La Squadra Mobile di Catania ha notificato 33 provvedimenti cautelari ad altrettante persone accusate di associazione mafiosa perché ritenute di far parte del clan Santangelo ma anche di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio delle medesime, estorsione, rapina, furto, e armi. I provvedimenti firmati dal gip del Tribunale di Catania sono stati richiesta dalla Dda etnea. L’operazione ha colpito i clan Sant’Angelo e Taccuni

La indagini eseguite dalla Squadra Mobile di Catania e. Le indagini, condotte dai poliziotti del Commissariato di Adrano e dalla stessa Squadra Mobile hanno consentito di azzerare i vertici della cosca dei Santangelo, clan che opera nel territorio di Adrano e che è una alleata della famiglia catanese di cosa nostra Santapaola – Ercolano. L’inchiesta ha fatto emergere come la cosca Santangelo e la cosca degli Scalisi, dopo anni di contrasti e contrapposizione, avessero raggiunto un accordo per la gestione di affari illeciti nel comprensorio di Adrano e la spartizione dei proventi delle estorsioni. Tra gli episodi contestati ad alcuni degli arrestati un vasto traffico di stupefacenti, ma anche una rapina in abitazione ed un furto di bancomat in un istituto di credito con l’utilizzo di escavatore.

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Fonte: lasicilia.it


Ecco tutti i nomi delle persone finite in manetta:

Alfio Santangelo (60 anni, già detenuto)

Alfredo Pinzone (34 anni)

Andrea Palmiotti (38 anni)

Angelo Pignataro (30 anni)

Antonino Bulla (35 anni)

Antonino Foti (25 anni)

Antonino La Mela (43 anni)

Antonino Quaceci (48 anni)

Biagio Trovato (28 anni)

Francesco Palana

Francesco Rosano (28 anni, detenuto all’estero)

Gianni Santangelo (35 anni)

Giuseppe La Mela (45 anni)

Ignazio Vinciguerra (53 anni)

Luigi Leocata (48 anni, arrestato a Piacenza e posto ai domiciliari)

Marco Ricca (28 anni)

Maurizio Pignataro (41 anni)

Nicola D’Agate

Nicola Mancuso (36 anni)

Nicolò Rosano (38 anni)

Nicolò Trovato (27 anni)

Nino Crimi (38 anni)

Palmiotti Andrea (38 anni)

Rosario Galati Massaro (34 anni)

Salvatore Crimi (32 anni)

Salvatore Quaceci (26 anni)

Salvatore Sangrigoli (21 anni)

Vincenzo Bulla (34 anni)

Vincenzo Nicolosi (28 anni)

Vincenzo Rosano (50 anni, già sorvegliato speciale)


VIDEO: https://www.facebook.com/Corrieretneo/videos/206519696592018/


La Polizia di Stato di Catania sta eseguendo un’ordinanza cautelare nei confronti di 33 persone ritenute responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di droga, estorsione, rapina, furto, reati in materia di armi. La indagini dei poliziotti della Squadra Mobile e del Commissariato di Adrano avrebbero consentito di delineare l’organigramma, decapitare i vertici e disarticolare la cosca Santangelo di Adrano, alleata della famiglia catanese Santapaola – Ercolano, ricostruendo come le cosche Santangelo e Scalisi, dopo anni di aperta contrapposizione, avrebbero raggiunto un accordo per la gestione di affari illeciti nel comprensorio adranita e per la spartizione dei proventi delle estorsioni. Agli affiliati del clan Santangelo sono contestati episodi estorsivi, un vasto traffico di stupefacenti, una rapina in abitazione e il furto di uno sportello bancomat di un istituto di credito con l’utilizzo di escavatore.

C’è anche un poliziotto ‘infedele’ tra le 33 persone raggiunte dal provvedimento di arresto eseguito dagli agenti della Squadra Mobile di Catania e dai colleghi del Commissariato di Adrano nell’ambito dell’inchiesta antimafia denominata “Adranos”. In carcere, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, finisce Francesco Palana, 45 anni, assistente capo della Polizia di Stato in servizio al Commissariato di Adrano. Il Poliziotto era già stato fermato il 26 aprile 2016 per trasporto e detenzione di droga: al Casello di San Gregorio era stato trovato con 9,2 grammi di cocaina. Era già stato sospeso dal servizio. Secondo gli investigatori, Francesco Palana trafficava droga per conto del boss Alfio Santangelo: sarebbe stato il poliziotto ad avere rapporti diretti con Salvatore Crimi, uomo di fiducia del capo clan.

