Domenico Tempio su La Sicilia di oggi

La situazione politica a Roma e a Palermo si è aggrovigliata a tal punto che solo una salutare chiamata al voto potrebbe scioglierla. Sappiamo che non è facile far accettare questo concetto agli italiani, stanchi di essere chiamati continuamente alle urne. Però dopo quello che è accaduto a livello nazionale con lo strappo di Fini, e dopo quello che sta accadendo in Sicilia, dove la maggioranza, sempre di centrodestra, è andata in frantumi, crediamo che non vi siano più i presupposti per sperare in corrette operazioni politiche.
Se dovesse cadere il governo Berlusconi, Napolitano tenterà di verificare, come è suo dovere, se esiste un’altra maggioranza. L’ostacolo sarà che un eventuale nuovo governo (o affidato allo stesso Berlusconi o con i partiti dell’attuale opposizione più Fini) avrebbe una vita magra dato che la differenza di voti in Parlamento si potrebbe contare sulle dita di una mano. Stessa cosa dicasi di un governo tecnico, al quale si opporrebbe l’attuale maggioranza. E forse qualche partito d’opposizione.
Bisogna, quindi, prendere atto che a Mirabello si è aperta una nuova pagina. Il capo dello Stato, cui tocca applicare il dettato costituzionale per tentare di evitare lo scioglimento delle Camere, dovrà valutare anche il fatto sostanziale oltre quello formale, tenendo conto che l’attuale legge elettorale ha codificato la scelta del premier con l’inserimento del candidato nella scheda.
In Sicilia la situazione, e questo lo sanno tutti, non è migliore. Anzi. A Palermo Raffaele Lombardo sta lavorando alla formazione di un’altra Giunta. Sarebbe la quarta della legislatura. Inutile ripetere cosa è accaduto in questi due anni. Liti su liti. Accuse su accuse. Un gioco al massacro con risvolti anche giudiziari. Ci sarebbero tutti gli ingredienti di un pamphlet sciasciano. Gli stessi personaggi si presterebbero al gioco politico-letterario di un abile osservatore come era lo scrittore di Racalmuto. Personaggi che si trovano nelle cronache di tutti i giorni. Tutto ciò crea disagio nel cittadino, il quale rischia di ricadere in quel tanto deprecato fatalismo che porta a essere indifferente a tutto. Una politica di tal genere, in una afosa stagione che volge al termine, cosa volete possa interessare ai siciliani? Nulla.
C’è però, dietro questa indifferenza, una realtà drammatica: è quella che stiamo raccontando da un po’ di tempo a questa parte e della quale anche oggi ci occupiamo. C’è fame di lavoro. C’è un precariato diffuso. C’è insicurezza non solo del domani, ma dell’oggi. A Catania, a Gela, a Palermo, a Siracusa, a Enna, ad Agrigento, insomma in quasi tutti i centri siciliani, il commercio e l’industria languono. Sì, c’è la crisi mondiale, ma da noi non è una novità. Oggi, però, a questa crisi atavica si è aggiunta ancor più drammaticamente un’altra crisi. Quella che sta mettendo in ginocchio quel poco conquistato negli anni. Nessuno fa uno sforzo per affrontarla seriamente. La politica invece cosa fa? Ha sempre un tavolo aperto per i suoi giochi. O affari. O poltrone. Come se si giocasse al tressette o a scala quaranta. Con una posta altissima: la vita di noi e dei nostri giovani. Tanto per giocare, allora è meglio lasciare «giocare» seriamente i cittadini. Mandandoli subito al voto. E’ una delle ultime speranze che qualcosa cambi.
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