ROMA – «Rispetto la magistratura, adesso andrò a costituirmi». Sono le prime parole di Salvatore Cuffaro, appena uscito di casa. Subito dopo si è allontanato a bordo di una Punto grigia diretto al carcere di Rebibbia.

Accompagnato dai Carabinieri del Ros l’ex Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, dopo la condanna definitiva a sette anni di carcere, sta raggiungendo la stazione dei Carabinieri Farnese di Roma in attesa del provvedimento che arriverà dal Reparto operativo di Palermo. Cuffaro viene descritto da chi lo ha visto «visibilmente provato».

“AFFRONTERÒ LA PENA COME GIUSTO CHE SIA” «Adesso affronterò la pena come è giusto che sia, questo è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli». Sono le parole di Salvatore Cuffaro, intrattenutosi per qualche istante con i giornalisti appena uscito di casa, prima di andare al carcere di Rebibbia a costituirsi. «Sono stato un uomo delle istituzioni – ha proseguito – e ho un grande rispetto della magistratura che è una istituzione, quindi la rispetto anche in questo momento di prova. Questa prova – ha concluso – che certamente non è facile, ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e soprattutto ha rafforzato la mia fede». «Se ho saputo resistere in questi anni difficili è soprattutto perchè ho avuto tanta fede e la protezione della Madonna, adesso affronterò la pena come è giusto che affronti un uomo delle istituzioni ed ora viene chiamato a sopportare una prova. Lo lascerò come insegnamento ai miei figli, devono avere fiducia nella giustizia e nelle istituzioni».

Confermata, a carico dell’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e violazione del segreto istruttorio nell’ambito del processo ”talpe alla Dda”. Lo ha deciso la seconda sezione penale. E’ diventata quindi definitiva la condanna di Salvatore Cuffaro a sette anni di reclusione per favoreggiamento a Cosa Nostra e rivelazione di segreto d’ufficio. L’ex governatore della Sicilia rischia di andare in carcere. Entro cinque giorni sarà notificato l’estratto della sentenza a Salvatore Cuffaro. Cuffaro, comunque, potrebbe decidersi di costituirsi in carcere anche prima dello scadere dei cinque giorni. In passato, dopo la condanna definitiva, l’ex parlamentare Cesare Previti si costituì spontaneamente nel carcere romano di Rebibbia. “E’ una sentenza che desta stupore e rammarico anche perché, ieri, la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l’annullamento dell’aggravante mafiosa per l’episodio di favoreggiamento ad Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna”. Lo ha detto l’avvocato Oreste Domignoni, difensore di Cuffaro in Cassazione insieme a Nino Mormino al termine della lettura del verdetto su Cuffaro. Cuffaro dalle 9 alle 12:30 di stamani si e’ raccolto in preghiera nella Chiesa della Minerva, nel centro di Roma, seduto su uno scranno in fondo, in compagnia di un paio di uomini della segreteria. Ha trascorso la mattinata in uno stato d’animo che, chi lo conosce, definisce “molto provato”. Cuffaro, con addosso un impermeabile scuro, è uscito presto dalla sua abitazione questa mattina, pochi metri distante, ed è andato direttamente in chiesa, da dove è uscito pochi minuti prima delle 12:30. L’ex governatore della Sicilia uscito dalla chiesa si è diretto nella sua abitazione romana, sempre in centro, a pochi metri di distanza. L’ex Governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro si sta andando a costituire a Roma dopo la conferma in Cassazione della condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Lo si è appreso negli ambienti dell’entourage del senatore.

SECONDO PROCESSO PER CONCORSO ESTERNO La sentenza di condanna a sette anni nel processo per le cosiddette ‘talpè della Dda di Palermo è appena diventata definitiva, ma per il senatore del Pid Salvatore Cuffaro i guai giudiziari non sono ancora terminati. Il prossimo 3 febbraio ricomincia, davanti al gup del Tribunale di Palermo, Vittorio Anania, il processo con il rito abbreviato a carico dell’ex Presidente della Regione siciliana, per concorso esterno in associazione mafiosa. I pm del processo, Antonino Di Matteo e Francesco del Bene, hanno chiesto al termine della requisitoria la condanna a dieci anni di carcere. Nell’ultima udienza i legali hanno chiesto invece la non procedibilità del processo per ‘ne bis in idem’, cioè a loro avviso Cuffaro non può essere processato perchè già imputato per gli stessi reati nell’altro processo, concluso oggi in Cassazione. Il 3 febbraio sono attese le repliche dei magistrati dell’accusa e nell’udienza successiva parleranno i legali di Cuffaro. La sentenza è prevista per metà febbraio.

