Nuovo, interessantissimo, articolo firmato Francesco Branchina

All’interno degli articoli sino ad ora pubblicati su questo pregevole sito, abbiamo già fatto riferimento, pur non sistematico, ad una serie di simboli presenti nella città di Adrano fin da tempi immemorabili, incisi su pietra, ceramica e monete. Pur mettendo in guardia i nostri lettori circa la possibilità che le interpretazioni dei simboli possano essere inevitabilmente viziate dalla componente culturale, ideologica, sociale o religiosa dello studioso, consapevoli a nostra volta di poter incorrere in questo rischio, vogliamo tuttavia cimentarci in tale compito, cercando di farlo nel modo più asettico possibile, e ciò al fine di stimolare, attraverso il gioco letterario che questo sito si è proposto, l’interesse per la nostra storia nei cittadini adraniti, futuri amministratori. Riteniamo, altresì, che il momento storico che la nostra città e la nostra stessa civiltà stanno attraversando, i disvalori che esse veicolano, figli di questi tempi, sovrappostisi oramai all’antica tradizione, ci impongano di tentare di dirottare il percorso politico-sociale che la nostra città ha intrapreso in quest’ultimo periodo verso antichi valori che, non escludendo una ripresa economica, siano però informati da una maggiore etica.

In questo senso può esserci da esempio, ancora una volta, la storia romana. Infatti era proprio nei momenti di maggior difficoltà che i Romani tiravano fuori il meglio di se stessi, tutte le loro risorse interiori, al punto da essere stati i primi ad applicare la strategia della guerra psicologica. Per esempio, in piena guerra sannitica, il lungimirante Appio Claudio costruiva a Roma il primo grandissimo acquedotto che dava ai Romani, “abbeveratisi” sino a quel momento alle acque del Tevere, uno scossone di ottimismo psicologico di grande portata. Il risultato che ne derivava era duplice: da un lato i Romani, grazie a questo dinamismo e futura prospettiva, acquisivano l’ottimismo necessario ad interiorizzare l’idea stessa e la certezza della vittoria, dall’altro esercitavano terrore psicologico nei confronti dei nemici, che demoralizzati vedevano sorgere nei Romani sempre nuove risorse. Contemporaneamente Appio costruiva una strada che metteva in comunicazione il Lazio con la Campania, la via Appia, promuovendo ancor di più nei Romani la consapevolezza di essere i naturali apportatori di civiltà, meritevoli di detenere, fra tutte le altre città stato, il diritto\dovere dell’imperio. Auspichiamo che le nostre autorità politiche, per prime, facciano propri i già collaudati esempi strategici dei Romani e sappiano intraprendere iniziative di carattere “psicologico” a costo zero, che riportino la fiducia in un popolo che ha dimostrato in varie occasioni, attraverso iniziative di privati cittadini, di possedere intatta tutta la fantasia e la buona volontà per farcela. La più urgente iniziativa a costo zero che l’amministrazione dovrebbe intraprendere, con il conseguente risultato di un effetto psicologico positivo sui cittadini migliori, sarebbe quella di “riconquistare” il controllo del territorio. È purtroppo evidente come l’assenza della vigilanza dell’amministrazione abbia prodotto comportamenti anarchici di una minoranza, tuttavia virulenta, che imperversa sul territorio, devastandolo gratuitamente. Questi aspetti deleteri della nostra società potrebbero essere rimossi attraverso azioni forti e decise di  deterrenza, condotte fino alla rimozione totale dell’ostacolo: solo così un’amministrazione può rendersi credibile, guadagnarsi rispetto e autorevolezza. È per questo che, prima che agli altri, dedichiamo alla nostra amministrazione questo articolo.

