Il Prof. Francesco Branchina sfoggia, con innata dote, la sua arguta e pungente proposta alla politica adranita tutta, volta alla rinascita dei sopiti istinti patriottici, del coraggio di prestare le proprie capacità al servizio di una città, della forza e del coinvolgimento che un leader carismatico può applicare per il bene di una intera collettività. Lasciando da parte ogni colore politico, auspichiamo che queste eleganti parole servano ad ogni nostro rappresentante politico, affinché, una volta per tutte, Adrano possa definitivamente uscire dal guado dell’indifferenza e del menefreghismo, per tornare ad essere una luce trainante ai piedi del Mongibello.

La politica non è un servizio che abbia come fine l’utile, ma è la vita di un essere buono, civile, sociale, nato per vivere per quanto tempo gli è dato per il bene della città, dell’amicizia e dell’uomo

Plutarco, Moralia

IL RINASCIMENTO ADRANITA 

Vogliamo rassicurare innanzitutto i nostri lettori affinché non si lascino ingannare dal titolo dell’articolo. Non intendiamo, infatti, ergerci al ruolo di sapienti di filosofica memoria o di canuti saggi in odor di santità, anche perché la nostra solo incipiente canizie non lo consente; desideriamo semplicemente continuare quel gioco letterario, trovato gradevole dai nostri lettori, consistente nel fornire “consigli ai politici”, come ebbe a scrivere il buon Plutarco, che non fu solo storico di grande talento, ma anche filosofo, uomo profondamente religioso e soprattutto politico (fu arconte prima e ispettore edilizio dopo), convinto, sulla scorta della lezione del suo esimio maestro Platone, che il sapiente abbia il dovere morale di occuparsi della cosa pubblica.

Le nostre ricerche storiche, rese note ai concittadini grazie a questo pregevole sito, credo abbiano messo in evidenza quanto importante sia stato il ruolo esercitato dalla nostra città nel contesto socio-politico sicano-siculo della Sicilia. È indubbio che il prestigio raggiunto dalla nostra città fosse da attribuire agli uomini che la governarono e alle regole che gli stessi, con chiara lungimiranza, si diedero, applicarono e fecero rispettare, offrendo se stessi quale esempio vivente delle stesse, come nel caso del legislatore catanese Caronda che, avendo infranto sbadatamente una legge da lui stesso promulgata e prevedendo questa legge la pena di morte per i trasgressori, si uccise. È in parte possibile ricostruire tali regole vincenti attraverso la comparazione con popoli affini di cui conosciamo meglio il percorso politico, come i Latini, guida delle genti” come ebbe a definirli Plinio il Vecchio, stirpe consanguinea dei Sicani (abitatori del Lazio oltre che della Sicilia) con i quali condivisero una comune Weltanschauung indoeuropea.

LA CONTINUITÀ POLITICA

Il primo punto di forza del sistema politico romano consisteva nel ritenere il ruolo politico dei singoli non come inamovibile posizione di potere acquisito, ma come servizio transitorio prestato nei confronti dello Stato. Collatino, Coriolano, Camillo, Curio Dentato, Cincinnato, Tito Manlio Torquato e mille altri generali, consoli, dittatori che a questi seguirono, ne sono la testimonianza vivente. Roma era in grado di mettere contemporaneamente sul campo decine e decine di uomini capaci. I Consoli romani, in numero di due, venivano eletti ogni anno, onde evitare possibili accentramenti di potere, unico timore degli antichi patres. L’istituto dell’avvicendamento, per la velocità con cui avveniva, stupiva le longeve dinastie regie dei paesi orientali, che non riuscivano a comprendere come il Senato romano potesse conservare carisma, autorevolezza, coesione, nonostante i  re orientali dovessero interloquire ogni anno con un uomo diverso. Il motivo di tale carismatico rapporto del console romano nei confronti del reuccio orientale va ricercato nella continuità politica programmatica che ogni magistrato condivideva col suo predecessore. I consoli romani mai smentirono i loro predecessori: se un console aveva intrapreso una guerra in Macedonia piuttosto che in Assiria o Palestina, il successore non solo non avrebbe smentito o peggio, gettato discredito sul predecessore che, tra l’altro, veniva percepito dal popolo romano solo come un esecutore di ciò che veniva ratificato dal Senato, ma ne avrebbe continuato la politica, tutt’al più modificandone la strategia al fine di raggiungere meglio e prima lo stesso risultato che il suo predecessore si era prefisso.

