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ADRANO (CATANIA) – Un’autobomba realizzata da un giovanissimo gruppo di fuoco era pronta a saltare in aria per eliminare il boss Alfio Santangelo che era alla guida del clan rivale. È il progetto della cosca Scalisi, di Adrano, sventato dalla Procura di Catania con il fermo di 25 appartenenti alle due frange rivali che si contendevano il racket dell’estorsione ed il traffico di droga nella zona.
Secondo intercettazioni effettuate dalla polizia e agli atti dell’inchiesta, l’autobomba era già allo stato esecutivo e mancava soltanto il telecomando per farla esplodere al passaggio dell’obiettivo dei sicari. Per questo, ha spiegato il procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata, si è reso necessario “intervenire urgentemente per evitare che la scia di sangue ad Adrano continuasse e per scongiurare un atto eclatante e drammatico”.
Complessivamente i provvedimenti di fermo emesso dalla Dda di Catania sono 27, e sono finora 25 gli indagati fermati dalla Squadra mobile di Catania e da poliziotti del Commissariato di Adrano. I contrasti sono nati dopo una rottura degli equilibri tra le due cosche che per 15 anni avevano controllato la gestione della droga ed il racket delle estorsioni.
L’inchiesta tratta anche un triplice omicidio, un delitto e diversi tentativi di omicidio. Durante le indagini, la polizia che si è avvalsa di intercettazioni, ha arrestato due giovanissimi sicari che si stavano recando a commettere un delitto, bloccati ufficialmente perché trovati in possesso di armi.
L’operazione, denominata “Terra bruciata”, ha permesso di ricostruire le dinamiche interne ai due clan rivali, i Santangelo-Taccuni alleati della “famiglia” Santapaola e gli Scalisi legati ai Laudani, e alla crescente contrapposizione tra le due cosche per la gestione degli affari illeciti ad Adrano sfociata in una sanguinosa faida.
UNA PAX CHE DURAVA DA 15 ANNI. In paese da 15 anni regnava una pax mafiosa legata a un patto tacito: i Santangelo si occupavano di droga e gli Scalisi di estorsioni. Ma il boss Alfio Santangelo avrebbe preso di mira il mercato ortofrutticolo pretendendo per il suo gruppo una “fetta” dei proventi illeciti. L’escalation di omicidi e attentati nati dalla faida mafiosa ha accelerato le indagini della polizia su Adrano e ha portato anche all’aumento della presenza di forze dell’ordine in paese per evitare nuovi delitti di mafia.
L’impossibilità di potere agire direttamente per vendicarsi avrebbe fatto scattare l’ipotesi dell’autobomba. Secondo la polizia era “tutto pronto, mancava soltanto il telecomando” per passare alla fase esecutiva dell’attentato che, nelle intenzioni degli organizzatori, doveva servire a dare un forte segnale, non soltanto agli ambienti criminali ma anche all’esterno, su chi “comanda in paese”.
In un’intercettazione agli atti dell’inchiesta uno degli indagati, Giuseppe Scarvaglieri, indicato come esponente del gruppo Scalisi, dice alla madre, Carmela Scalisi, anche lei tra i fermati, che “se uccidono anche un solo puddicinu (pulcino, ndr) i Laudani si susunu (si alzano, ndr) da Catania e vengono tutti ad Adrano”. Le indagini della polizia sono state coordinate dal procuratore capo di Catania, Vincenzo D’Agata, e dai sostituti della Direzione distrettuale antimafia Giovannella Scaminaci e Pasquale Pacifico. (ANSA).
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