Riteniamo che l’altissimo messaggio che la simbologia arcaica adranita veicola, sia stato poco studiato dagli studiosi, sottovalutato, dimenticato, sminuito, mal compreso, quando addirittura non alterato dalla personale ed evidente formazione religiosa di antichi storici, nostri concittadini. Poiché riteniamo che alla cancellazione dei simboli di forza, di cui parleremo, sia da attribuire la debolezza delle odierne nostre istituzioni, certi, come siamo, che lo spirito si nutra di simboli, vogliamo qui riprenderli e riproporli, spiegandone il significato, sicuri che gli spiriti affini, i quali sapranno riconoscere istintivamente questi simboli come propri, vibreranno, come le corde di una lira toccate dalle mani abili dell’artista, per l’antica eco che giungerà loro dai lontani millenni e s’infiammeranno di rinnovato ardore. I grandi spiriti di domani, che ancora abitano la nostra città, riaffermando tali simboli di vittoria, sapranno ricostruire la civiltà che, nella nostra città, in tempi passati, rimase vigorosa fin tanto che di tali simboli essa ebbe la possibilità di nutrirsi.

I simboli di cui parliamo sono tutti di natura solare con chiari riferimenti a forze ultrafisiche. Tali numerosi simboli di forza sparsi nel nostro territorio sono: la spirale incisa nei capitelli di colonna esposti nel Museo archeologico del castello di Adrano; la ruota del sole o dell’anno solare, anch’essa incisa nei medesimi capitelli; la croce potenziata impressa su un pithos del III millennio a. C.; l’aquila effigiata nelle antiche monete di Adranon e poi apposta sullo stendardo comunale; il sole radiato (o forse la stella di Orione) impressa su pesi da telaio e su Pithos. Per ciò che concerne i cani del dio Adrano, che grande posto hanno avuto nell’immaginario collettivo, e il dio Adrano stesso, poiché si inseriscono in un’altra sfera, quella religiosa, riguardante il culto degli antenati che caratterizzava l’intero mondo indoeuropeo, se ne tratterà  in altra sede.

LA RUOTA DEL SOLE O DELL’ANNO consiste in una croce inscritta in un cerchio. Questa croce veniva inscritta in un cerchio secondo due modalità: a braccia perpendicolari  (+), oppure  a braccia divaricate (X), quest’ultima detta anche croce di S. Andrea. Il simbolo a croce, cioè a braccia perpendicolari, indica i solstizi e gli equinozi, indica anche i quattro punti cardinali. Il solstizio d’inverno, celebrato il 21 dicembre, ebbe un’importanza così rilevante presso i popoli nordici e indoeuropei in genere, che fu adottato successivamente perfino dai Cristiani, che adattarono a tale data la nascita di Gesù.

La croce di S. Andrea si riferisce invece alla posizione della luna rispetto alla terra; si può, pertanto, ritenere con certezza che, in Adrano, la casta sacerdotale degli Adranhiti, non solo avesse il ruolo di evocare il dio patrio Adrano, ma fosse anche esperta in astrologia e si servisse di un calendario solare assieme a quello lunare. Nel calendario lunare, il 31 Ottobre rappresentava la data più importante, coincidente con  la festa attuale dei defunti. In questo giorno, secondo la tradizione nordica, si apriva una porta tra questo mondo e il mondo dell’aldilà, per cui gli Avi entravano in contatto con i propri discendenti. Anche nell’Upanisàd la luna fa entrare in relazione il mondo dei vivi con l’aldilà, essendo definita “la porta del mondo celeste”. Nel testo si fa menzione della sorte dei defunti i quali, nella prima fase, quella di luna crescente, alimenterebbero con il proprio pràna (soffio vitale o spirito) l’energia della stessa, per poi rinascere nel mondo durante la fase successiva di luna calante.

