Un anno fa il presidente della Provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, organizzò il viaggio della «Freccia rotta» da Catania a Palermo per mettere polemicamente a raffronto le tre ore da Milano a Roma della «Freccia rossa» e le 5 ore e passa per coprire la tratta tra le due principali città siciliane. Un inviato del quotidiano La Sicilia ha rifatto il percorso per constatare, ove ce ne fosse stato bisogno, che non è cambiato nulla, anzi il servizio è peggiorato. A bordo c’erano 7 persone. Del resto chi prende un treno che ci sta più del doppio del tempo di un’auto o di un bus?
Era stato promesso che, essendo stati reperiti 30 milioni, sarebbero entrati in servizio i «pendolini» e che la distanza tra Catania e Palermo sarebbe stata dimezzata a 2 ore e 40, abolendo anche qualche fermata. I «pendolini» non si sono visti, pur essendo stati acquistati a suo tempo e messi «in garage», e i tempi di percorrenza sono rimasti gli stessi. Siccome il servizio ferroviario umilia i siciliani e dovrebbe umiliare anche i vertici di Rfi, è il momento di chiarire con loro quali sono i programmi per la Sicilia. Se non arriva la Tav, alla quale non rinunceremo mai, almeno dateci un servizio non da terzo mondo.

CATANIA-PALERMO. «Da dove vuoi partire?». Catania. «Dove vuoi arrivare?». Palermo. «Quando vuoi partire?». Un giorno feriale di metà gennaio, un anno dopo l’iniziativa di proposta e protesta felicemente battezzata “Freccia rotta”, che accese i riflettori sull’arretratezza del collegamento ferroviario tra le due maggiori città della Sicilia. Sì, a distanza di dodici mesi vogliamo ripetere lo stesso viaggio. Ma stavolta in anonimato, per capire se quella marcia di politici, sindaci e amministratori abbia avuto qualche esito. Il nostro percorso comincia dal sito delle Ferrovie dello Stato e rispondiamo alle domande del sistema Internet per verificare se quel collegamento sia stato mantenuto e se abbiamo alternative convenienti. Seconda ipotesi scartata, perché la soluzione precedente, via Messina, dura 50 minuti in più e costa quasi il doppio. Scegliamo allora di partire alle 9.23 da Catania. Come un anno fa. Come chiunque avesse un appuntamento di lavoro o un impegno personale dall’altro lato dell’Isola. Come un viaggiatore che preferisse il binario alla strada.
Qualche minuto dopo le 9 di un giorno feriale di metà gennaio, entriamo in stazione. Molta gente arriva, poca quella in partenza. Alla biglietteria diciamo di dovere andare a Palermo con il treno delle 9.23. L’addetto ci guarda un po’ stranito, comprensibilmente. «C’è un cambio, vero?». «No, ne deve fare due». D’altronde, era scritto sul sito ed è stampato anche sul biglietto. «Sono 12 euro e cinque centesimi». Abbiamo il tempo per andare in edicola e comprare un quotidiano: è un viaggio lungo e bisogna attrezzarsi. Per il resto, ci siamo premuniti: libro e riviste, panino e bevande sono già nello zaino. Al binario due ci attende il treno 8661 con destinazione Caltanissetta centrale: dovremo scendere alla fermata precedente, Caltanissetta Xirbi, per il primo cambio. Il fiammante locomotore è già in moto e, quando non sono ancora le 9.15, saliamo a bordo. Esibiamo il “titolo di viaggio” al controllore, che fa presto a chiedere a tutti e sette i passeggeri. Compreso un immigrato africano, che però ha il biglietto per Siracusa: «Deve scendere e fare quello giusto», gli intima l’uomo in divisa Fs. Ma lui resta seduto al suo posto.
Sono le 9,26: con tre minuti di ritardo, fischiando, il treno lascia la stazione di Catania centrale già meno affollata rispetto a un quarto d’ora prima, sfiora il traffico sopra gli archi della marina, in un baleno sguscia via dal centro della città. Trenitalia ci augura buon viaggio. Nel nostro scompartimento siamo in cinque, in fondo si è isolato un tizio, davanti insieme con alcuni dipendenti Fs c’è un altro passeggero. Ci fermiamo alla stazione di Bicocca, deserta, alle 9.35 e stiamo fermi dieci minuti. Nessuno scende, nessuno sale. Si riparte. Un ragazzo, probabilmente uno studente, è il primo dei nostri compagni di viaggio ad abbandonarci: scende a Catenanuova quando sono le 10 e sette minuti. Per qualche chilometro “corriamo” parallelamente all’autostrada, dalla quale ci separano distese di coltivazioni. Superiamo Libertinia, salutiamo a destra un simpatico gregge di pecore, sopravanziamo a sinistra imponenti impianti eolici. Annunciata da filari di fichidindia, alle 10.27 ecco la stazione di Dittaino: brevissima fermata. Nessuno scende, nessuno sale. Si riparte. Pochi minuti dopo eccoci a Leonforte, dove invece imbarchiamo ben cinque passeggeri, tutti giovani, che attendevano sotto l’ombrello visto che le aree della stazione non sono coperte.
