Il 28 ottobre i siciliani saranno chiamati a scegliere il nuovo Presidente. Si voterà con alcuni mesi di anticipo rispetto alla naturale scadenza della legislatura, conclusa anticipatamente per le dimissioni di Raffaele Lombardo.

Il prossimo 28 Settembre verranno presentate le candidature. Da quel giorno comincerà ufficialmente la campagna elettorale.
Proviamo a fare luce sulle caratteristiche del sistema elettorale siciliano, diverso da quello in vigore nelle altre regioni a statuto ordinario. Proprio le sue peculiarità rischiano di avere un effetto più che mai dirompente sull’esito della competizione.

In Sicilia è in vigore la legge n. 7/2005 che delinea un sistema misto, in larga parte proporzionale ma con un correttivo maggioritario: dei 90 deputati dell’Ars, 80 sono eletti proporzionalmente, sulla base di liste di candidati concorrenti nei diversi collegi elettorali provinciali in cui è ripartito il territorio regionale. In particolare: Palermo 20 seggi, Catania 17, Messina 11, Agrigento e Trapani 7, Siracusa 6, Ragusa 5, Caltanissetta 4 ed Enna 3.
Questi 80 seggi sono assegnati tramite il metodo del quoziente Hare (o dei più alti resti, con recupero sempre a livello provinciale) alle liste che abbiano superato lo sbarramento del 5% a livello regionale.
Dei 10 seggi che rimangono da attribuire, 2 sono assegnati rispettivamente al neoeletto Presidente della Regione ed al migliore dei suoi competitors (il candidato presidente giunto secondo).
Gli altri 8 seggi, facenti parte del cosiddetto “listino” regionale composto da 9 candidati, incluso il candidato Presidente della Regione (che ne è capolista), possono essere assegnati ai candidati della lista regionale più votata, ma entro il limite del raggiungimento di 54 seggi (escluso il Presidente) a favore della coalizione vincente. Una volta raggiunta tale maggioranza, non si può andare oltre: i seggi eventualmente rimanenti sono ripartiti tra i gruppi di liste di minoranza sulla base del totale dei voti validi conseguito a livello regionale da ciascun gruppo che abbia superato lo sbarramento del 5%. E’ uno dei motivi per cui il Pd, nel 2008, pur subendo una debacle, riuscì ad eleggere tre deputati nel collegio di Trapani, evento che difficilmente si ripeterà questa volta.
Sono quattro i possibili scenari che potrebbero delinearsi:
1) La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene nei collegi provinciali un numero di seggi pari o superiore a 54: non saranno eletti candidati del “listino” ma gli otto seggi saranno redistribuiti tra le liste di minoranza che hanno superato lo sbarramento. E’ quanto accaduto nel 2008, quando la coalizione guidata da Lombardo ottenne 61 seggi con il solo riparto proporzionale.
2) La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene al proporzionale un numero di seggi compreso tra 46 e 53: risulterà eletto un numero di componenti del “listino” (in ordine di posizione) che consenta alla maggioranza di ottenere 54 seggi in Assemblea (oltre al Presidente), mentre i seggi eventualmente residui saranno distribuiti tra le liste di minoranza.
3) La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene nei collegi provinciali tra 37 e 45 seggi: risulteranno eletti tutti i componenti del “listino” e la coalizione vincente avrà comunque garantita una maggioranza di almeno 46 seggi (compreso il Presidente).
4) La coalizione collegata al Presidente eletto ottiene meno di 37 seggi nella parte proporzionale: gli otto seggi del “listino” le saranno tutti attribuiti, ma ciò non consentirebbe alla coalizione vincente di disporre di una maggioranza assoluta in aula (46 seggi).
Tra le caratteristiche del sistema, la previsione di uno sbarramento del 5% per tutte le liste costituisce la più alta soglia esplicita attualmente in vigore nel nostro Paese, dopo quella dell’8% per le liste non coalizzate del Senato. Essa scoraggia la presentazione di liste personali e le scissioni dai grandi partiti, incentivando la formazione di cartelli fra partiti di piccole dimensioni. Tale soglia, unita all’introduzione del sopracitato quoziente Hare e della ripartizione dei resti a livello provinciale (altro elemento che favorisce i partiti grandi o medi concentrati, sfavorendo i piccoli partiti con distribuzione uniforme dei consensi) ha garantito una robusta riduzione della frammentazione (nel 2008, solo 4 partiti hanno superato la soglia riuscendo a conquistare seggi all’Ars: Pdl, Pd, Mpa e Udc).
L’elemento chiave della legge è però legato all’attribuzione degli 8 seggi del listino regionale che, per legge, deve contenere nominativi contemporaneamente candidati anche in una lista provinciale. Non si tratta di un vero premio di maggioranza. Esso infatti, oltre ad essere eventuale (può anche non scattare se la maggioranza ha già ottenuto 54 seggi), non è sempre decisivo: quando scatta non consente sempre il raggiungimento della maggioranza assoluta dei seggi (il quarto scenario visto sopra).
Con un termine tecnico si dice che non è “majority assuring“, ossia che non assicura la maggioranza.
In una situazione come quella che si sta delineando (una decina di candidati alla Presidenza, di cui 4 competitivi, con spaccature sia nel centrodestra che nel centrosinistra), non è affatto improbabile che si verifichi la vittoria di un Presidente senza maggioranza, con l’inevitabile conseguenza di dar vita ad un accordo post-elettorale fra partiti rivali in campagna elettorale o ad una massiccia compravendita di parlamentari da parte della coalizione vincente, al fine di assicurarsi il raggiungimento della soglia minima di 46 seggi. Con lo spettro, sempre dietro l’angolo, di una mozione di sfiducia al nuovo, debole Presidente ed il rischio sempre più concreto di dar vita ad un’altra legislatura fallimentare.

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