto per scontare lunghe condanne.

Le più recenti acquisizioni investigative” mostrano il territorio palermitano suddiviso in 14 mandamenti e 78 famiglie.

Tra questi, negli 8 mandamenti che insistono sul territorio cittadino risultano incardinate 33 famiglie, alcune delle quali sembrerebbero aver assunto un ruolo di riferimento anche per le altre province siciliane.

Le significative “emigrazioni agrigentine” verso altri Paesi delle Americhe e dell’Europa hanno, di fatto, portato alla costituzione, in territorio straniero, di vere e proprie colonie di compaesani, all’interno delle quali si sono prodotti aggregati delinquenziali aventi caratteristiche analoghe a quelle mafiose, divenuti poi punti di riferimento allorquando le attività criminali hanno assunto una connotazione di tipo transnazionale (ciò, soprattutto, per quanto attiene al traffico delle sostanze stupefacenti”). Si può affermare che le consorterie mafiose della parte occidentale della provincia si sono nel tempo proiettate verso Paesi dell’America del Nord (U.S.A., Canada e, seppure in minima parte, verso Venezuela e Brasile), mentre quelle della parte orientale verso Paesi del Nord Europa (Germania, Belgio).

Le estorsioni” costituiscono la principale forma d’intervento con cui i sodalizi agrigentini esercitano la pressione sul territorio e rappresentano ancora la tipologia delittuosa più ricorrente e redditizia.

Il territorio trapanese permane sotto il rigido ed esclusivo controllo di cosa nostra, organizzata secondo il classico schema ge-rarchico verticistico di famiglie (17) e mandamenti (4), senza consentire alcuno spazio per dinamiche criminogene antagoniste.

Una posizione centrale nel panorama provinciale è stata assunta, nel tempo, dal mandamento di CASTELVETRANO, oggetto anche nel semestre di riferimento di un’attività d’indagine (op. “Eden Il””, seguito della omonima operazione “Eden”) che ha ulteriormente dimostrato l’incidenza del noto Matteo MESSINA DENARO sulle dinamiche criminali della provincia di Trapani, nonché il costante sforzo degli affiliati, in primis i parenti più stretti, nel reperire fondi per sostenerne lo stato di latitanza.

Il panorama esaminato evidenzia come gli interessi della criminalità organizzata, già emersi nel business della grande distribuzione e delle energie alternative, abbiano contaminato anche i settori dell’edilizia (produzione di calcestruzzo e movimento terra) e dell’agroalimentare. Le estorsioni, i cui proventi sono destinati prevalentemente al mantenimento di detenuti e delle rispettive famiglie, continuano a rappresentare una delle forme primarie di approvvigionamento illecito di cosa nostra trapanese.

Resta preminente la presenza di cosa nostra, nella storica suddivisione nei mandamenti di VALLELUNGA PRATAMENO, MUSSOMELI, GELA e RIESI, mentre l’influenza delle cosche stiddare è concentrata nelle aree di Gela e Niscemi. La convivenza tra le due organizzazioni sembra ormai stabilizzata in un’equa ripartizione degli illeciti guadagni e resiste l’antico accordo operativo che consente di conservare, malgrado i successi conseguiti dallo Stato e le defezioni tra le fila degli associati, un alto tasso di pressione e di criminale influenza su tutte le attività economiche del territorio.

Nella medesima zona sono presenti gruppi di soggetti “minori”, operativamente attivi e legati a personaggi del sottobosco mafioso, pericolosamente disponibili a compiere azioni funzionali alla consorteria committente.

Permane l’interesse della criminalità associata verso i settori tradizionali del controllo del gioco d’azzardo e dei videogiochi, la gestione delle sale scommesse e il sempre redditizio traffico illegale degli stupefacenti. In relazione al narcotraffico, emerge che i canali di rifornimento sono collegati ad altre aree territoriali e organizzati da personaggi non necessariamente e direttamente riconducibili ai gruppi criminali presenti sul territorio.

