Il clan Scalisi era in guerra. Una faida intestina che sarebbe servita a fare pulizia interna. Non sono i sanguinari anni ’90, era il 2014. Un’estate da far west ad Adrano: sicari pronti a sparare, anche a pochi metri dal commissariato di Polizia. L’obiettivo da eliminare sarebbe stato Francesco Coco, esponente dello stesso clan che – a dire del pentito Gaetano Di Marco – avrebbe “creato un gruppo autonomo sganciato dalla famiglia Scalisi ma sempre rientrante nel gruppo dei Laudani di Adrano”. Il progetto di sangue però sarebbe fallito. I retroscena del tentato omicidio – mai denunciato – emergono dagli atti dell’inchiesta che vede indagati Giuseppe Scarvaglieri, boss indiscusso della famiglia Scalisi, Alessio La Manna e Alfredo Bulla, rispettivamente nel ruolo di mandante per il primo e di sicari per gli altri due. Sono le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia nel 2016 a far aprire alla Dda di Catania un fascicolo. Partono accertamenti, sopralluoghi ed intercettazioni. Le cimici captano la paura nella voce dei sospettati.

Il primo a parlare del progetto di uccidere Francesco Coco è Gaetano Di Marco. Il pentito racconta di diverse missive ricevute da Scarvaglieri dal carcere. Il boss avrebbe dato l’ordine di eliminare Coco già dal 2012, ma poi i diversi blitz avevano provocato profonde ferite al clan e l’agguato sarebbe stato posticipato. “Quando fu scarcerato Maccarrone si cominciò a parlare dell’omicidio di Francesco Coco (inteso “Cerasaro”)”, racconta Di Marco ai pm. “In questa lettera a me indirizzata – specifica il pentito – c’era scritto con linguaggio criptico che bisognava prendere le biciclette (intendendo le pistole due o tre) per fare pulizia”. E’ Francesco Musumarra, detto Cioccolata, a fornire precise indicazioni sul mandante del tentato omicidio. “Giuseppe Scarvaglieri considerava Coco inaffidabile e sottraeva soldi al gruppo”, spiega il pentito. L’ordine sarebbe arrivato mentre era in corso un processo a Bicocca. “Aveva parlato personalmente con me e Rapisarda – dice Musumarra ai magistrati – dicendo che Coco doveva essere eliminato. Disse questa frase: Cioccolata, mi raccomando quando esci impicalo nel muro”.

Coco sarebbe riuscito a fuggire a diversi agguati, non solo a quello dell’estate del 2014. Nell’ordinanza firmata da Flavia Panzano, integrazione a quella dell’inchiesta Illegal Duty che ha azzerato il nuovo organigramma del clan Scalisi, si riportano stralci delle rivelazioni dei diversi collaboratori di giustizia che indicano come componenti del gruppo di fuoco La Manna e Bulla “che giravano travisati sul motorino per colpire la vittima”. Gaetano Di Marco fornisce ai magistrati dettagli precisi anche sulla dinamica del tentato omicidio. Il pentito quel giorno avrebbe fatto la vedetta. “Coco saliva in via della Regione e si infilò in una traversa dove vendono il formaggio, Alfredo sparò due proiettili senza colpire il bersaglio, Coco scappò e si nascose vicino la polizia…”. Il collaboratore Antonino Zignale conferma: “Ho saputo che aspettavano il Coco che doveva rientrare alle 21, ma è riuscito a sfuggire all’agguato”.

Quando agli indagati è notificato l’invito a comparire il quadro probatorio si arricchisce di nuovi elementi che – secondo la Gip – confermerebbero le parole di Di Marco e Zignale. Emanuel Bua parlando con La Manna ipotizza che sarebbero stati arrestati sia lui che il Bulla. La Manna però commenta: “… e si… ma devono arrestare a tutti quanti… solo a me e a lui arrestano…”.

I primi di maggio del 2017 è Bulla invece a parlare troppo. In una conversazione captata dalla polizia l’indagato commenta con un uomo (non identificato) che Coco sarebbe a conoscenza dei nomi e cognomi di chi avrebbe tentato di ammazzarlo. L’interlocutore allora gli consiglia di correre ai ripari. “Ma tu pensi che un altro proiettile perciò non c’è in mezzo tra i due portoni… così le persone li mandano al macello però ah… perché non ci vai tu… vai tu con tuo zio Nicola… vai a levartelo tu…”. Le cimici poi registrano un dialogo tra Bulla, la moglie e un’altra donna. I tre commentano il sopralluogo delle forze di polizia nei luoghi teatro della presunta sparatoria. Gli investigatori cercano il bossolo della calibro 38 che sarebbe stata usata nell’agguato fallito. “Tu non l’hai capito allora… non l’hai capito cosa stanno cercando…? E’ normale… la prova… non l’hai capito che mi vogliono incastrare”, afferma preso dal panico Bulla. “Speriamo che non si trova questo coso…”, si augura l’indagato.

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Laura Distefano via livesicilia.it