Ripartiti, usiamo la “ritirata”. Diremo che è sobria (per esempio, manca lo specchio) e anche un po’ ristretta (il lavabo, per dire, misura due palmi di mano). Ma almeno pulita: non può che essere preservata dal limitato afflusso, dal momento che l’acqua non funziona. Il tizio in fondo si è intanto addormentato abbandonandosi, più o meno comodamente, sui sedili.
Il locomotore arranca nella salita che porta su fino a Enna. Dove arriviamo alle 10.45, con dieci minuti di ritardo, come avverte inesorabile il tabellone luminoso che scorgiamo tra i binari della stazione. Recuperiamo ripartendo immediatamente e raggiungiamo Villarosa alle 10.57. Il controllore scambia due battute con un collega. Nessuno scende, nessuno sale. Ripreso il viaggio, ci aspetta la nostra prima fermata: Caltanissetta Xirbi. È il luogo del cambio, il momento della verità: chi va a Palermo deve scendere qui e attendere la prima delle due coincidenze. E infatti siamo soli a lasciare il treno 8661. Lo saremo per un bel po’, visto che ripartiremo alle 12.38 e sono appena le 11.15.
La biglietteria automatica è guasta: “Attenzione non inserire banconote e/o monete” è l’ammonizione scritta con un pennarello dai tratti ormai sbiaditi. La stazione è deserta, i bagni chiusi, la sala d’attesa completamente vuota. Gettiamo qualche carta per dare un senso al cestino dei rifiuti ancora immacolato e ci mettiamo a leggere sul sedile. Oltre i vetri della sala d’attesa sfila un operaio delle Fs, seguito da un cane fradicio. Il primo campanello che annuncia il passaggio di un qualche treno trilla alle 11.26, poi più nulla fino alle 12.29, quando si presenta il treno 8699 per Roccapalumba Alia, proveniente da Caltanissetta centrale. C’è vita, lì dentro: è un mezzo più moderno e confortevole, un Minuetto, affollato soprattutto di studenti che tornano in paese. Ci muoviamo puntualmente. All’esterno ci sono 9 gradi, avvisa il display nella carrozza, che ci comunica anche la temperatura interna (16 gradi) e la velocità raggiunta (86 km/h). Diamo un’occhiata intorno: i passeggeri saranno una trentina. I primi scendono a Villalba, poi a Vallelunga e Valledolmo. La temperatura interna è salita a 20 gradi, mentre la velocità in galleria è calata fino a 25 km/h. La maggior parte dei viaggiatori si ferma a Roccapalumba Alia, dove arriviamo alle 13.30, quasi in punto, e dove altri aspettano il treno 3897 delle 13.35 per Palermo centrale, proveniente da Agrigento. Ma il “dirigente movimenti” avverte il gruppetto e poi annuncia al microfono: quel treno è stato soppresso e sostituito con un’«autocorsa», che si fermerà «nel piazzale antistante la stazione».
Sconforto, rabbia e rassegnazione. Poi si forma un capannello, i pendolari si consultano, un dubbio è da sciogliere: prendere il bus o attendere il passaggio del treno successivo? «La Agrigento-Palermo a scorrimento veloce è pericolosa, specie con questa pioggia». «Ma farà la strada interna attraverso i paesi e impiegherà molto più tempo». Insomma, si conclude, meglio aspettare un’ora e salire sul treno successivo. «E io, che avevo lasciato la macchina a Villalba per evitare di mettermi in strada con questo tempo!». «Pazienza». Già, soprattutto per quel poverino che deve prendere a Termini Imerese l’intercity per Bologna alle 15.03 e che invece delle 14.01 arriverà alle 15.01. Preoccupato, comunica il problema al capostazione, che si mostra comprensivo e gentilmente chiede ai colleghi di Termini di aspettare i passeggeri provenienti da quest’altro treno, prima di dare il via all’intercity. In sala d’attesa, inevitabilmente, il discorso cade sulle condizioni di ferrovie e strade, sul ponte sullo Stretto, sugli autobus. Occupiamo parte del tempo della sosta con il pranzo, consumandolo abbastanza lentamente. Il dilemma dei pendolari è intanto sciolto dallo scorrere del tempo: quando l’altoparlante annuncia l’arrivo della coincidenza successiva, dell’autobus ancora non c’è traccia. Eccolo, il nostro treno, il 3899: puntuale, riparte invece un paio di minuti oltre l’orario previsto. Nell’attesa, due insegnanti di ritorno da scuola si lamentano: il giorno prima, la soppressione era stata in senso inverso, da Palermo. «Vuol dire che dobbiamo ricominciare a scrivere», commenta quella più indispettita.
L’ultima tratta della nostra odissea dura poco meno di un’ora: superiamo Montemaggiore e Cerda, arriviamo sulla costa e a Bagheria il treno corre. Quando calpestiamo il pavimento della stazione centrale di Palermo, le lancette dell’orologio segnano le 15.35. Percorsi poco più di 200 chilometri, presi tre diversi treni, effettuati due cambi con un’attesa di oltre due ore, dalla partenza sono passate sei ore e 12 minuti: un anno fa alla comitiva in marcia, senza disagi aggiuntivi, ne bastò una in meno. Lo stesso tempo avremmo impiegato ora, se non avessimo “beccato” una cancellazione. Ma tant’è: “Freccia rotta” è sempre con noi. Anzi, se possibile, è ancora più rotta.

Orazio Vecchio sul quotidiano La Sicilia del 18/01/2010

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