Le defezioni dalla malavita di Adrano potrebbero portare ripercussioni non solo negli equilibri interni alla criminalità organizzata locale, ma anche far tremare chi ha chiuso accordi e affari con i clan. Un’analisi questa che parte dal processo sulla “guardiania” che ha portato alla condanna di Biagio Mannino e Emanuel Bua con la pesante ombra del reato elettorale. Un verdetto completamente diverso rispetto a quello del processo abbreviato che aveva invece portato il Gup ad assolvere Giuseppe Mannino, accusato di reato elettorale. Nel processo ordinario però sono entrate le dichiarazioni e le rivelazioni di due nuovi collaboratori di giustizia Giuseppe Liotta (ex rapinatore e conoscitore degli equilibri degli Scalisi di Adrano) e di Gaetano Di Marco, ex esponente dei referenti dei Laudani adraniti. Sarà importante leggere le motivazioni per capire il peso che i pentiti hanno avuto nella sentenza dei giudici catanesi.

Al centro dell’inchiesta della Dda di Catania l’imposizione della guardiana per gli imprenditori delle campagne adranite. L’indagine però aveva messo la coltre del sospetto sulle ultime amministrative. I due Mannino (Giuseppe è stato assolto dall’accusa in primo grado) spiegavano gli inquirenti “al fine di indurre o costringere gli elettori a votare un loro parente (che non è stato mai indagato) ne limitavano la libera determinazione di votare presenziando stabilmente i luoghi di propaganda elettorale, segnatamente ove si svolgevano i comizi e presso la sede del comitato elettorale e inoltre promettevano opere pubbliche ai rappresentanti di quartiere e istruivano gli elettori su come esprimere le loro preferenze presidiando i seggi elettorali durante le operazioni di voto”.

E’ plausibile pensare che se l’apparato probatorio delle indagini preliminari ha portato ad un verdetto di assoluzione, le nuove fonti di prova portate nell’istruttoria dibattimentale del processo ordinario, e dunque anche le testimonianze dei due collaboratori di giustizia, hanno portato ad una valutazione completamente opposta del Tribunale. Quello che accade all’interno del Palazzo di Giustizia di piazza Verga allarga i sospetti di collusione e connivenze nel paese alle falde dell’Etna. Ma ci sarebbe un altro collaboratore di giustizia che sta portando scompiglio. Da qualche mese a fare il salto del fosso è stato un giovanissimo Salvatore Paterniti Martello che – secondo fonti di LiveSicilia – avrebbe rivelato alla magistratura scomodi sistemi di alleanza tra apparati e malavita.

In questo scenario si innesca anche la questione relativa all’esposto sui conti del palazzo comunale adranita che ha determinato l’apertura di un’inchiesta della Procura catanese di piazza Verga, che aveva chiesto al Gip l’archiviazione. Il Presidente Sarpietro però ha rimandato gli atti al pm ordinando l’identificazione degli indagati anche alla luce degli atti offerti dalla difesa che si è opposta alla richiesta di archiviazione. Ombre su ombre.

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– Fonte: Laura Distefano via livesicilia.it