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Una notizia apparentemente insignificante, una “non notizia” per il grande pubblico generalista, condotto quotidianamente dai mass media a girovagare fra le cronache più frivole e quelle più truculente. Una notizia dai risvolti troppo tecnici, cui pochi lettori prestano attenzione: il Ministero dell’Interno con decreto del 16 marzo ha prorogato il termine per l’approvazione dei bilanci di previsione 2015 degli enti locali (comuni e province) al 31 maggio dello stesso anno. Lo Stato non è in grado di fornire per tempo agli enti locali i dati relativi ai trasferimenti centrali di cui beneficeranno, né quelli del fondo di solidarietà comunale, né, infine, quelli che riguardano la ridefinizione degli obiettivi del patto di stabilità interno dell’anno in corso. Di conseguenza comuni e provincie non sanno ancora cosa mettere nero su bianco all’interno dei loro strumenti di previsione economico – finanziaria.

E che sarà mai, potreste obiettare. D’altronde, quella del 2015 è già la seconda proroga, avendo il Ministero rinviato già una prima volta il termine del 31 dicembre 2014 al 31 marzo dell’anno successivo. La legge prevede, infatti, che i bilanci di previsione debbano essere approvati entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui fanno riferimento, per consentire ai comuni di programmare adeguatamente entrate e spese, correnti ed in conto capitale. Senza bilancio approvato, invero, le amministrazioni non sono autorizzate a contrarre obbligazioni, né ad impegnare somme e ad effettuare pagamenti.

Per colpa dello Stato, tuttavia, l’andazzo degli ultimi anni è stato quello di spostare il termine per l’approvazione dei bilanci di previsione sino al 30 novembre dell’anno in corso (è accaduto, ad esempio, per i bilanci di previsione del 2013, mentre per il 2012 il termine è stato spostato sino al 31 ottobre e quello del 2014 al 30 settembre), così che un bilancio di previsione si trasforma, ipso facto, in un conto consuntivo, con buona pace del principio di programmazione economico -finanziaria e di tutti gli altri criteri di contabilità pubblica che mirano, ad esempio, ad evitare la formazione di debiti fuori bilancio ed i conseguenti disavanzi di amministrazione, cioè, debiti, debiti, debiti.

In assenza del bilancio di previsione gli enti locali debbono barcamenarsi in regime di esercizio provvisorio o di gestione provvisoria, durante il quali l’operatività dell’amministrazione è fortemente ridotta ed allo stesso tempo condizionata. Nel corso della gestione provvisoria è possibile fare fronte solo ad obbligazioni derivanti da sentenze esecutive o a quelle necessarie per evitare all’ente danni certi e gravi e si possono effettuare pagamenti solo per l’assolvimento di obbligazioni già assunte, per le spese di personale, per le rate di mutuo e per poco altro ancora. Mentre con l’esercizio provvisorio gli enti locali possono impegnare somme esclusivamente nella misura di un dodicesimo degli stanziamenti previsti, per ogni singola voce di spesa, nell’ultimo bilancio di previsione approvato, così che l’efficienza e l’efficacia dell’erogazione dei servizi alla cittadinanza ne risente in grande misura. Insomma, si viene a creare una condizione di vera e propria paralisi.

A ciò si aggiunga che davanti a necessità impellenti, spesso, in assenza di bilancio, si procede ugualmente a contrarre “ di fatto” obbligazioni con i fornitori della pubblica amministrazione i quali poi reclamano crediti che rischiano di diventare, seduta stante, “ debiti fuori bilancio”.

Come se non bastasse, infine, lo Stato alimenta un’incertezza nel corso dell’anno che incide sulla condizione delle famiglie e dei contribuenti, atteso che la mancata tempestiva determinazione dei trasferimenti ai comuni costringe questi ultimi a non potere individuare per tempo le aliquote delle tasse locali che risultano necessarie per assicurare il pareggio di bilancio. Le previsioni di bilancio e le determinazioni delle aliquote si sono rincorse, da tempo oramai, nel corso dell’intero anno solare poiché il termine per l’approvazione del bilancio 2012 è stato, ad esempio, prorogato per ben 4 volte, quello del 2013 per 3 volte e quello del 2014 ancora per 4 volte.
La Corte dei Conti, sezione delle autonomie, con delibera n. 18 del 12 giugno 2014 ha stigmatizzato questo malcostume italico, che prende le mosse, come abbiamo visto, dal ritardo col quale lo Stato adotta le decisioni che incidono sulla finanza locale, ed ha precisato che: “Tale situazione sminuisce il ruolo degli strumenti di programmazione che dovrebbero operare in tempi congrui per orientare la gestione dell’esercizio. In tal modo perde di efficacia l’essenziale valenza del vincolo autorizzatorio, connesso con l’approvazione del bilancio di previsione da parte del Consiglio; la gestione finanziaria è condizionata da tale vincolo che definisce i limiti per la realizzazione dei programmi dell’ente ed è strumento fondamentale di garanzia per il mantenimento degli equilibri finanziari del bilancio e della gestione. La mancanza di un bilancio ritualmente deliberato non consente la concreta e sostanziale definizione di tale vincolo autorizzatorio sui singoli stanziamenti e comporta inevitabili ricadute negative sul processo di programmazione e controllo, nonché sui sistemi di controllo interno e di valutazione della performance della dirigenza. “
Il pastrocchio quest’anno sembra ancora più grave in virtù del fatto che con la predisposizione dei bilanci di previsione del 2015 sarebbe dovuta entrare in vigore la riforma in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e loro organismi, prevista dal Decreto legislativo n. 118/2011. Una riforma ispirata ad un maggior rigore nella redazione dei bilanci e dei conti consuntivi, documenti che dovrebbero rispettare i principi di contabilità pubblica, finalmente adottati in un testo legislativo, fra i quali spiccano quelli di veridicità, attendibilità, correttezza, comprensibilità e pubblicità. Una riforma, in altre parole, che dovrebbe contribuire ad una gestione più oculata ed efficiente delle risorse erariali ed al contenimento del debito pubblico di derivazione locale. Una riforma, l’ennesima, che, salvo radicali cambiamenti nelle consuetudini statali, rischia di non produrre alcun risultato per molti anni ancora. Di certo non a partire dal 31 maggio 2015.

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Fonte: Rocco Todero