CASINI E FOLLINI “DISPIACIUTI” In un comunicato congiunto Pier Ferdinando Casini e Marco Follini si dicono «umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro» ed esprimono «rispetto per la sentenza, come èdoveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma, non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso».

CESA: “UMANAMENTE VICINI” «Nonostante le nostre strade politiche si siano separate da qualche tempo, sono sempre stato convinto dell’innocenza di Cuffaro e dell’assenza di qualsiasi legame tra lui e la mafia. Oggi, nel pieno rispetto della sentenza, mi sento umanamente vicino a Tot• e alla sua famiglia in questo momento di profondo sconforto». È quanto afferma, in una nota, il segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa, appresa la notizia della condanna definitiva di Salvatore Cuffaro a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.

LE TAPPE DEL PROCESSO Comincia il 5 novembre del 2003, con l’arresto, tra gli altri, di due insospettabili investigatori che lavoravano fianco a fianco con i pm di Palermo, l’inchiesta, poi denominata talpe alla dda, che coinvolge l’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, oggi condannato in via definitiva dalla Cassazione. Un’indagine, condotta dai pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, che svela una vera e propria rete di spionaggio, costituita da sottufficiali dei carabinieri e della Dia come Giorgio Riolo e Giuseppe Ciuro, che, su input dell’imprenditore della sanità Michele Aiello e con la complicità di impiegati della Procura, avrebbero rivelato, proprio all’ex manager, notizie riservate su indagini di mafia in corso. Aiello, secondo l’accusa, sarebbe stato l’alter ego del boss Bernardo Provenzano nel mondo della sanità. L’inchiesta, che porta alla luce anche una serie di truffe al sistema sanitario, va a intrecciarsi con un’altra indagine della dda sulle commistioni tra il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro ed esponenti politici come l’assessore dell’Udc Mimmo Miceli, «delfino» dell’ex governatore Cuffaro, condannato in un altro processo per mafia. Ne viene fuori un quadro di collusioni che coinvolgono anche l’ex maresciallo dell’Arma Antonio Borzacchelli, processato e condannato per concussione successivamente. Commistioni e relazioni pericolose in cui Cuffaro, secondo l’accusa, avrebbe avuto un ruolo centrale. Informato da Borzacchelli, eletto, poi, all’Ars nelle liste del suo partito, di una microspia piazzata a casa del capomafia Guttadauro, Cuffaro avrebbe avvertito Miceli, abituale frequentatore del boss di Brancaccio. Rivelazioni che Miceli riferì a Guttadauro, che scoprì la cimice. Da qui le accuse di rivelazione di segreto istruttorio e favoreggiamento aggravato alla mafia a carico dell’ex presidente della Regione. Il 2 novembre del 2004 l’allora presidente della Regione viene rinviato a giudizio. L’uno febbraio 2005 comincia, davanti alla terza sezione del tribunale, presieduta da Vittorio Alcamo, il processo di primo grado a carico di 12 imputati e due società. Il dibattimento si conclude, il 18 gennaio 2008, con la condanna di Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento semplice. Cade la contestazione dell’aggravante mafiosa. Pene pesantissime vengono inflitte anche agli altri imputati: come Aiello, che viene condannato a 14 anni e Riolo a 7. Il 23 gennaio del 2010 la corte d’appello di Palermo, presieduta da Gincarlo Trizzino, rincara la dose, riconosce l’aggravante e condanna l’ex governatore, che intanto si è dimesso, a 7 anni. Pena più dura anche per Aiello (15 anni e sei mesi) che finisce in cella e Riolo a cui i giudici, cambiando l’accusa da favoreggiamento a concorso in mafia, danno 8 anni.

