L’appuntamento, fissato con email qualche giorno prima, il Nostro non usa cellulare, ma risponde sempre all’email, era per le 18.00 di un pomeriggio di fine agosto in Piazza Santa Maria Gesù. Arrivo trafelato quasi 10 minuti prima, perché mi immagino che sia lì già ad aspettare. Non mi sbagliavo.       Lo vedo che aspetta, ritto in piedi, postura che risalta la figura  longilinea, sobriamente elegante, pur in camicia a manica lunga, davanti lo storico bar Privitera, di pomeriggio ancora chiuso per ferie.

Lo vedo, dicevo, mentre percorro,  circa 150 metri, arrancando, giùper la leggera discesa che si dipana dalla piccola Chiesetta di Santa Maria del Gesù,  vero  nome dei Minori Riformati, unica vestigia, sopravvissuta allo scempio urbanistico degli anni ’60, perpetrato dal cavaliere dell’apocalisse Costanzo, con la distruzione di Villa Carcaci e villa Emilia e la lottizzazione della selva dei Minori Riformati e dell’Orto dei Minoritelli, per approfondimenti vedi “S. Maria di Gesù: Da Villa Carcaci alla selva dei Frati” di Elio Miccichè, editoriale Agorà”.

Scempio utile e molto lucroso, per l’apocalittico cavaliere, per far posto a due orribili e mostruosi palazzacci, figli della mala burocrazia e della pessima politica di un’ epoca da “sacco di Catania” quella che pomposamente, come e più di una maledizione, definiva Catania, la “Milano del Sud”.

L’incontro..

Cordialità di rito e ci spostiamo 50 metri piùavanti in un altro bar per sederci ad un tavolo. Nel tempo che aspettiamo Marco Benanti, come al solito in cronico ritardo, Alfio Caruso, comincia a parlare del ricchissimo latifondista, originario di Adrano, che era suo nonno frutto di un amore tardivo di un ricchissimo latifondista di metà Ottocento, che incapricciato della cameriera l’aveva messa incinta e sposata, rimase orfano molto presto“…

A Biancavilla, il nonno, aveva l’aranceto e la proprietà confinante con un altro ricco latifondista, Micio Sanfilippo.

Micio Sanfilippo, ricco latifondista, la cui sorella sposa Natale Ciancio, penalista di grido catanese fin dagli inizi degli anni cinquanta.

Domenico(Micio)Sanfilippo,il primo vero e autentico fondatore architetto del potere universale, che di lìa poco ne sarebbe seguito, nel 1944 riapre, o meglio rifonda la loggia massonica catanese. Terminata la guerra,  tra la fine del 1946 e l’inizio dell’anno successivo, Micio, con 25000 mila lire si libera del socio Fazio, ricco panettiere si, ma non illuminato.

A marzo del 1945 nasce il quotidiano “la Sicilia, già sin da allora, foglio della potente massoneria catanese, ci sarà un motivo se di quattro quotidiani alla fine rimarrà solo “La Sicilia”; magari avrà avuto i giovani più bravi, all’inizio la dirigerà, Alfio Russo, ma dietro aveva il potere vero.

Alfio Caruso entra alla Sicilia, a meno di diciasettanni, tramite  il professore Nino Leocata, il pediatra dei figli di Candido Cannavò.      

Alfio a “La Sicilia”, trova già Luigi Prestinenza, Nino Milazzo agli Esteri, il capo cronista Nicolosi, Piero Isgrò, Puccio Corona, Mario Petrina, dopo qualche mese arriveranno anche, Vittorio Corona e Carmelo Pluchino. Grande squadra la definisce, Alfio, quasi sbirciando dietro con lo sguardo, come per inquadrare chi non èpiù. A “La Sicilia” fino al 1971, per ogni articolo guadagnava mille lire, quando Mario Ciancio, lo chiama, in quella stanza che già da allora, vi si poteva accedere solo se si era tra gli eletti, per comunicargli, che l’avrebbe assunto.. agli inizi del 1977.

