Con il federalismo il Sud non verrà penalizzato, non saranno toccate le autonomie speciali (su cui si era espresso duramente il governatore del Veneto, Galan). So bene che se non ho con me il Meridione, il federalismo non passa. Per questo preferisco una riforma soffice piuttosto che niente“.
Parole e musica di Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Normativa, venuto al Sud per rassicurarci che, nell’attuazione del federalismo fiscale, per quanto di sua competenza, le principali richieste della Regione siciliana non andranno deluse.
Le sue dichiarazioni sono però risultate alquanto generiche e non prive di ambiguità, tanto da dare l’impressione che, su alcuni punti, abbia promesso cose che non è in grado di garantire.

La prima richiesta riguarda, com’è logico che sia, il nostro Statuto Speciale. Il ministro ha promesso che sarà salvaguardato.
L’attuazione del federalismo fiscale va fatta con legge ordinaria, la quale, come molti sapranno, non ha la capacità di rivedere il sopra citato statuto, che ha il rango di legge costituzionale. Qualunque sua violazione potrebbe essere denunziata dalla nostra Regione di fronte alla Corte Costituzionale con prospettive di sicuro successo. Il ministro intende forse dire che si impegna a fare in modo che venga pienamente attuato nelle materie in cui ciò non è ancora avvenuto, in particolare procedendo al trasferimento delle funzioni riconosciute come di competenza siciliana, ma ancora esercitate dallo Stato?
Se così fosse, sarebbe stato necessario puntualizzare che lo Stato, contemporaneamente al trasferimento delle suddette funzioni, avrebbe provveduto a fornire i mezzi del finanziamento. È proprio questo infatti il punto più delicato.
Una delle ragioni per le quali fino ad oggi non è stato possibile risolvere la questione è legata al fatto che l’originaria assegnazione di risorse finanziarie alla Regione era stata determinata con una valutazione che teneva conto delle spese che al tempo, cioè 60 anni fa, le funzioni devolute comportavano. Oggi, con lo sviluppo dello Stato sociale, tale valutazione non risulta più valida, e le risorse assegnate si rivelerebbero insufficienti.

Sulla seconda richiesta della Regione, che riguarda la devoluzione delle imposte di produzione (accise) sugli oli minerali riscosse in Sicilia, e quindi la questione dell’adeguatezza dei finanziamenti, Calderoli è stato molto evasivo.
Ha accennato anzitutto a problemi di costituzionalità. Il riferimento concerne l’art. 36 del nostro statuto, che contiene la riserva allo Stato delle suddette imposte, ma si tratta di problemi nella sostanza inesistenti, perché alla Regione non interessa la titolarità delle suddette imposte, che può rimanere allo Stato, bensì che i loro gettiti, in parte o totalmente, affluiscano al bilancio regionale. Questione questa che non richiede alcuna revisione dello statuto.
Il ministro ha anche detto che occorre parlarne con Tremonti. E qui la questione diventa veramente difficile. La bozza del disegno di legge elaborata da Calderoli prevede che, per le Regioni a Statuto Speciale, la regolazione dei rapporti finanziari sia fatta in sede di modifica delle norme di attuazione e questo richiede una negoziazione tra Stato e Regione che va svolta entro gli argini dei nuovi principi costituzionali e dei criteri fondamentali posti a base della legge delega. Tra questi, quello che maggiormente ci interessa, riguarda l’invarianza che deve osservarsi nei carichi pubblici. Il ddl lo dice chiaramente: divieto di oneri aggiuntivi per i bilanci di Stato, Regioni ed Enti locali, con la sola eccezione degli scopi perequativi, peraltro prevista solo in via transitoria.
La richiesta di devoluzione alla Sicilia delle imposte di produzione si scontra col suddetto divieto, in quanto sottrae allo Stato entrate del suo bilancio. Calderoli promette di appoggiare la richiesta, ma fa presente che la decisione spetta al ministro del tesoro, sapendo bene che Tremonti non può non opporre un rifiuto, perché se viene tolto un mattone alla diga costruita in base al divieto di oneri aggiuntivi, questa diga crolla per la pressione esercitata da tutte le altre Regioni, soprattutto quelle meridionali.
Insomma siamo di fronte ad un gioco delle parti: il ministro buono che vorrebbe ma non può e quello cattivo che si oppone.
Le possibili vie da seguire per risolvere la questione sono due.
La prima chiama in causa la perequazione prevista dall’art. 119 della Costituzione per gli enti con minore capacità fiscale. Non può essere disconosciuto il diritto della Sicilia ai trasferimenti perequativi, anche con riferimento alla funzioni statali non ancora trasferite alla nostra Regione. Se nella nuova valutazione della corrispondenza tra entrate regionali già assegnate e connesse spese standard da sostenere risulta, come sembra, un deficit di risorse, occorrono trasferimenti perequativi. Tale perequazione deve però essere completa, altrimenti si trasferiranno alla Sicilia funzioni oggi svolte dallo Stato impiegando risorse minori rispetto a quelle che lo Stato oggi spende.
La seconda via è quella del contributo di solidarietà nazionale previsto dall’art. 38 dello Statuto. Ipotesi, questa, considerata in via subordinata anche dalla nostra Regione.
E’ una via indiretta, perché tale contributo può essere impiegato solo per opere pubbliche. Ma è chiaro che il conseguimento di ulteriori risorse, anche se vincolate nella destinazione, libera altre entrate per le spese ordinarie. Si tratta di una soluzione che sembra sfuggire al richiamato divieto di oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, in quanto rientra nelle misure di finanza straordinaria previste dall’art. 119 della Costituzione, alle quali non avrebbe alcuna giustificazione estendere tale divieto.
E’ su tali questioni che il ministro dovrebbe assicurare il proprio impegno e corrispondere alle aspettative siciliane.