La realtà criminale della provincia di Enna continua a vivere una fase di transizione determinata dall’assenza di una vera e propria guida operativa, ove taluni personaggi provenienti dall’area catanese, da sempre interessati al controllo della provincia, stanno provando ad esercitare una particolare pressione sul territorio, allo scopo di ricompattare le fila dell’organizzazione, decimata a seguito degli arresti e delle indagini che, nel tempo, si sono susseguiti.

Tale riorganizzazione ha portato alla riconquista del territorio da parte delle organizzazioni mafiose locali ed al contenimento dell’influenza delle consorterie delle province limitrofe che, in anni passati, giovandosi del vuoto di potere locale esstente, avevano creato una sorta di “protettorato”, specie nelle zone ennesi confinanti con territori a più alta densità criminale dei territori catanese e messinese.

Il fenomeno criminale nella provincia di Catania, nel semestre in esame, non risulta caratterizzato da tratti innovativi. La famiglia di cosa nostra catanese e gli altri sodalizi malavitosi, seppur colpiti da ulteriori operazioni di polizia, continuano a gestire i propri affari in maniera silenziosa, fatta eccezione per la zona comprendente i Comuni di Paternò, Adrano e Biancavilla, dove permane una situazione di forte fibrillazione, a seguito di una conflittualità interna al clan “TOSCANO-MAZZAGLIA” che ha recentemente determinato una serie di omicidi”, limitati, da ultimo, dalla costante attività investigativa.

L’assetto della criminalità organizzata della provincia etnea, e soprattutto quello del capoluogo, non è monopolizzato da cosa nostra, che continua a intrattenere rapporti stabili e duraturi con le altre famiglie dell’isola.

Infatti, altri clan catanesi da tempo hanno ampliato le proprie sfere di influenza nelle province limitrofe (Siracusa, Enna, Ragusa e Messina), sia per quanto attiene il mercato degli stupefacenti, sia per il controllo di altre attività quali: mercati ittici ed ortofrutticoli, negozi, supermercati, ecc..

Inoltre, la recente volontà di esponenti dei clan maggiori (CAPPELLO-BONACCORSI e LAUDANI) di accreditarsi nei confronti dei responsabili dei mandamenti più rappresentativi di cosa nostra palermitana, quali nuovi referenti di cosa nostra catanese, lascia pensare che gli equilibri nel contesto criminale etneo siano più precari di quanto possano apparire.

I gruppi criminali attivi nella provincia di Siracusa stanno attraversando una fase di lenta riorganizzazione mediante il reclutamento di nuove leve da affiliare.

Alcuni esponenti dei clan, liberati dopo aver scontato lunghe pene, sono tornati nuovamente in carcere in esito all’avvio di nuove indagini.

Le locali organizzazioni mafiose, legate ai valenti sodalizi catanesi, risentono fortemente dello status dei loro vertici, alcuni sottoposti ad un lungo periodo di detenzione, altri rimessi in libertà.

In particolare, i clan NARDO e TRIGILA, federati alla famiglia mafiosa catanese SANTAPAOLA-ERCOLANO, risultano rispettivamente ridimensionati dalla recente cattura di elementi di spicco.

Viceversa il gruppo URSO-BOTTARO-ATTANASIO potrebbe prendere vigore a seguito della recente scarcerazione, dopo un lungo periodo detentivo, del soggetto considerato il reggente del sodalizio criminale in questione.

Detto clan risulta particolarmente attivo nel settore dello spaccio di stupefacenti e delle estorsioni, grazie anche ai tradizionali buoni rapporti che lo stesso mantiene con il gruppo CAPPELLO di Catania. Nella provincia di Siracusa, oltre alle estorsioni, è proprio la gestione degli stupefacenti che costituisce il principale canale di approvvigionamento che i clan aretusei utilizzano per rifornire di denaro le loro casse e per il mantenimento delle famiglie dei detenuti.

