Mancano dieci giorni alla pensione del procuratore Vincenzo D’Agata e la Procura di Catania si divide ancora sull’inchiesta che vede il presidente della Regione Lombardo, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. D’Agata spinge per chiudere con un’archiviazione, gli altri pm si oppongono. Il procuratore generale Tinebra, candidato alla successione, chiede notizie sull’inchiesta. E ripartono i veleni

di ALESSANDRA ZINITI su repubblica.it

Dieci giorni di fuoco prima dell’addio. Il procuratore Vincenzo D’Agata piuttosto che svuotare i cassetti in vista del brindisi di saluto continua a studiare alacremente le carte dell’inchiesta Iblis, quelle che riguardano la posizione del presidente della Regione Raffaele Lombardo, rimasto sospeso nello scomodissimo limbo di indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, senza riuscire neanche a rispondere alle domande dei pm che si sono sempre rifiutati di interrogarlo limitandosi a ricevere in un paio di occasioni le sue dichiarazioni spontanee in merito ai suoi presunti rapporti con esponenti del clan Santapaola.

Il 27 febbraio il procuratore D’Agata andrà in pensione e gli piacerebbe farlo chiudendo l’indagine a carico del governatore. Con un’archiviazione. Lo avrebbe proposto ai pm titolari dell’inchiesta, Giuseppe Gennaro, Antonino Fanara, Agata Santonocito e Iole Boscarino, tirando fuori un’argomentazione puramente “tecnica” riferita alla scadenza dei termini della vecchia indagine a carico di Lombardo, quella scaturita dalle dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, ripresa su ordine del gip e confluita nella nuova inchiesta aperta in seguito al deposito del rapporto dei carabinieri del Ros sugli affari e i rapporti politici del clan Santapaola. Temeva il procuratore D’Agata che la scadenza dei termini del vecchio filone d’indagine potesse “inficiare” tutta l’indagine Iblis e per questo avrebbe proposto ai suoi sostituti di stralciare la posizione di Lombardo e chiuderla, continuando invece per tutti gli altri indagati.


La sortita di D’Agata avrebbe trovato un muro deciso negli altri pm che si sarebbero rifiutati di avallare una soluzione del genere che, a questo punto, il procuratore potrebbe sempre prendere in assoluta solitudine, soltanto revocando le deleghe ai pm titolari. Un atto, certo, molto forte. Ma ecco improvvisamente muoversi l’inquilino del piano di sopra, il procuratore generale Gianni Tinebra che, in pole position per andare ad occupare la poltrona (sottoposta) di D’Agata, ha pensato che è ora di informarsi ufficialmente sull’inchiesta Iblis. E per questo avrebbe incaricato il sostituto Domenico Platania di scrivere una lettera a D’Agata per conoscere lo stato degli atti, eventuali inerzie che potrebbero portare ad una avocazione dell’inchiesta da parte della Procura generale.
Grandi manovre che hanno fatto risalire la tensione in un palazzo di giustizia e in una città dove la lotta per la successione alla poltrona di procuratore si gioca mettendo in campo armi di ogni genere, dagli appelli agli interventi politici, da foto a vecchi dossier senza risparmiare colpi bassi ai due principali avversari. E così, tra i detrattori di Tinebra, c’è chi ricorda i suoi forti rapporti di amicizia con grossi nomi dell’imprenditoria catanese e romana, da Ciancio a Caltagirone, gli stessi che hanno grossi interessi in business tutti oggetto di inchieste aperte dalla Procura di Catania e affidate a Giuseppe Gennaro, come quella sui parcheggi o quella sul risanamento del vecchio quartiere San Berillo con progetto dell’architetto Fuksas, un investimento da centinaia di milioni di euro nel quale è interessato il gruppo Acquamarcia. E d’altronde, proprio agli atti di una di queste inchieste, c’è un’intercettazione in cui alcuni imprenditori catanesi si augurano che al posto di D’Agata venga nominato Tinebra.

Tra i detrattori di Gennaro ci sono invece coloro che, nelle ultime settimane, hanno ritirato fuori la storia dei suoi rapporti con l’imprenditore mafioso Carmelo Rizzo, arrestato e poi assassinato nel 1997. Lo stesso Rizzo che, in una vecchia foto del 1991 che circola su decine di siti, è immortalato proprio accanto a Gennaro in una terrazza in una occasione conviviale. Il magistrato, che dall’impresa di Rizzo ha comprato la villa in cui abita, ha sempre negato ogni rapporto con il costruttore e ha continuato a farlo dopo la pubblicazione della foto, asserendo di non sapere chi fosse la persona seduta vicino a lui. Ma l’argomento ha ridato linfa alle accuse da tempo rivolte a Gennaro da Giovanbattista Scidà, già presidente del Tribunale dei minorenni di Catania, ritornato a capo della crociata anti Gennaro in nome di presunte inerzie della Procura per le indagini sull’omicidio Rizzo, avvenuto – come hanno raccontato alcuni pentiti – quando si temeva che il boss volesse collaborare.

E c’è chi tira fuori un vecchio verbale del 1987 redatto da Gennaro in cui un tal Filippo Lo Puzzo accusa Scidà di abusi ai danni di detenuti minorenni. Quanto basta a far venir fuori vecchi risentimenti personali che contribuiscono ad avvelenare la vigilia di una nomina per quale molti settori della società civile continuano a chiedere al Csm un procuratore “straniero”.

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