Abbiamo notato che, delle quattro raffigurazioni della ruota del sole scolpite sui capitelli di Adrano, tre sono a forma di croce a braccia perpendicolari e solo uno a forma di croce di S. Andrea. Potremmo desumere che questa preponderanza della raffigurazione del calendario solare su quello lunare non fosse casuale, ma volesse indicare la supremazia del primo sul secondo, cioè il primato di una visione del mondo caratterizzata dalla religiosità solare, luminosa, distante anni luce da quella di altri popoli, per lo più orientali, che nell’oltre-tomba vedevano un regno di tenebre, sofferenze o, nel migliore dei casi, un luogo di oblio. La religiosità sicana – come del resto è reso chiaro dal lessema An che, col significato di Avo e/o di cielo, compone il nome Adrano (Odhr-an) – riservava ai propri avi la dimensione celeste, il luminoso cielo e non gli Inferi. L’oltretomba non rappresentava, per i Sicani, nient’altro che la presa d’atto della cessazione della vita e il ricongiungimento con gli Avi. Si osservi che i Veda indicano all’uomo due possibilità, di pari dignità, circa la via da seguire nel post mortem: la via che conduce agli Avi e la via che conduce agli Dèi. Come farebbe supporre la denominazione Sich-an (l’Avo in sé), il Sicano scelse la “via dei Padri”. Inoltre, se è pur vero che Adrano, essendo l’Avo, era con i suoi cani a guardia della via che il defunto doveva percorrere nell’al di là, è anche vero che il modo di effigiarlo nelle statue e nelle monete, come guerriero armato di lancia, lo poneva nella posizione di un dio solare, al pari di Apollo o dello stesso semidio Achille, che viene apostrofato da Omero “cane” di Orione essendo, con la sua bionda chioma e le lucide armi fornite da Efesto, luminoso appunto come quella stella. Ma di ciò disquisiremo altrove.

LA SPIRALE, anch’essa scolpita sui capitelli delle colonne di pietra lavica, è un simbolo che entra in relazione principalmente con il culto solare del solstizio d’inverno, ma non solo. Essa si ritrova incisa in  molti megaliti, o in quelle che sono ritenute tombe neolitiche, del nord Europa. Nei luoghi in cui essa è rappresentata, quasi sempre scolpita nella pietra, si nota la stretta relazione col solstizio d’inverno. Infatti, in tale occasione, si è notato che i raggi del sole nascente penetrano dentro la struttura megalitica attraverso un’apertura, per andare a colpire un punto ben definito all’interno di essa. 

È un vero peccato che i capitelli adraniti siano stati rimossi dal luogo dove furono ritrovati e che questo luogo non sia più identificabile. Infatti, verosimilmente, nel luogo dove essi si trovavano originariamente, si sarebbe potuto celebrare, millenni fa, un qualche rito legato al solstizio d’inverno. È legittimo credere che le colonne con le spirali incise sui loro bellissimi capitelli, antica arte sicana\sicula, facessero parte di una struttura circolare e che essi sorreggessero un altare dove, durante il solstizio d’inverno, che nell’antica Roma fu celebrato sotto il nome di natale solis, convergevano i raggi del sole, simbolo di rinascita.

Che nel sito del Mendolito si praticasse un culto del sole è facilmente intuibile a motivo delle centinaia di pesi tronco-piramidali da telaio ritrovati, i quali portano impresso il sole. L’enorme quantità di pesi da telaio rende accettabile pure l’ipotesi di un culto, nel Mendolito, nei confronti di Hera, poiché essa era la dea patrona della tessitura e dei matrimoni. Il dono delle vesti ad Hera e la vestizione della sua statua è ricca di testimonianze letterarie. Famosa è quella in cui si attesta la particolare ricchezza delle vesti donate da Alcistene alla dea durante la sua festa a Lacinio, in Puglia. La veste, ricamata con oro e argento, sarebbe poi stata venduta ai Cartaginesi dall’impavido tiranno dissacratore, Dionigi il Vecchio. È probabile che il Mendolito, oltre che essere sede di produzioni commerciali di tele, avesse un Heraion dove le future mogli avrebbero potuto svolgere un periodo di sacerdozio di iniziazione, prima del matrimonio, al servizio della dea. Il sacerdozio prevedeva, quale attività tra le tante, l’opera di filatura per il vestiario della dea.