“Nel territorio ibleo da sempre sono stanziali organizzazioni mafiose riconducibili, in particolare, alla Stidda, soprattutto a Vittoria, Comiso e Scicli”.

Inizia così la Relazione del secondo semestre 2014 della Direzione Investigativa Antimafia sulla Provincia di Ragusa.

La Relazione Dia conferma ciò che noi scriviamo da tempo, ma vediamolo nello specifico.

La cosa più preoccupante è il “ritorno sul territorio di alcuni esponenti apicali” su tutti, probabilmente, Claudio Carbonaro.

A testimonianza di ciò la DIA scrive: “Permane la presenza del gruppo criminale stiddaro, denominato Carbonaro-Dominante, storicamente in contrapposizione al clan Piscopo, legato alla famiglia gelese degli Emmanuello.

Per quanto riguarda gli interessi dei clan, la Dia è chiarissima: “rimane l’interesse, da parte di esponenti legati alla Stidda, a monopolizzare i settori della lavorazione ed imballaggio dei prodotti terricoli, delle onoranze funebri delle apparecchiature per la distribuzione automatica di alimenti e bevande e dei centri scommesse (anche sul tema tempo fa abbiamo realizzato un approfondimento,tutte attività volte ad occultare reati di estorsione e riciclaggio”.

“Rilevante – scrive ancora la DIA – appare, inoltre, il fenomeno della guardiania, imposta in forma estortiva ai numerosi imprenditori agricoli presenti sul territorio”.

LA DROGA:

“Strategico rimane per i clan mafiosi il traffico e lo spaccio di stupefacenti che viene operato in tutta la provincia, anche con il coinvolgimento di soggetti di nazionalità nord africana ed albanese”.

La Dia chiarisce anche l’omicidio del boss della ‘Ndrangheta,Michele Brandimarte.

Il traffico di stupefacenti avrebbe determinato contatti tra i clan di Vittoria e il gruppo ‘ndranghetista dei Piromalli – Molè”.

Così la Dia ricorda che “il 14 dicembre del 2014 al Commissariato di Gioia Tauro si è costituito un soggetto (Domenico Italiano) confessando di aver ucciso a Vittoria un pregiudicato (Michele Brandimarte) per reati inerenti allo spaccio di stupefacenti ed affiliato alla cosca Piromalli – Molè”.

SCICLI:

A Scicli si registra – spiega la Dial’affermazione di un gruppo criminale riconducibile a Cosa Nostra catanese (Famiglia Mazzei) che opera nel settore della droga e delle estorsioni, dimostrando, altresì, una straordinaria capacità d’infiltrazione nella Pubblica Amministrazione”.

Scicli, infatti, va ricordato che sia un comune sciolto per mafia.

IMMIGRAZIONE:

In Provincia di Ragusa approdano, sempre più, le criminalità “transnazionali”.

Per la Direzione Investigativa Antimafia, infatti, “le associazioni criminali internazionali, composte da soggetti stranieri e suddivise in cellule, operano sia sul territorio nazionale che in altre nazioni.

Il basso profilo criminale mantenuto – sempre secondo la DIA – lascia presagire che le rotte e le strutture logistiche, possano essere utilizzate anche per altri traffici illegali, quali quello legato alla esportazione della valuta, agli stupefacenti ed alle armi”.

Il panorama delle organizzazioni mafiose della provincia di peloritana non ha subito cambiamenti rispetto al quadro delineato nel semestre precedente, data la presenza di distinte aree d’influenza nell’ambito delle quali operano altrettante strutture criminali di tipo mafioso, ciascuna con caratteristiche proprie ma accomunate dalla rilevante capacità di condizionamento delle attività imprenditoriali ivi insediate, nonché dell’operato della Pubblica Amministrazione”.

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Paolo Borrometi via laspia.it