La scelta del greco come seconda materia scritta agli esami di maturità ha aperto un dibattito da menti oziose sul tema se sia più facile tradurre dal greco o dal latino. Diciamo subito che nella scuola del rigore, quando l’alba ci sorprendeva sulle sudate carte e non all’uscita dalla discoteca, gli studenti più bravi traducevano direttamente dal greco in latino, per l’affinità sintattica tra le due lingue, per la germinazione l’una dall’altra, per la contaminazione tra le due culture, di cui quella italiana è figlia.
Greco o latino non è un problema di difficoltà generiche ma di singoli scrittori, dei loro stili peculiari e delle loro problematiche. Un mondo apparentemente ingenuo e intellettualmente poco sofisticato come quello omerico può considerarsi facile da tradurre in italiano, più arduo rendere la complessità della filosofia platonica. Allo stesso modo ci sono scrittori latini relativamente accessibili come Seneca, e altri molto ostici come Tacito con le sue espressioni ellittiche.
Comunque ai tempi che furono uno studente catanese, destinato a una brillante carriera universitaria come filologo, insistendo a tradurre agli esami direttamente dal greco al latino fece indisporre a tal punto il professore da essere punito con un modesto sei invece del dieci e lode a cui aspirava. Storie d’altri tempi. Ora latino e greco sembrano estranei al nostro mondo ipertecnologico, mentre in realtà costituiscono ancora il tessuto connettivo del nostro modo di pensare.

SALVATORE SCALIA su La Sicilia di oggi

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