L’ultima eruzione dell’Etna si avvia verso la sua conclusione. «Nelle ultime ore – comunica l’Istituto di geofisica e vulcanologia di Catania – il tremore vulcanico è tornato nella norma, la debole emissione di cenere è cessata e la colata sembrerebbe essersi fermata poco sotto quota 2mila metri, non essendo più alimentata». E’ proprio quest’ultimo aspetto dell’evento ad avere destato qualche preoccupazione. Timori, però, assolutamente infondati secondo l’Ingv, basati su informazioni superficiali o errate. La colata, partita da una singola bocca a metà strada tra i due coni del Cratere di Sud-Est, ha preso la direzione Sud-Ovest. Cioè verso i comuni di Adrano e Biancavilla. «Ma solo come direzione geografica – precisa il ricercatore Boris Behnckei paesi non sono mai stati a rischio, trovandosi molti chilometri più in basso del fronte lavico». Che si è fermato qualche centinaio di metri a monte della pista alto-montana della Forestale, rimasta, dunque, intatta.»

L’evento eruttivo è iniziato la mattina del 31 gennaio. Solo l’indomani, però, grazie a condizioni meteo migliori, si è riusciti a individuare la fonte dell’attività. Segnata da esplosioni a intervalli regolari di pochi secondi, lancio di bombe incandescenti fino a 200 metri di altezza, ricadute sul fianco meridionale del cratere di Sud-Est e una debole ricaduta di cenere, soprattutto nella giornata di sabato, sul versante di Nord-Est, intorno al Rifugio Citelli. A questi si è accompagnata la colata lavica che ha seguito il percorso già preso da quella del 28 dicembre. «Quel giorno – spiega Behncke – il cratere di Sud-Est fu interessato da un sistema di fratture. Negli ultimi due giorni la lava è fuoriuscita da quella più bassa sul lato sud-occidentale. E stavolta non si è divisa, né si è riversata nella valle del Bove. Ma è scesa fino a quota 2mila, seguendo uno dei percorsi già segnati il 28 dicembre».

L’unico rischio è stato corso dalla pista altomontana. Si tratta di un sentiero sterrato che fa il giro dell’Etna, dall’osservatorio astrofisico fino ai rifugi Brunek e Ragabo, usato dalla Forestale e da tanti escursionisti. «Lungo la pista si trovano diversi rifugi frequentati in cui le persone hanno anche lasciato montagne di munnizza», continua il ricercatore. Uno di questi è il Galvarina. La lava lo ha risparmiato per poche centinaia di metri. Diverse volte il sentiero è stato attraversato dal fronte lavico: è già successo nel 1978 e nel 1999. «Non è un fatto grave – precisa Behncke – quando la lava si raffredda, le ruspe la spianano e il sentiero torna fruibile. Bisogna però essere chiari – continua – mai un’eruzione partita dalle bocche sommitali, come quelle avvenute negli ultimi anni, ha raggiunto e danneggiato centri abitati. La più lunga, di circa sette chilometri, è stata quella del 1978 dal cratere di Nord Est, ma anche in quel caso i paesi più vicini sono rimasti molti chilometri più in basso». 

Perché dunque tanto timore infondato negli ultimi due giorni? «E’ cambiata la gestione delle informazioni – sottolinea il vulcanologo dell’Ingv – alcuni siti campano di sensazionalismo e cercano di attirare l’attenzione con titoli acchiappa click. Poi la gente, ad esempio traduce, direzione Adrano, come se il paese fosse la destinazione certa della colata. Bisogna fare attenzione e rettificare», conclude. 

Fonte: meridionews.it – Salvo Catalano

Credits fotoOrazio Distefano