Tornando alla spirale, a nostro avviso essa concentrava in sé, con il suo movimento circolare, che poteva svilupparsi verso destra o verso sinistra, un forte significato simbolico. Come si vede a lato, in una foto che riprende due galassie vicine e nell’immagine che riproduce una doppia spirale in argilla del V, VI millennio a. C., conservata nel Museo di Adrano, ma anche nelle due spirali incise su capitello, le spirali possono muoversi in senso avvolgente, includente o sinistrorso e in senso espandente o destrorso quasi ad esprimere, con tale ritmica simmetria, il respiro dell’universo (o di Dio!), in un atto che ricorda l’inspirazione e l’espirazione.

Il concetto di universo quale essere vivente era, del resto, chiaramente espresso nell’Upanisad (Aitareya Upanisad), in cui il pràna è inteso quale “soffio vitale”. Veda, Sumeri, Sicani, antichi Celti – popoli coevi e facenti parti di un medesimo ceppo etnico, prima dell’emigrazione artica (vedasi B. G. Tilak La dimora Artica dei Veda) – condividevano altresì uno stesso patrimonio di conoscenze.

La spirale, dunque, è un simbolo che riproduce la forma delle galassie, mentre la croce inscritta nel cerchio indica i quattro punti cardinali, i solstizi e gli equinozi. Se a tutto questo aggiungiamo l’infinità di simboli raffiguranti convenzionalmente il sole raggiato o forse la stella di Orione riscontrati su pesi da telaio e su Phitos, non possiamo fare a meno di assimilare la civiltà sicana a quelle tradizionalmente indicate come esperte di astrologia, quali la Sumera, la Egizia, la Celta, la Persiana;
parimenti non possiamo non mettere sullo stesso piano, quanto a conoscenze astronomiche, i sacerdoti Adraniti, quelli Egizi, i Druidi, i Magi, i Medi, caste sacerdotali alle quali era demandata l’interpretazione del simbolismo delle spirali, della ruota del sole e, come vedremo più avanti, del volo degli uccelli.

 La croce potenziata effigiata nello splendido Pithos del IV millennio a.C. esposto nel museo di Adrano, costituisce, assieme alla croce uncinata o gammata, una variante della ruota del sole. Essa indica un movimento di rotazione attorno al proprio centro, comune anche all’antichissimo simbolo della Triscele, ed implica pertanto una forma di stabilità interiore, che non doveva essere ignota ai Sicani.

La croce uncinata, riproducendo l’attrezzo che generava la fiamma attraverso lo strofinio, riporta al simbolismo del fuoco; un fuoco materiale, così come un turbinoso fuoco interiore e spirituale, governabile attraverso il fulcro centrale della croce, attorno al quale avviene la rotazione. 