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– Fonte: siciliainformazioni.com


VIDEO #2: https://video.repubblica.it/edizione/palermo/operazione-antimafia-a-catania-tra-i-33-arrestati-anche-un-poliziotto/295796/296412


 


Adrano, la pax dei clan Santangelo e Scalisi per dividersi gli affari illeciti: 33 arresti

Trentatré persone sono state arrestate nella notte dalla quadra Mobile di Catania che ha eseguito un’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Catania su richiesta della Dda etnea. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa per avere fatto parte del clan Santangelo di Adrano, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina, furto, reati in materia di armi, con l’aggravante di aver così favorito l’organizzazione mafiosa.

Le indagini che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche ed ambientali, osservazioni, pedinamenti e anche sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, sono state coordinate dalla Dda di Catania e condotte dalla Squadra Mobile – Sezione Criminalità Organizzata – di Catania e dal Commissariato di Adrano e comprendono un periodo tra il settembre del 2014 e il settembre del 2016.

L’inchiesta ha consentito di azzerare il clan dei Santangelo “Taccuni” di Adrano, alleata della famiglia catanese dei Santapaola – Ercolano. Tra le persone arrestate – per droiga – anche un poliziotto, Francesco Palana che si riforniva dall’uomo di fiducia del boss Santangelo.

Il clan era diretto appunto dal boss storico Alfio Santangelo ed era organizzato sul territorio da Antonino Quaceci e Nino Crimi sino al loro arresto avvenuto nell’aprile del 2015, e successivamente da Salvatore Crimi e Gianni Santangelo. Con la cosca avversa degli Scalisi, alleata della famiglia catanese dei Laudani, dopo anni di aperta contrapposizione, è stata poi raggiunta un’intesa per la spartizione dei proventi derivanti dalle attività illecite. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno fatto emergere come i due clan insieme controllassero il mercato ortofrutticolo con l’imposizione del”pizzo” agli operatori di settore ortofrutticolo e a quelli dell’ingrosso delle carni.

Sono anche state accertate estorsioni ad aziende ed esercizi commerciali nel territorio di Adrano e anche alcune rapine e furti, ai danni di istituti bancari.

La pax tra i Santangelo e gli Scalisi che hanno così condiviso gli affari illeciti ha fatto sì che tra gli arrestati ci siano anche Antonino Bulla e Antonino La Mela ai quali, in concorso con Pietro Maccarrone e Nicola Amoroso, appartenenti al clan Scalisi – sia contestata una tentata estorsione al titolare di un’impresa di estrazione di materiale lavico, con sede in Adrano, verso la cui azienda, per minaccia, furono esplodsi alcuni colpi di arma da fuoco. A Nicola D’Agate e Andrea Palmiotti è stata contestata un’estorsione perché avrebbero costretto un imprenditore a versare 31 mila euro.

A Salvatore Crimi, Nicola D’Agte e Alfredo Pianzone è invece contestato (anche) il tentato furto commesso la notte del 25 dicembre 2015 ai danni della filiale del Banco Popolare Siciliano, a Santa Maria di Licodia. In quella circostanza, la Polizia aveva arrestato in flagrante Maurizio Pignataro e Nicolò Trovato i quali, poco prima, dopo avere bloccato le strade di accesso e utilizzando un escavatore, avevano provato a portare via il bancomat.

 Nino Crimi, Nicolò Trovato, Francesco Rosano e Maurizio Pignataro, il primo mandante e gli altri di esecutori, sono anche accusati di una sanguinosa rapina avvenuta il 23 gennaio del 2015 in una abitazione di Santa Maria di Licodia. Una donna fu brutalmente picchiata per farsi aprire la cassaforte e portando via quasi mezzo milione di euro. I clan gestivano anche il mercato della droga con Nino Crimi, Salvatore Crimi, Gianni Santangelo ma anche con Antonino Bulla e anche in questo caso c’è stata la conferma di come gli Scalisi si rifornissero di droga acquistandola dai Santangelo.

Nel corso delle perquisizioni eseguite a corollario dell’esecuzione della misura restrittiva, all’interno del vano contatore dell’Enel di pertinenza dell’abitazione di Nicolò Trovato è stata rinvenuta e sequestrata una “penna pistola” e quindi l’uomo è indagato anche per detenzione illegale di arma da fuoco. Due destinatari della misura restrittiva sono irreperibili perché già all’estero, altri due sono irreperibili e sono attivamente ricercati.

Alla fase esecutiva hanno partecipato 200 unità della Polizia di Stato, tra cui equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine Sicilia Orientale ed unità eliportata del Reparto Volo di Palermo, e le Squadre Mobili di Messina e Piacenza.

