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C’è un piccolo pezzo di Catania, e di catanesità, anche a Parigi. E non certo per l’enorme quantità di turisti che ogni giorno arrivano nella Ville Lumière, quanto perché c’è stato un momento, quasi due secoli fa, in cui le loro strade culturali, così distanti geograficamente e sociologicamente l’una dall’altra, si sono incrociate: Parigi è la città che ha accolto nell’ultimo anno di vita Vincenzo Bellini, ne ha acclamato l’ultima opera e se lo è conteso nei salotti più ambiti; è la città che ne ha accompagnato il feretro al funerale a Des Invalides e poi fino al cimitero monumentale di Père-Lachaise.

Ecco, in quel cimitero che è un pezzo della storia di Francia e dell’Umanità, con due secoli di tombe illustri, da quelle (traslate) di Eloisa e Abelardo a quella di Jim Morrison, passando per Molière, Honoré de Balzac, Georges Bizet, Oscar Wilde, Guillaume Apollinaire, Marcel Proust, Francis Poulenc, Edith Piaf, Maria Callas, Yves Montand, Michel Petrucciani, Gilbert Bécaud, c’è anche una tomba ormai vuota che ci appartiene, appartiene alla memoria condivisa di Catania e dell’Italia: è quella dove il corpo di Vincenzo Bellini restò sepolto per 41 anni prima che il comune di Catania, non senza difficoltà, riuscisse nel 1876 a riportare in patria il suo illustre concittadino e a dargli sepoltura nel tempio cattolico più importante della città, la Cattedrale dedicata a Sant’Agata.

Nonostante sia “disabitata” da quasi 138 anni, la tomba è sempre lì, muta testimone, a pochi passi da quelle di Frederic Chopin e di Luigi Cherubini, nell’11° settore; ma, a differenza di queste, appare in stato di abbandono. “Normale”, si potrebbe pensare, visto che è vuota. Ma non è così, se solo si pensi che la tomba di Gioachino Rossini, nel viale centrale del cimitero, è anch’essa “disabitata” dal 1887 da quando, 19 anni dopo la morte, le spoglie vennero traslate a Santa Croce, a Firenze, ma è in perfetto stato di conservazione.

Le foto di appena qualche giorno fa sono lì a dimostrarlo: ancora dignitosa quella di Rossini, annerita in molte parti e aggredita dal muschio quella di Bellini. Chi dovrebbe pensare alla sua manutenzione? Non si sa, d’altronde di legittimi proprietari pare non ce ne siano più. Forse la città di Parigi. Ma non è detto. Quando nel 1990 Catania si apprestava a celebrare i cento anni di vita del suo più importante teatro, peraltro dedicato proprio a Bellini, la città il problema se lo pose e lo risolse a suo modo: fece restaurare la tomba con fondi propri e del teatro, restituendo alla pietra il suo bianco abbagliante e al simbolo che rappresenta la sua dignità. Da allora, è passato quasi un quarto di secolo, più nulla. Ed è normale che la tomba sia nuovamente in condizioni da meritarsi un nuovo restauro, reso peraltro più urgente da un leggero smottamento del terreno circostante che l’ha piegata lievemente sul lato destro. Ma chi deve farlo? Potrebbe oggi, come 24 anni fa, intervenire Catania? 

 Eppure, andando da un quartiere all’altro, da una zona all’altra della città, Parigi non ha mai (non ancora?) dimenticato Bellini, anche se comincia a mostrare segni di una demenza senile. Già dal 1864 una strada del 16° Arrondissement si chiama Rue Bellini. Ma è dall’altro lato del fiume, ai piedi dei grattacieli vetro e acciaio della Défense, che i segni sono più concreti e visibili. Qui non è Parigi, dal punto di vista amministrativo, ma Puteaux, comune di 40mila abitanti che ormai però appare come uno dei quartieri della Capitale francese.E’ la località dove, il 23 settembre del 1835, Bellini morì quando non aveva ancora 34 anni ed era nel pieno della sua luminosa carriera artistica: allora qui c’era una villa a due piani immersa nel verde; a metà del XX secolo è però scomparsa per fare spazio ad uno degli avamposti della selva di grattacieli che oggi dominano quella zona. Al suo posto, infatti, dal 1957 c’è un enorme palazzone di 16 piani e di 58 metri d’altezza. Tutte intorno al palazzone di Puteaux, tracce della memoria di Vincenzo Bellini ci sono ancora: la strada, anzitutto, si chiama Rue Bellini; il quartiere si chiama Quartier Bellini. E poi qui è un pullulare di Restaurant Bellini, Brasserie Bellini, Pharmacie Bellini, perfino il palazzone si chiama Residence Bellini e, sul fianco privo di aperture che affaccia su Rue Bellini, una enorme immagine del Cigno – con date e luoghi di nascita e morte e i titoli delle sue principali opere – sottolinea il perché quella zona si chiami proprio così.

Tracce, ma non complete e, ormai, diventate un po’ meno tracce; perché fino agli anni Novanta al posto di quella immagine c’era una enorme lapide che annunciava ai visitatori l’ingresso nel Quartier Bellini e sottolineava che proprio lì, in quel punto, c’era stata la casa dove “il compositore siciliano de Catane autore di melodie immortali” era morto. Tutt’intorno, oggi non c’è più lo sfavillante ambiente di qualche anno fa, ma un progressivo degrado, probabilmente dovuto al fatto che questa zona è ormai la più lontana dal cuore del quartiere finanziario della Défense, proprio ai piedi dell’enorme e spettacolare spianata che guarda verso Parigi e l’Arco di trionfo, un luogo che è soltanto poco più che di passaggio tra il futuro e il passato di Parigi.

Père-Lachaise, Puteaux, Quartier Bellini. Tracce, che cominciano a sbiadire, che pian piano rischiano di svanire. Magari qualcosa si può fare. Dalla Francia, certo, ma forse anche dalla lontana Catania.