L’aquila è presente nel bagaglio simbolico adranita fin da tempi immemorabili. Essa si ritrova nella più antica monetazione locale, dalla quale trarremo supporto per l’interpretazione del simbolo che ispirò gli Adraniti di migliaia d’anni fa. Non è un caso che nelle monete essa sia effigiata di profilo, in volo ed abbia sempre una preda fra i suoi artigli, una lepre o una serpe. Tre monete adranite raffiguranti l’aquila riportano nel verso il granchio, animale d’acqua sia dolce che salata, e nel recto rispettivamente un cavallo marino, una biscia, una pinna di pesce, anch’essi animali o elementi che riconducono all’acqua. Delle aquile raffigurate in volo, due vengono da sinistra, una da destra. La provenienza da destra o sinistra non è un dettaglio, ma ha un suo profondo significato, chiarissimo nell’antica arte dell’interpretazione posseduta dagli antichi. Ecuba, moglie di Priamo, chiede a Zeus un segno della sua benevolenza, che invii cioè un’aquila proveniente da destra (Iliade XXIV, 293). In Odissea XXIV, Ulisse, andando a trovare il padre Laerte e fingendosi un amico del figlio, gli racconta di aver visto quest’ultimo partire con una nave, diretto verso Itaca, e si meraviglia che non fosse ancora arrivato, poiché mentre salpava, “gli uccelli vennero volando da destra, uccelli felici”. In Odissea XXI, mentre i Proci svolgono la prova dell’arco, uno di loro, Antinoo, in segno di buon auspicio, prima di cimentarsi nella prova, invita i “compagni a disporsi da destra, da dove parte il coppiere per mescere”. Crediamo che, in origine, la stessa scrittura avesse andamento sinistrorso, cioè da destra verso sinistra, per lo stesso motivo. Crediamo cioè che la parola, ispirata dalla Musa all’aedo, si sarebbe concretizzata successivamente, quando cioè la tradizione orale si mise per iscritto, con andamento augurale.
L’AQUILA
è certamente il simbolo più potente espresso dalla tradizione adranita, a motivo dell’immediata associazione alle grandi altezze che questo animale può sorvolare e grazie all’attributo di “re del cielo” che si è guadagnata. Nella mitologia germanica è uno degli animali sacri a Odino, in quella latina e in quella greca è l’uccello preferito dal padre degli dèi, Giove e Zeus. Entrambi, l’aquila in ambito animale, i due dèi in quello divino, sono signori dei cieli.

Probabilmente il movimento che iniziava da destra per concludersi a sinistra, trovava il proprio simbolismo nella nascita del sole; contrariamente, quello da sinistra verso destra sarebbe stato attribuito ad un moto innaturale e dunque irreligioso, negativo, che provocava sconvolgimenti dell’ordine costituito dagli dèi e chi lo avesse seguito o ne fosse stato causa avrebbe provocato o sarebbe incorso in un’inevitabile rovina per sé e per chi sposava la sua stessa causa. Dunque la provenienza da sinistra era foriera di sventura. Infatti Telemaco, augurando che Zeus facesse pagare ai Proci le offese di cui la sua famiglia era vittima, si vide inviare da questi, quale simbolo di consenso, due aquile che, venendo da sinistra, si posavano sui tetti delle case dei Proci (Odissea lib. II). Ed ancora: mentre il porcaro Eumeo auspica che il suo padrone Ulisse torni ad Itaca per sterminare i Proci, che divorano le sostanze del legittimo re, ecco che “a sinistra un uccello dell’augurio apparve, era un’aquila dall’alto volo che si stringeva una trepida colombella”. Ma il simbolo più infausto che maggiormente s’impresse nella memoria collettiva del mondo occidentale, fu certamente quello desumibile dal racconto di Omero (Iliade XII,200) e che sancì la sconfitta troiana. Mentre i due eserciti, il troiano e l’acheo, combattevano, un’aquila, che veniva da sinistra, portando una serpe tra le grinfie, superava l’esercito degli Achei, raggiungeva le schiere dei Troiani, le sorvolava e faceva cadere infine su di loro la serpe insanguinata. L’aruspice troiano, interpretando il segno come negativo, sconsigliò Ettore di avanzare verso le navi troiane, ma questi, non dandogli credito, con l’avanzata procurò la disfatta prima dell’esercito, della città poi.

