esodo-420x279La Nato interverrà in Libia sotto l’egida delle Nazioni Unite ed a guidare la forza di pace sarà l’Italia. Tripoli è in fiamme, a Bengasi si insedia l’emirato islamista, petrolio e gas stanno per cadere nelle mani delle milizie jahidiste, dai 1200 chilometri di costa libica partono ogni giorno migliaia di immigrati clandestini, il 96 per cento del totale. Mare Nostrum, l’operazione umanitaria italiana, piuttosto che scoraggiare i mercanti di morte, ha reso il loro affare più lucroso e facile. Sono state salvate quasi centomila vite umane, ma il prezzo è alto: si rischia di regalare ai predoni la frontiera nordafricana e creare una testa di ponte islamista verso l’Europa, dando significato alle deliranti profezie dell’Isis, pronunciate dopo la proclamazione del califfato iracheno.

La minaccia per l’Europa si è fatta seria, la svolta “afghana” nel Mediterraneo non fa dormire la notta molta gente, non solo le grandi compagnie petrolifere italiane ed europee che hanno radici in Libia con le loro raffinerie. Nessuno più si può sentire sicuro, confidando nella protezione, insicura e costosissima, di una o più fazioni miliziane. L’Italia è in prima linea, la Sicilia ancora di più, perché è sulle coste siciliane che arrivano i profughi, il gas, il petrolio, ed è in Sicilia che sono ospitate le basi militari della Nato e degli Usa.

L’Italia proporrà un intervento in stile libanese, concordato con le parti in conflitto, e potrà contare sul consenso degli Stati Uniti e, assai probabilmente, dell’Egitto. Il 4 ed il 5 settembre nel corso il meeting della Nato avrà in agenda, al primo posto, proprio la Libia. A quell’appuntamento si dovrebbe andare dopo una trattativa con l’Onu. Nei prossimi giorni la proposta italiana, infatti, dovrebbe essere illustrata al segretario generale, Ban Ki-Moon, cui verrà chiesto di inviare immediatamente un inviato speciale dell’Onu a Tripoli. L’Italia ha mantenuto aperta l’ambasciata, unico paese occidentale, il nostro Paese conta in questo modo di mantenere sul posto i collegamenti con le parti in conflitto. Sono almeno sei le fazioni che si combattono, quattro delle quali si richiamano all’islamismo fondamentalista, pur essendo divise fra loro; poi c’è una milizia moderata di impronta laica ed una legata a una fede religiosa non proprio definita.

Ma c’è chi ritiene che le parti da pacificare siano molte di più e che sia tremendamente complicato mettere d’accordo centinaia di comunità, le tribù indipendenti, tutte dotate di armi.

“Non si può perdere altro tempo, bisogna intervenire presto in Libia”, ha detto chiaro e tondo Matteo Renzi nel corso della sua visita-lampo al Cairo, e pare che abbia ricevuto un sostanziale consenso dal vertice egiziano. Il premier ha sostenuto che il problema dell’immigrazione clandestina si può risolvere solo con la stabilizzazione del paese nordafricano, “dove i contrabbandieri di armi, i mercanti di essere umani ed i terroristi possono fare quel che gli pare e piace”. Al Sisi, il presidente egiziano, ha dato ragione a Renzi, ma ha osservato che “per combattere il terrorismo e l’emigrazione bisognerebbe però prima sconfiggere la povertà nel mondo”. Il capo del governo italiano, pur convenendo con Al Sisi, ha espresso le sue intenzioni in modo inequivocabile. “Il Mediterraneo non è la frontiera dell’Europa, ma il cuore dell’Europa”. Una svolta nella politica estera italiana.

Le volontà del governo italiano sono confermate dalle dichiarazioni rese dal presidente della commissione Difesa, Nicola Latorre, secondo il quale “la situazione in Libia ha raggiunto un punto limite, serve perciò un intervento sotto l’egida dell’Onu – ha aggiunto Latorre – una presenza militare vera che risponderebbe ad una richiesta di aiuto da parte del governo libico, già arrivata nei giorni scorsi”.

Regole d’ingaggio molto chiare: “Il disarmo delle milizie e la sconfitta delle bande criminali”.Naturalmente, avverte Latorre, occorre un pronunciamento del consiglio di sicurezza dell’Onu che conceda il via libera alla forza di pace. La Nato dovrebbe, infine, decidere in quale modo contribuire al successo della missione. “Non stiamo immaginando un intervento stile Iraq, ha precisato Latorre, ma il modello Libano, dove oggi i soldati italiani garantiscono la pace con il consenso di tutte le parti.

– Salvatore Parlagreco

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