Il Nostro ringrazia e declina il suo intendimento di lavorare a Milano, quasi un delitto di lesa maestà ma la decisione, anche se a soli 21 anni, era maturata e assolutamente ferrea. Eppoi l’assunzione dopo sei anni, aveva veramente poco appeal.

Finalmente arriva Benanti ed entriamo nel vivo della chiacchierata, con Alfio Caruso.

Ciancio e il sistema di potere.

 Già nei Siciliani, Alfio Caruso, aveva esplicitato il suo pensiero su Ciancio e il suo sistema di potere, chiarendo che gli altri, e non il potente editore, si erano allineati alle sue posizioni, perfino i più puri marxisti, da Carlo Muscetta a Pietro Barcellona, finiranno per essere gli sgabelli, anzi le sdraio(iena de luca) che  difenderanno Mario Ciancio a spada tratta. Del professore Barcellona si ricorda la polemica astiosa, durata mesi, con paginoni su “La Sicilia”, con la Galbanelli, per un servizio di “Report” sul sistema di informazione a Catania.

Alfio di persona rincara la dose “è stata la codardìa, la condiscendenza e l’opportunismo di una cittàintera che ha trasformato Mario Ciancio nell’uomo più potente da Roma in giù. Lui ci ha messo un intelligenza superiore agli altri e un uso spregiudicato del potere, ma senza la connivenza altrui tutto questo non sarebbe esistito. La Catania degli imprenditori, la Catania della cultura non c’èmai stata,l’unica Catania esistita, con l’idea fissa di fare i soldiè quella della massoneria. Catania, con Firenze, ha il primato di adepti alla P2, negli elenchi di Castiglion Fibocchi. Catania, in definitiva, una città di opportunisti, di marionette. Catania Città del compromesso. In questa città a resistere è solo il sistema massonico-affaristico-mafioso, che domina, forse,  su un valle di morti”.

Per Alfio,  da Catania si deve scappare è l’unica attività possibile!

Domando (de luca) ma non è un po’ arrendersi?

Alfio : “C’era il proverbio soldato che scappa torna buono per la prossima battaglia, soldato che si immola è un meno, non c’è più per la prossima,  io fatico a credere nel riscatto,  magari fra 400 anni sarà un’ altra isola ma la mia generazione la scommessa l’ha persa per nostra esclusiva responsabilità. Questa città non premia il meglio, a Catania avviene in modo esasperato ciò che avviene nel resto del paese, se venissero a Catania premiati i talenti la situazione scapperebbe di mano a chi detiene il potere.”

Palermo-Catania: Siciliani agli antipodi.

Opportunisti, marionette, i Catanesi. Di tutt’altra pasta i Palermitani. PALERMO avamposto degli uomini perduti.

Palermo, non ha mai abbandonato la bandiera della legalità, pagando un prezzo altissimo come sangue. A CATANIA DUE MORTIFAVA E LIZZIOMontana viene ucciso a Palermo, dove la bandiera della legalità ha sempre sventolato. Catania, piuttosto, ha ridicolizzato gli oppositori spesso solitari. Ricordo l‘ing Mignemi che girava come uomo sandwich, in impeccabile grisaglia alla fine degli anni sessanta denunciandogli scandali che sarebbero venuti fuori :San BerilloCorso dei martiri, fu messo in ridicolo, fu macchettizzato, fu massacrato come uomo.

“Peppino” Fava, Catania e i Catanesi.

“Peppino”, così Alfio quando parla di Giuseppe Fava. Mentre lo rievoca, un sentimento molto forte di commozione pervade, Alfio, fino a scuoterlo con colpi di tosse, che durante i quasi 120 minuti, si accentuano quando nomina “Peppino”. Userò le virgolette, parola per parola per rimarcare la grazia, la dolcezza, la soavità delle espressioni rivolte a “Peppino”. Con iena Benanti, abbiamo interpretato, in totale non condivisione, le emozioni  provate da Alfio Caruso, io più di Marco vicino all’emozionalità di Alfio.