Nel sapere magico-religioso di tutte le antiche civiltà, al lato sinistro è stato attribuito un carattere negativo. In estremo oriente si conoscono due possibili vie di scelta per agire in ambito magico, in un rapporto uomo-mondo, corpo-spirito: la via della mano destra e la via della mano sinistra (vàmàcàra). Quest’ultima è una via violenta, che trova la propria applicazione nell’ultima età del mondo, quella del Kali-yuga, corrispondente, secondo il punto di vista Indù, all’attuale era. Le due vie sarebbero anche sinonimo, semplificando, di magia bianca e magia nera. Che la destra indicasse un movimento di buon auspicio, come detto, faceva parte di una condivisione universale. Nel Kausitaki Upanisad, in quella che sembrerebbe una pratica più in odor di magia che di rito religioso, l’officiante conclude la sua invocazione dicendo: “Pertanto mi volto secondo il giro degli dèi e a seguire mi volto secondo il giro del sole. Così dicendo si volta girando intorno al braccio destro rivolto verso il centro di tale rivoluzione”. Nel Taittirìya Upanisad, viene attribuito il lato destro al testo più antico dei quattro, il Rg Veda, e il sinistro al Sama Veda. Crediamo che, in realtà, il concetto di destra e sinistra rientri nella filosofia della riconversione degli opposti, secondo la quale ogni evento, raggiunto il suo apice, si riconverte nel suo opposto. Per esempio, un lungo periodo di pace porterebbe alla dissoluzione dei costumi, ad una degenerazione etica e dunque ad una nuova guerra. A sua volta, una guerra troppo lunga, a motivo dello sfiancamento dei popoli belligeranti, conduce alla pace e al ripristino dell’ordine. Si constata, dunque, come ad una ascesa, segua inesorabile, una discesa.

Noi siamo convinti che il simbolismo della spirale, presente nella città che ospitava il santuario della divinità sicano\sicula dell’Avo divinizzato Adrano, nella quale convergevano i fedeli da tutta l’isola, avesse l’intento di trasmettere al mondo sicano il chiaro messaggio secondo cui dal centro religioso di Adrano, sede dell’Avo divinizzato, si sviluppassero tutte le energie di potenza. Stava ai sacerdoti Adhranhiti indirizzarle in senso positivo o negativo (verso destra o sinistra), a secondo che si rivolgessero ad alleati o nemici. Ciò fino al 213 a.C., quando i Romani, specialisti, a loro volta, nell’arte magica, temendo il dio Adrano e ritenendo i suoi sacerdoti davvero capaci di manipolare le energie cui si è fatto riferimento, opposero, seguendo il suggerimento dei loro aruspici, un rimedio di carattere magico: eressero cioè un muro attorno al tempio del dio Adrano, onde non fare uscire all’esterno le suddette energie di potenza, ed impedirono ai sacerdoti del dio e ai suoi fedeli di riunirsi per esercitarne il pubblico culto. Infatti, precedentemente, durante le pubbliche cerimonie in onore del dio, avveniva l’invocazione del dio sicano – appunto questo significa il termine Odhr-an-hiti, “coloro che invocano il furore di dio” – e il dio, rispondendo alla chiamata dei suoi protetti, sprigionava le divine energie a danno dei nemici del popolo sicano. Si ricordi, a tal proposito, il significativo passo in cui Plutarco (Vita di Timoleonte) narra della sconfitta del tiranno di Lentini, Iceta, intenzionato ad espugnare la fortezza di Adrano. Secondo il racconto, il dio stesso avrebbe partecipato alla battaglia, sconfiggendo Iceta, tornando dalla medesima tutto sudato per la fatica. Il 213 a.C. segnò dunque per i sacerdoti Adraniti una lenta ed inesorabile scomparsa.

Se fossimo nelle condizioni di risalire all’anno del conio delle monete adranite riportanti l’aquila con le prede fra gli artigli, potremmo ipotizzare a quali eventi la simbologia delle aquile possa fare riferimento. Una delle due monete con l’aquila proveniente da sinistra potrebbe essere state coniata ad Adrano dopo il felice esito della battaglia di Himera, avvenuta nel 480 a.C., nella quale venne inferta, con il grande contributo degli Adraniti (chiamati Etnei in quel tempo), una sonora sconfitta ai Cartaginesi, che vennero scacciati da tutta l’isola. L’altra moneta con l’aquila proveniente da sinistra potrebbe fare riferimento all’episodio della sconfitta del tiranno Iceta, partito per espugnare Adrano ed ivi sconfitto sotto le mura, e alla conseguente cacciata dei tiranni dall’isola durante il periodo timoleonteo. Anche in questa occasione gli Adraniti furono determinanti.