La terza richiesta poneva la questione della fiscalità di vantaggio, cioè il potere, riconosciuto alla Regione, di concedere esenzioni e agevolazioni alle imprese che intendono investire nell’isola.
Lombardo al riguardo ha rilanciato, ricordando più volte che ciò non basta per attirare nuovi investitori in Sicilia. Per convincere le imprese del Centro e del Nord Italia ad avviare le loro attività nel profondo Sud, bisogna anche creare le condizioni per velocizzare i trasporti e gli spostamenti, degli uomini e delle merci.
Per questo è importante che, accanto al provvedimento legato alla fiscalità di vantaggio, nel quadro più complesso del disegno di legge sul federalismo, il governo nazionale rispetti anche gli impegni e le promesse prese sul fronte delle infrastrutture: strade e ferrovie, Ponte, porti ed aeroporti in Sicilia devono diventare realmente efficienti per alzare il livello di attrazione della regione per potenziali investitori. Altrimenti, esaurita l’euforia per il fisco di vantaggio e di sviluppo, si rischierà di assistere ad una fuga di imprese e di imprenditori. Ammesso che gli sconti fiscali bastino a farli venire.
Il ministro, anche a questo proposito, ha dichiarato la sua disponibilità, ma ha fatto presente che a decidere sarà l’Unione europea.

In definitiva, non vorremmo che le sue generiche aperture si traducano, come dice un
noto proverbio, in promesse di marinaio.

Nella confusione generata dalle richieste e dalle confuse risposte che ne sono seguite, si rischia di non porre in risalto il fatto che, nel momento in cui verranno applicati i cosiddetti “costi standard”, la Sicilia rischia un crollo totale, irrecuperabile. Forse nemmeno 10 anni potrebbero bastare per raggiungere i livelli delle tre regioni che verranno scelte per dettare i parametri di tali costi.
Basti pensare soltanto ai costi standard della pubblica amministrazione che in Sicilia, per anni, ha rappresentato anche un’alternativa occupazionale rispetto a regioni più ricche.
Come sarà possibile adeguare la nostra spesa per i dirigenti regionali rispetto a quella che sostengono regioni come Lombardia o Veneto?
Oppure, quando si stabilirà il parametro di spesa per il settore della forestazione, come ci adegueremo con i nostri 30.000 forestali, rispetto ai costi della Lombardia che, pur avendo il doppio della nostra area a foresta, di dipendenti ne ha appena 400????

Ritengo essenziale che qualcuno dia o almeno cerchi di dare delle risposte a queste domande, prima di lasciarsi andare a commenti a dir poco entusiastici sulla riforma federale.

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