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– Fonte: lasicilia.it


 


Appalti, droga e summit. I pentiti inchiodano il boss

La cupola di Adrano è stata decapitata grazie alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e alle indagini della Squadra mobile guidata da Antonio Salvago, sotto il coordinamento della Procura di Carmelo Zuccaro. Un’organizzazione ben radicata, già descritta in numerose sentenze, guidata dal boss Alfio Santangelo. Un pezzo da novanta, già condannato per associazione mafiosa, Santangelo sarebbe stato in grado di mantenere i contatti con il clan anche da dietro le sbarre, dove è stato per ben 20 anni, fino al marzo del 2008.

I VERBALI DI ROSANO – Il pentito Valerio Rosano riconosce nell’album fotografico Alfio Santangelo, “detto Taccuni – dice ai magistrati – boss storico e capo del clan. Lo stesso anche mentre era detenuto dopo il 2010 continuava a comandare il clan e ogni nuova affiliazione doveva avere il suo consenso ed anche per gli stipendi decideva lui chi doveva averlo ed a quanto doveva ammontare lo stipendio. Mio padre mi disse che gli era stato proposto di essere il reggente del clan Santapaola su Catania e ciò all’epoca in cui c’era Daniele Nizza a Catania e quindi circa nel 2010 o 2011 ma lui si rifiutò perché voleva rimanere responsabile per i paesi della provincia di Catania sempre per il clan Santapaola”.

SUMMIT – Il collaboratore ricorda che nel 2016, mentre si trovava recluso, Silvio Corra gli raccontava dei summit in campagna con Alfio Santangelo, Vito Romeo, Francesco Santapaola, Franco Amantea. Il boss Santangelo avrebbe avuto il ruolo di rappresentante del clan di Adrano e di responsabile “per tutti i paesi”. In questi summit so che si parlava di estorsioni e di importanti appalti e so che le imprese interessate erano di tale Monteleone, ed inoltre si parlava dell’affare delle macchinette videogioco (slot machine). Sino all’inizio del 2017 ho saputo da Giuseppe La Mela che ancora dal carcere tramite i colloqui con la moglie Alfio Santangelo decideva sugli stipendi degli affiliati e sulle nuove affiliazioni, ed anche io e mio padre ricevevamo in carcere lo stipendio tramite mio cugino Nicola che dava a mia madre i soldi avuti dal clan. Come ho detto inoltre Alfio Santangelo nel 2014 ha voluto l’incontro chiarificatore con mio padre e mio fratello Francesco e mio cugino Nicola per farci rientrare a pieno titolo nel clan. In particolare mio padre da sempre faceva parte del clan mentre i0 ed i miei fratelli in precedenza spacciavamo più per i fatti nostri ma poi lo abbiamo fatto solo per conto del clan quali soggetti inseriti nel clan stesso. Fu proprio Alfio Santangelo a portare la pace tra la mia famiglia ed il clan Santangelo”.

DROGA E NIZZA – Alfio Santangelo avrebbe anche gestito il traffico di droga della famiglia e soprattutto le forniture di rilievo anche a clan e gruppi catanesi. Un ruolo di primo piano. “Il Santangelo – svela il pentito Valerio Rosano – io sapevo da altri affiliati come Nicola Mancuso che quando era detenuto al carcere di Opera aveva preso contatti con esponenti della ndrangheta calabresi per la fornitura di cocaina. Successivamente nel 2010 e 2011 già sapevo da Nicola Mancuso che lo stesso forniva il gruppo dei fratelli Nizza consegnando loro circa 10 Kg di cocaina a settimana. Successivamente in carcere a Siracusa di recente ho saputo da Fabio Rapisarda cognato di Massimo Salvo detto “U carruzzeri” e da Calogero Sebi che il clan Santangelo forniva anche a loro cocaina per circa 10 Kg a settimana e mi dissero che gli accordi venivano presi direttamente con lo stesso Alfio Santangelo che sempre era presente a questi incontri in campagna.