Per  quanto riguarda il  volo dell’aquila proveniente da destra, gli esempi raccolti in letteratura inducono a ritenere che esso fosse portatore di un augurio di carattere religioso, metafisico: nella Kausitaki Upanisad, nel contesto della  descrizione di un rito dal chiaro valore magico, viene intimato all’officiante di inginocchiarsi sul ginocchio destro. Sulla scorta di queste considerazioni si potrebbe ipotizzare che la moneta nella quale il volo dell’aquila proviene da destra, possa collegarsi ad un evento riconducibile ad un assenso o un atto di benevolenza divina, non collegabile dunque a fatti di sangue o militari: forse si tratta della celebrazione di una grazia ricevuta, come la cessazione di una epidemia. Si pensa ad un atto di divina benevolenza assimilabile a quello richiesto da Ecuba a Zeus a favore di Priamo che, recandosi da Achille per chiedere la restituzione del corpo inerte del figlio, lo ottiene in seguito ad un atto di insperata pietas da parte dell’odioso nemico personale di Ettore; tale esito positivo della vicenda era stato anticipato ad Ecuba proprio dalla visione dell’aquila, inviata da dio, proveniente da destra.   

Prima di concludere questo breve excursus sulla simbologia adranita, non rinunciamo ad alimentare le nostre riflessioni con un tocco di fantasia, o pensiero divergente che dir si voglia, inoltrandoci nella personale interpretazione del lessema scolpito su una delle grandi pietre che costituiscono le nostre mura Ciclopiche, da noi scoperto durante un attento esame delle stesse, come riprodotto nella fotografia a fianco, nella convinzione che la ricerca, privata di quel tocco di necessaria creatività, si condannerebbe all’immobilismo dettato da intransigenti “ipse dixit”.
Forse sarebbe il caso di interrogarsi sul motivo per cui solo gli anglosassoni, che per più tempo rimasero legati all’antica religione dei padri e dove per più tempo esercitarono il loro potere religioso i tanto temuti sacerdoti Druidi, utilizzano il metodo sinistrorso della circolazione veicolare. Tra l’altro, in una nostra recente escursione in terra d’Irlanda, stranamente, abbiamo trovato spirali solo sinistrorse. Che questa straordinaria e magica terra, in cui l’odierno pellegrinaggio ai numerosissimi dolmen, autentiche cattedrali preistoriche, avviene con un’austera compostezza non riscontrabile trai i distratti visitatori in pantaloncini delle cattedrali cristiane gotiche, possa aver conservato un inconscio o mal celato collegamento simbolico col suo recente passato pagano non possiamo escluderlo; si pensi che l’Abate Mellitus, nella sua corrispondenza con papa Gregorio Magno, lamenta proprio la tenacia degli anglosassoni nel legame con i loro culti pagani e la difficoltà riscontrata nella conversione cristiana di quel popolo (Storia ecclesiastica dell’Inghilterra). Del resto, che simboli magici o esoterici siano stati volutamente introdotti, ancora in tempi moderni, nella formazione di nuovi Stati, quale consapevole veicolo subliminare di oscure evocazioni, è evidente. Gli Stati Uniti d’America ne sono l’esempio più eclatante: qui, infatti, la simbologia massonica trova espressione in tutte le istituzioni statali ed è palesemente riprodotta nei centri di potere (il Pentagono, i diversi simboli della zecca ecc). Pertanto, se la Massoneria ha davvero influito nella scelta del simbolismo americano ufficiale, sarebbe illogico ritenere che avesse rinunciato a tale influenza nei confronti di quello anglosassone, visto che il vertice di tale organizzazione ha sede proprio in Inghilterra e viene definito di rito scozzese, con riferimento a quella Scozia che mai fu colonizzata dai Romani e che, invece, influenzò, in tempi remoti, attraverso la religione druidica, la stessa Irlanda.

