Se i nostri programmi ministeriali non avessero depoliticizzato e, più generalmente, neutralizzato Giacomo Leopardi – e qualunque altro autore – trasfigurandolo in una sorta di Lana Del Ray pre-moderna, oggi qualcuno ricorderebbe una delle sue massime più attuali: «il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina» – e cioè chi lo racconta. È successo a Roberto Saviano – al quale va la più ferma e convinta solidarietà per la vita blindata cui è costretto a causa delle fatwa emesse da chi lo vorrebbe morto, ma che sul piano stilistico, sia detto per inciso, lascia parecchio a desiderare. È successo, di recente, a Luca Abete, l’inviato di “Striscia la notizia” che, documentando come la stragrande maggioranza di pendolari saltasse i tornelli per eludere il pagamento del biglietto in una stazione di Napoli, è stato accusato di infangare il buon nome della città. È successo, dalle nostre parti, precisamente a Paternò, a Giulio Golia, celebre inviato de «Le Iene», in occasione dell’episodio dell’inchino di due “cerei”, sulle note de “Il Padrino”, di fronte alla casa di un boss durante le feste patronali. Giulio Golia, che ha anche confezionato servizi memorabili, talvolta non brilla per onestà intellettuale e rispetto del codice deontologico (basti citare, fra gli altri, la spettacolarizzazione del caso stamina) ed è d’altro canto comprensibile, se non anche doveroso, che un cittadino onesto manifesti fastidio per l’enfasi mediatica posta sulla quota criminale – vivaddio minoritaria, ma comunque poggiante su zone grigie – di suoi concittadini, enfasi che stimola generalizzazioni improprie e infondate di cui lui stesso è vittima. Sta di fatto, tuttavia, che è successa una cosa gravissima, sia sul piano religioso (anche se queste liturgie hanno più folklore e paganitas che cristianità, e sia detto in maniera del tutto avalutativa) che, soprattutto, sul piano istituzionale, nell’ambito del quale è stata inequivocabilmente dimostrata una certa “acquiescenza” delle autorità al cospetto di ambienti “poco raccomandabili” (sarà perdonato, a chi scrive, l’abuso di eufemismi). Trasformare il tutto in una disputa massmediologica – «i media raccontano solo le cose brutte!» (ma va?!) – non avvantaggia nessuno fuorché chi vuole distogliere l’attenzione dall’episodio, e se è vero che Giulio Golia ha liquidato troppo velocemente e con malcelata ironia i passanti che prendevano le distanze dall’accaduto dando per converso ampio spazio al figlio del boss, è anche vero che l’immagine di quest’ultimo ne esce tutt’altro che pulita – la puntualizzazione sugli occhiali da sole da ottocento euro che indossava, ad esempio, non è stata propriamente un assist – e che è assai più succulenta, sul piano giornalistico, l’opinione di un “protagonista” piuttosto che quella di un passante anonimo (se raccolta, ovviamente, con professionalità).

Negli stessi giorni, ha fatto scandalo un’uscita spavalda di Roberto Vecchioni, il quale ha asserito, dopo aver preso mille inutili cautele verbali, che «la Sicilia è un’isola di m**da».

A Roberto Vecchioni si può rimproverare di aver profanato l’arte subordinandola alla militanza politica e, nella fattispecie, di aver trasgredito le più elementari norme di comunicazione: è, come dire, scientifico che, per quante puntualizzazioni tu possa fare a margine, se dici pubblicamente che «tale regione è una regione di m**da» l’indomani l’infelice sortita sarà decontestualizzata e assolutizzata e di conseguenza ci sarà l’insurrezione degli abitanti di suddetta regione – specie in Italia, dove il campanilismo regionale, provinciale e sperso perfino cittadino tocca vette altissime. Ma, per banalità, ultra-semplificazione e deresponsabilizzazione, le risposte che ha ricevuto da noialtri isolani sono di pari livello. Parecchi siciliani hanno postato, sui social network, l’enorme nube di cenere emessa dall’Etna e delle colate laviche annesse durante la sua recente attività parossistica, con a margine didascalie spiritose del tipo «è questa l’isola di m**da di cui parla il professor Vecchioni?»; Rosario Crocetta, il Presidente della Regione che fra le altre cose ha dichiarato di voler andare in Libia a trattare coi miliziani dell’Isis, ha postato una sua foto in spiaggia in posa da sirenetto, scrivendo una riflessione non dissimile da quella di cui sopra. Ora, è ovvio che nessuno, neanche il più radicalizzato dei leghisti e men che meno Vecchioni, quando demonizza il meridione fa constatazioni di natura geografica o artistica: per quanto spesso si deformi la realtà per meglio accomodarla all’ideologia, non si arriva a questi livelli. Poi – quel che è più grave – le reazioni piccate cui va incontro chiunque faccia “affermazioni dirompenti” come quella di Vecchioni certificano che la suscettibilità (e al contempo lo stato di torpore) di noialtri siciliani è tale da renderci incapaci di fare un ragionamento elementare: non solo le meraviglie naturali che abbiamo ereditato e che esibiamo in risposta a chi osa criticarci non sono un’attenuante del degrado socio-politico e paesaggistico di cui siamo responsabili, ma sono perfino un’aggravante, se si pensa che a causa dei nostri atteggiamenti tutt’altro che civici il valore (estetico e, perché no, economico) di tali meraviglie risulti diminuito in maniera più che significativa. Alle foto dell’Etna, Vecchioni avrebbe potuto rispondere con le foto della spazzatura e delle brutture architettoniche ai margini delle strade che vi sono per raggiungere le vette del vulcano (degrado, questo, che testimonia l’inciviltà della cosiddetta società “civile” prima ancora che quella della società politica sulle spalle dalla quale si è usi scaricare tutte le responsabilità); alle foto di Crocetta in spiaggia, avrebbe potuto rispondere con quelle delle infrastrutture disastrate che vi sono (quando vi sono) per raggiungere i litorali o con le immagini degli edifici abusivi costruiti a pochi metri dal bagnasciuga, tutto degrado a causa del quale non riusciamo a massimizzare i flussi turistici – di tutto ciò, beninteso, Crocetta non è (l’unico e il diretto) responsabile, ovviamente, trattandosi di problemi millenari.

Se quest’atteggiamento persiste, un domani le barzellette sui siciliani potrebbero affiancare quelle su Totti e sui Carabinieri. «La sapete quella di quell’anziano paziente siciliano che, quando il medico, mostrandogli le lastre, gli ha detto “guardi, a me dispiace molto, ma decenni di tabagismo le hanno causato un tumore al polmone sinistro”, gli risponde “come diavolo si permette?! Io avrò pure un tumore, ma sono una persona solare, brillante e allegra”?»

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Alex Minissale via lagazzettacatanese.it