KILLER PENTITO – Il killer pentito Aldo Navarria, parla dei summit con Alfio Santangelo, “Nino Crimi, Nino Quaceci ed altri cinque ragazzi. A parte due riunioni con queste persone ho avuto frequenti contatti con gli stessi per il tramite di Mirko Presti che mandavo ad Adrano. Verso la fine del 2014 se ben ricordo fu organizzata una riunione del clan Santapaola ed io venni convocato da Vito Romeo per conto di Francesco Santapaola. Ricordo che avevamo appuntamento sulla strada che porta da Paterno ad Adrano e li ero con Prezzavento Antonino che mi accompagnava e seguimmo una macchina ed arrivammo poi ad Adrano in un ristorante ed era tardo pomeriggio e li erano presenti Alfio Santangelo, Nino Crimi, Nino Quaceci ed altri del loro gruppo. Al tavolo principale eravamo seduti io, Alfio Santangelo, Roberto Vacante, Alfio Carciotto, Francesco Santapaola, Antonio Tomaselli, Alfio Cardillo per conto di Giovanni Comis che non era potuto venire, e non ricordo ora chi altri. Ricordo però che poi Nino Quaceci venne fatto accomodare al nostro tavolo perché persona più importante del gruppo di Adrano dopo lo stesso Santangelo. Poi vi era un secondo tavolo dove vi erano seduti tutti quelli che ci avevano accompagnato tra i quali Nino Prezzavento, Nino Crimi, Vito Romeo ed altri anche del gruppo di Adrano”.

APPALTI – Nel mirino della mafia anche gli appalti della Circumetnea, svela Navarria. “Il tema dell’incontro – dichiara il pentito Navarria – era un appalto che per un’opera, credo la ferrovia circumetnea, che partiva da Catania ed attraversava vari paesi etnei, e si parlava delle ditte interessate ai lavori e si diceva che alcune erano già collegate al clan Santapaola altre invece dovevano essere poste sotto estorsione e comunque tutti i soldi provento dei lavori relativi a tale appalto e provenienti dalle ditte interessate dovevano essere messi in una “bacinella” comune del clan e poi dovevano essere divisi tra i responsabili delle relative aree territoriali. Durante la riunione Alfio Santangelo disse che però prima Aldo Ercolano doveva dare 130 mila euro di un precedente appalto, anche se io non sapevo esattamente a cosa si riferisse atteso che al tempo ero detenuto. Ricordo che Antonio Tomaselli disse al Santangelo di lasciare perdere questa vicenda perché era ormai passata. A questa riunione non vennero Turi Catania di Bronte e Pippo detto l’avvocato di Biancavilla ed Alfio Santangelo si prese l’impegno di dire a queste due persone che si sarebbe fatta un’altra riunione per decidere se fare partecipare tutti o se escludere qualcuno”.

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Antonio Condorelli via livesicilia.it


Operazione Adranon, allarme per i pizzini anche dai boss al 41 bis

«Siamo di fronte ad un’evidenza che evidentemente sfugge solo al ministro: gli istituti di pena, anche quelli per detenuti sottoposti al 41 bis, non sono sufficientemente monitorati per impedire la fuoriuscita di “pizzini” agli affiliati dei clan e la “formazione” o l’arruolamento di criminali». Lo afferma il segretario generale del Sindacato polizia penitenziaria (Spp) Aldo Di Giacomo.

«La politica e il nuovo Parlamento – aggiunge – prima che si scateni la guerra di successione a Riina anche nelle celle, aprano gli occhi e si rendano conto che la situazione di illegalità e non sicurezza nel carcere, dovuta principalmente a responsabilità politiche, si ripercuote direttamente e pesantemente sui cittadini fuori dal carcere, perché la situazione sempre più difficile dei nostri istituti di pena è la cartina al tornasole dell’insicurezza fuori e nelle città».

Di Giacomo continua affermando che «anche nei mandamenti di Catania, dopo l’operazione della Procura Distrettuale Antimafia, che – secondo le prime notizie – con i 33 arresti operati sta decapitando i vertici della cosca Santangelo attiva nel territorio di Adrano, alleata della famiglia catanese di Cosa nostra Santapaola – Ercolano, si profila quello che accade da tempo a Palermo con l’avvento di donne nella successione ai capi clan in carcere. Ci sono tutti gli elementi per confermare la mia valutazione espressa subito dopo la morte di Riina: nella successione dei capi è il momento delle donne».

«Questo significa – conclude – che non dispongo della “sfera di cristallo” ma più semplicemente che a differenza del ministro alla Giustizia, indaffarato a diffondere dichiarazioni sempre rassicuranti sulla presenza della mafia fuori e dentro le carceri, sono attento alle dinamiche interne ed esterne agli istituti penitenziari. Proprio come il raccolto fatto tempo fa davanti alla Corte di Appello di Torino da un pentito diventato collaboratore di giustizia, Domenico Agresta, che ha candidamente ammesso di aver fatto all’interno di un carcere un’intera carriera nella ‘ndrangheta».

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– Fonte: lasicilia.it