A nostro avviso, potrebbero essere percorse due vie interpretative. Se fossero giuste le nostre tesi in merito alla fondazione sicana della città di Innessa, poi rinominata Etna ed infine Adrano, e in merito al fatto che i Sicani parlassero una lingua indoeuropea, molto simile  alla protogermanica, saremmo allora in presenza di un vocabolo sicano dal chiaro significato sacro, coerentemente con la sacralità della città ospitante il santuario del dio patrio. La possibile e comprensibile obiezione del lettore circa la stranezza della presenza di un lessema decontestualizzato di carattere sacro su una pietra, potrebbe trovare risposta nel fatto che, in  Germania nord settentrionale, è stato ritrovato, con una frequenza impressionante, scolpito su pietre, un lessema isolato, ALU, al quale gli studiosi tendono ormai ad attribuire un significato di  ordine religioso, facendolo derivare dal protogermanico aluh (Tabù) o alh (proteggere); si consideri inoltre che in antico inglese alhs significava tempio e in antico norreno con “alh” si indicava un amuleto; infine, in una pietra norvegese posta sopra un tumulo, appare la medesima iscrizione, ALU, ma in senso antiorario. Tornando all’iscrizione incisa nelle nostre mura ciclopiche, crediamo che il simbolo grafico corrisponda al lessema arcaico VE, presente anche nell’epigrafe del Mendolito, dove formava il prefisso del vocabolo Ve-regaieso, riferito a Teuto, da noi tradotto con l’espressione “principe consacrato”; infatti la consonante V veniva rappresentata in alfabeto siculo con il seguente simbolo grafico, perfettamente corrispondente con quello inciso sulla pietra. Il lessema potrebbe essere stato impresso sul blocco di pietra utilizzando la combinazione tra il sistema sinistrorso di scrittura sicana (per quanto riguarda la rappresentazione della V/Immagine) e quello destrorso di scrittura greca (per quanto riguarda la rappresentazione della E); si riproporrebbe in tal caso il simbolismo destra/sinistra delle due spirali incise sul capitello, di cui si è detto sopra, e a cui si è attribuito il significato, indubbiamente sacro, di respiro dell’universo o di dio. Secondo tale interpretazione, il seminascosto sacro lessema, scolpito sulla dura pietra della cinta muraria della sacra città di Adrano, avrebbe  avuto lo scopo di garantire alla città forza e centralità magico religioso, conferendo ai sacerdoti adraniti l’energia per attrarre e riflettere forze extrafisiche, delle quali determinare direzione e carattere distruttivo o creativo.

Se non fosse così, allora il vocabolo potrebbe semplicemente essere formato da una I e una E, come le lettere che troviamo incise in molte monete in esergo dell’effigie del toro. In questo caso lasceremo ai numismatici il compito di interpretarne il significato.

Concludiamo il nostro excursus sulla simbologia adranita nella speranza che ogni cittadino, se riscopertosi portatore di antichi concetti, possa istituire il proprio larario e fare propri codesti simboli di vittoria; e più d’ogni altro li faccia propri questa amministrazione. Se essa non fosse all’altezza del ruolo che i cittadini le hanno conferito, sarebbe bene che si stabilisse una superiore solidarietà tra tutti coloro che non si sono mai lasciati sfiorare dai servilismi e dagli interessi egoistici dei singoli partiti politici; solo così si potrebbero soppiantare le innaturali alleanze umane di individui che hanno amministrato una sì nobile città sotto l’egida di una bandiera ove, certo, non vi è apposta quell’aquila cittadina che, con coraggiosa abnegazione, il patriota e consigliere Luigi Perdicaro, nel lontano 1928, riuscì a mantenere, lottando contro chi voleva sopprimerla, onde gli Adraniti potessero imitarla, seguendone le vertiginose altezze che erano loro, anticamente, familiari. Che gli interessi della nostra amministrazione trovino il loro centro d’applicazione nello stesso centro delle simboliche nostre spirali, le quali, volgendosi da destra o da sinistra, trovano convergenza nel comune fulcro da cui esse si generano, rappresentato dal bene collettivo.

– Francesco Branchina