In tempi moderni realizzare programmi di continuità a beneficio della città, dovrebbe essere ancor più facile da attuare. Bisognerebbe proporre un programma ispirato e finalizzato al bene della città, che non possa non essere condiviso con i successori. Un programma che preveda pochi punti ma essenziali per un’inversione di tendenza nello scenario culturale e sociale della città, fermo restando ovviamente l’impegno a far fronte con tempestività, creatività e ottimismo ai consueti adempimenti burocratici e alla gestione dell’imprevisto. Un programma condiviso con i cittadini, se non addirittura suggerito da essi, veri proprietari del “diritto” che informa la patria degli Avi. Chi si opporrebbe, per esempio, alla creazione di uno scenario socio-economico come quello che abbiamo descritto nel nostro precedente articolo, Adrano, turista nella mia città? Chiudere al traffico quei cinquanta metri di strada sotto il castello, creando un’isoletta pedonale, magari, per il momento, solo a titolo sperimentale, dalle 19,00 alle 24,00, adesso che si appresta ad arrivare l’estate, comprometterebbe forse la viabilità cittadina? Sarebbe ragione forse di contrasti tra forze politiche contrapposte, soprattutto se il progetto incontrasse il consenso dell’opinione pubblica? Queste cinque ore di totale fruibilità cittadina, durante le quali agli artisti, ai nostri stessi figli, potrebbe essere consentito di esprimere il proprio talento, il proprio “multiforme ingegno” mediterraneo, magari piazzando un cavalletto per fare ritratti o diffondendo piacevoli melodie o manifestando il proprio genio, non tornerebbero forse a favore dei bar cittadini?  

La continuità politica sollecitata non comporta la realizzazione di opere impossibili, ma semplicemente la garanzia della “normalità” sociale. Garantita in prima istanza questa normalità al cittadino, la politica potrebbe darsi obiettivi di più ampio respiro, obiettivi condivisi, di volta in volta, dalla collettività, la quale dovrebbe essere chiamata a manifestare il proprio consenso con i civili e tecnologici strumenti del referendum, del sondaggio telefonico o anche telematico. Il meccanismo della condivisione, se non proprio della proposta popolare, avrebbe l’effetto di stabilire un impegno inderogabile da parte di ogni successore alla guida della città e dare continuità al Progetto politico. A chi intendesse opporre a queste nostre proposte, onde definirle utopiche, l’alibi dell’onnipresente burocrazia, inibitoria di ogni sana proposta, vorrei ricordare che la nostra prestigiosa Via Roma, che fu resa per lungo tempo isola pedonale, nella giornata di domenica, dai nostri lungimiranti statisti concittadini, vide generazioni di giovani, coppie, famiglie, gustarsi la passeggiata domenicale nel magico o religioso silenzio non interrotto dagli odierni clacson degli indisciplinati automobilisti. La succitata Via Roma venne aperta al traffico domenicale dalla dispotica e scellerata decisione di uno straniero, un commissario ad acta, che deliberò, autonomamente, con un’ordinanza, che gli Adraniti smettessero di utilizzare “l’agorà” quale sano punto d’incontro, per consegnarla allo smog, al rumore e all’indisciplina. Un primo cittadino dei nostri giorni, rispolverate le ataviche tradizioni, potrebbe avere il medesimo ardire, legittimato altresì dal consenso popolare, di ristabilire, con un’altra ordinanza, le antiche consuetudini e dunque ripristinare “l’agorà”, ridare vita al salotto adranita all’interno del quale,  nei tempi passati, come mi ricorda spesso il mio amico Turi Corsaro, trassero ispirazione quei politici capaci di dar vita al prestigioso consiglio comunale adranita, definito dai paesi viciniori “il piccolo parlamento”, per l’autorevolezza e il prestigio di coloro che lo formavano.   

