Illustre Direttore,

chiedo di ospitare due mie riflessioni che intendono essere un atto di amore verso la città di Adrano dove sono cresciuto e formato, e cui rimango legato da un indicibile sentimento di attaccamento, malgrado veda da tempo la mia città pressoché priva di speranze e vittima di mercenari predatori. Adrano attendeva da venti anni un Piano regolatore generale che finalmente facesse ordine su un territorio negli anni caratterizzato da una insensibilità che è prima di tutto e purtroppo un fenomeno di subcultura sociale. La mia prima riflessione è, infatti, di carattere generale e attiene alla considerazione per alcuni versi scontata che la redazione di un Prg è l’occasione per una comunità di interrogarsi sul proprio territorio e, quindi, su se stessa: che tipo di crescita abbiamo avuto e su cosa puntiamo nel prossimo futuro; quali insediamenti proponiamo; se preferiamo uno sviluppo residenziale ovvero produttivo e come conciliare l’uno e l’altro; che impatto avrá ogni soluzione di tipo tecnico o organizzativo sulla nostra vita.
Insomma, la riflessione sul Prg deve divenire collettiva, nel senso di essere svolta da tutti i cittadini e non solo da proprietari o speculatori. Come il diritto non può essere lasciato solo a professori, giudici e avvocati, così l’urbanistica è una cosa troppo importante perchè la si lasci fare solo a ingegneri e architetti. La pianificazione del territorio riguarda alla fine le attività da esercitare e già solo per questo interessa tutti. La mia impressione è che Adrano stia perdendo un’occasione di riflettere sulla sua storia recente e sul suo futuro: la considerazione frammentata dei singoli interventi proposti finisce per impedire ogni visione globale; il Prg rischia di diventare un nuovo campo di esercitazioni politiche alla fine infruttuose. Soprattutto, mi pare che manchi ancora una riflessione generale e sociale sul modello di sviluppo che vogliamo, sul volto da dare alla nostra città. La seconda riflessione è di carattere tecnico. Il progetto di Prg prevede consistenti espropriazioni per realizzare infrastrutture e per dotare finalmente la città dei necessari standard urbanistici. Eppure, mi pare che le soluzioni proposte siano il frutto di una concezione autoritaria dell’urbanistica, forse tipica degli anni sessanta, ma non più attuale. Voglio dire che oggi è irrealistico pensare di realizzare le infrastrutture solo a mezzo di espropriazioni decise unilateralmente dall’alto. L’apposizione di vincoli espropriativi servirebbe oggi solo a bloccare ogni attività economica sull’area: il Comune (nessun Comune) non avrà nel prossimo futuro le risorse economiche necessarie per completare il Piano delle espropriazioni, ma nel frattempo le aree diventerebbero incommerciabili e nessuno intenderebbe farvi investimenti. L’effetto finale sarebbe disastroso per l’intera economia. Lo ripeto: nessuno acquisterebbe un immobile destinato sulla carta ad essere espropriato, ma neanche penserebbe solo a ristrutturarlo. La conseguenza è la dequalificazione di intere aree, l’impossibilità di riqualificare il patrimonio edilizio esistente, la diminuzione di valore degli immobili, il blocco dell’economia che trova tuttora nell’edilizia uno dei suoi fattori di trascinamento. Rischiamo di trovarci tutti con un’Adrano più impoverita, con immobili che valgono poco e in un contesto in cui nessuno vuole investire. E’ solo una finzione giuridica dire che le opere pubbliche potrebbero essere realizzate dai proprietari, perché si sa bene che questo sistema che non ha mai funzionato. La verità è che oggi l’urbanistica si basa su due principi chiave: la dimensione perequativa e quella negoziale. In base al primo criterio, la cubatura disponibile è ridistribuita tra i proprietari in modo da evitare discriminazioni. Alla stregua del secondo principio l’iniziativa dei privati è ritenuta fondamentale e va promossa: l’urbanistica è fatta di accordi, incentivi, procedure negoziate, project financing. Le opere pubbliche sono lo strumento per il coinvolgimento del tessuto imprenditoriale nella gestione dei conseguenti servizi, anche per attrarre risorse esterne. Insomma, la redazione di un Prg è l’occasione per ripensare in termini complessivi alla città, alla sua veste urbanistica come a quella economica e sociale. Ed Adrano ha bisogno di un salto di orgoglio culturale, riappropriandosi del “suo” Prg.

Agatino Cariola

Ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Catania

(intervento pubblicato su La Sicilia del 03/04/2011)
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