I CANNOLI CHE LO ROVINARONO Più delle accuse e dei guai con la giustizia l’immagine che ha avuto un peso enorme nella vicenda umana di Salvatore Cuffaro, che dovrà scontare sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, è quella che lo riprende, dopo la condanna di primo grado, davanti a un vassoio di cannoli che gli aveva portato un amico. Dava l’impressione che stesse festeggiando la condanna a 5 anni, ma lui ha sempre negato sostenendo che stava solo spostando quei dolci dal tavolo del suo ufficio. Se questo è il simbolo del declino (qualche giorno dopo si dimise da presidente della Regione) c’è un’altra improvvisata comparsa televisiva rimasta nella memoria del grande pubblico che segnò invece lo spumeggiante esordio di Cuffaro. Era il settembre 1991. Michele Santoro e Maurizio Costanzo avevano organizzato al teatro Biondo una trasmissione su Libero Grassi, ucciso dalla mafia per essersi ribellato al racket del pizzo. All’improvviso un giovane Cuffaro, rosso in viso e in maniche di camicia, si lanciò dal pubblico in una appassionata difesa di Calogero Mannino, suo capo politico, a quel tempo accusato da un pentito. »È una volgare aggressione – gridò – alla migliore classe dirigente siciliana della Dc«. Costanzo, che non l’aveva mai visto, chiese a uno degli ospiti chi fosse e ne storpiò il nome chiamandolo »Puffaro«. Ma quell’appellativo lasciò ben presto il posto a quello di Totò »vasa vasa«, ispirato alla sua abitudine di rendere più calorosi i suoi incontri pubblici e privati baciando su entrambe le guance gli interlocutori. Quei gesti affettuosi, uniti alla cura metodica dei rapporti con l’elettorato, lo hanno reso popolare e politicamente sempre più influente. Che fosse una portentosa »macchina di voti« si era capito sin dal 1991 quando fu eletto all’Assemblea regionale siciliana sfiorando le 80 mila preferenze. Il successo non arrivava per caso. Nato nel 1958 a Raffadali, una volta roccaforte del Pci in provincia di Agrigento, si era messo in luce come consigliere comunale del suo paese e prima nelle liste studentesche quando frequentava la facoltà di medicina (poi arrivò la specializzazione in radiologia). Nel 1990 l’approdo al consiglio comunale di Palermo, quindi il passaggio all’Ars e un nuovo exploit elettorale nel 1996 che lo fece diventare assessore all’agricoltura. Dopo un breve passaggio nella giunta di centro sinistra guidata da Angelo Capodicasa, la scalata di Cuffaro ai vertici della Regione raggiunse il culmine nel 2001 quando, come candidato del centro destra, sconfisse Leoluca Orlando nella prima elezione diretta a presidente. Replicò il successo nel 2006 quando l’avversario era Rita Borsellino. Ma dopo meno di due anni dovette gettare la spugna. Aveva resistito alla prima condanna, era riuscito a superare una mozione di sfiducia del centro sinistra all’Ars ma non le reazioni suscitate da quella foto »maledetta« con i cannoli. Sposato con Giacoma Chiarello, pure medico, padre di due ragazzi, Cuffaro ha sempre manifestato un forte sentimento religioso. La sua casa è piena di statue e immagini della Madonna a cui nel 2001 affidò le sorti della Sicilia. Dopo le dimissioni da Governatore, presentate il 23 gennaio 2008, sembrava che la parabola politica di Cuffaro fosse arrivata alla conclusione. Lui stesso aveva fatto intendere che si sarebbe fatto da parte. Invece non mancò l’appuntamento con le politiche del 2008 quando trascinò con i suoi voti l’Udc al Senato, conquistando un seggio. Nell’ottobre 2010 è stato al centro di una nuova svolta politica. Abbandonata l’Udc, ha promosso con Calogero Mannino e l’amico Saverio Romano il Pid, Popolari di Italia domani. Il gruppo, in rotta con Casini, si è subito schierato a sostegno del governo Berlusconi e ha votato per la fiducia. Cuffaro ha condiviso fino in fondo quella linea ma ha preferito restare fuori dalla scena per dedicarsi ai suoi appuntamenti con la giustizia ribadendo sempre il massimo rispetto per la magistratura. Fino alla vigilia della sentenza della Cassazione, che il senatore ha atteso raccogliendosi in preghiera nella chiesa della Minerva a Roma e affidandosi, come sempre, alla Madonna prima di andare in carcere.

FONTE: www.leggo.it

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