“Peppino Fava, uomo di grandissima intuizione, affabulatoria straordinaria, ora di fronte a ciò se la risposta è pistolettate in testa, ciò denuncia non soltanto la ferocia di questa città ma anche la sua profonda cretinaggine. È indubbio che Fava faccia più danno a cosa nostra da morto che da vivo perché le sue denunce a Catania non venivano prese sul serio e l’uomo era talmente:

INGENUO CHE CERTI SUOI ATTEGGIAMENTI DAVANO ADITO A PRETESTO PER DENIGRARLO. CHI DICE CHE FAVA RICATTAVA I CAVALIERI NON LO CONOSCEVA.”

“PEPPINO AVEVA IL CANDORE DI UN BAMBINO. L’INGENUITÀ DEL FANCIULLO CHE SI APRIVA ALLA VITA. Ma l’aveva a 60 anni. Peppino si sarebbe potuto trasferire, a Roma, a Milano non lo volle mai fare perché non ce la faceva ad immaginare di svegliarsi dove non c’era il mare.”

Di questo attaccamento a Catania, quasi insano, maniacale se non patologico, voglio ricordare (de luca) ciò che l’immenso Pippo Fava, che non ho mai conosciuto se non per gli scritti dalla rivista dei Siciliani, il tributo, lui di Palazzolo Acreide, che rese alla sua città adottiva:

“io con Catania ho un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è perdutamente innamorato di una puttana e non può farci niente, sa che è puttana, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, prepotente e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell’amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro.

Riprende Alfio Caruso “PEPPINO FAVA STRAORDINARIO POETA UN ANIMA LIMPIDA PERSINO INGENUO, quando lui morì scrissi io il commento sul “Giornale” col titolo, “il poeta col pallone” una persona talmente ingenua da accettare di dirigere il “Giornale del Sud” senza curarsi dei proprietari, scatenando una campagna di stampa contro Graci  e i suoi interessi. Fava aveva due interessi primari: la fica e il pallone, infatti la squadra dei giornalisti se la fece lui per avere il posto assicurato da terzino destro.”

“Peppino Fava mai fu assunto al “La Sicilia”, perché Ciancio non si fidava, ma solo capo cronista all’ “Espresso Sera”, manco come direttore. Ciancio si giustificava per gli equilibri redazionali. Appunto Ciancio riteneva Fava inaffidabile, nonostante il suo candore, gli interessi rivolti verso le donne e il pallone, la sua incorruttibilità, il suo rigore morale lo rendevano inaffidabile agli occhi dell’establishment catanese, l’inchiesta del 67 “Processo alla Sicilia” aprì gli occhi ad un intera generazione; la mafia era un fenomeno sociale e non folcloristico. L’inchiesta fu il frutto della passione civile di Fava, essa fu fondamentale perché ruppe l’omertà dei giornali siciliani sulla mafia, ancora cosa nostra non esisteva e si chiamava l’onorata società, con gli uomini d’onore ed era un fenomeno appunto folcloristico .”

 Benanti: Il potere di Ciancio verrà ridimensionato dalla crisi?

Alfio Caruso: magari la crisi economica potrà ricondizionare il potere di Ciancio, magari potrà esserci un vuoto ma la sparizione del fenomeno Ciancio garantirebbe un miglioramento di Catania? Secondo me NO! Perché Ciancio è l’effetto di Catania il sistema informativo incarnato da Mario Ciancio non è la causa dei mali di Catania bensì l’effetto.

Potrebbe capitare che Ciancio, al tramonto magari come la DC sia rimpianto auspicandone un ritorno. Questa città forse mi ha deluso come sistema di potere, Sgalambro per me straordinario cultore del nulla, al “Corriere” disse che la soluzione per la Sicilia sarebbe stata quando metà dei Siciliani avrebbe combattuto col fucile l’altra metà, dapprima mi sembrò affermazione priva di senso storico ma con gli anni l’ho rivalutata.”

 

– Bad, Benanti De Luca, iene col registratore