MANDATO A TERMINE

Le cariche politiche, nell’antica Roma, ruotavano con una velocità tale da impressionare le inamovibili tirannidi del mondo greco che, come quella di Gerone II di Siracusa, potevano durare anche cinquant’anni. Le elezioni dei Consoli avvenivano sulla base del riconoscimento delle loro qualità, soprattutto in funzione dei problemi contingenti che di volta in volta si presentavano: i primi due consoli romani furono Collatino e Bruto poiché, avendo cacciato il dispotico Tarquinio, si erano presentati come i garanti della res publica. Nonostante i due Consoli in carica per quell’anno fossero risultati vincitori durante la prima guerra sannitica, alla scadenza del mandato lasciarono il posto ai successivi consoli, i quali conclusero a loro volta, vittoriosamente, la guerra, imponendo il trattato di pace redatto dal Senato. La logica dell’avvicendamento consegnava del resto un messaggio subliminare al nemico, oltre che agli stessi Romani, secondo il quale ogni Romano sarebbe stato in grado di difendere la Patria, motivo per cui il potere non poteva essere detenuto da un solo uomo bensì dallo Stato il quale era, a sua volta, la risultante di una sommatoria di innumerevoli cittadini fatti della stessa tempra. Nessun generale era indispensabile allo stato romano. Gli uomini erano solo uno strumento nelle mani di un dio che aveva decretato, secondo Plutarco, che Roma diventasse caput mundi.  

Un mandato a breve termine presuppone pochi ma concreti obiettivi da raggiungere. Quando l’obiettivo consisteva nella risoluzione di un problema particolarmente grave e urgente, tale da non consentire lungaggini burocratiche, i Romani si servivano dell’istituto della dittatura, ritenuto pericoloso ma necessario dallo stesso Senato romano. Proprio perché era così temuta, questa carica doveva essere abbandonata da chi ne era stato investito, appena il problema si fosse risolto. È ormai famoso l’esempio di Cincinnato, al quale viene conferito il mandato di Dittatore. La delegazione romana inviata ad avvisarlo di questo conferimento, recatosi nella sua dimora, lo trovò intento ad arare il suo podere. Ebbene il pio Cincinnato, interpretando come un dovere di cittadino romano quello di accettare la carica, assolse al suo mandato in appena quindici giorni. Sconfitto l’esercito nemico in un’unica campagna campale, rassegnò le dimissioni da Dittatore e il giorno successivo ritornò ad arare il proprio podere. Noi crediamo che oggi un primo cittadino debba proporsi, come i consoli e, ancor di più i dittatori romani, dei chiari impegni programmatici a breve termine, concreti e realizzabili, in quanto fondati sulle sue reali competenze, rendendo in tal modo facilmente individuabili eventuali responsabilità giuridiche ed amministrative.  

SOSTITUIBILITÀ COMPATIBILE

Un mandato elettorale così concepito implica una revisione del ruolo di primo cittadino, inteso non più come un “lavoro”, per la lunga durata del mandato, ma come un dovere, una missione, un ruolo accettato nella consapevolezza dello stress che comporta, da tollerare di buon grado per amor patrio. Un ruolo così inteso porterebbe il primo cittadino a “liberarsi” della carica il prima possibile, onde poter ritornare ad occuparsi del bene proprio, come accadeva a quei principi Veda citati nelle Upanisad che, vicini alla morte, dopo aver ben governato il loro popolo, lasciavano la reggia per condurre una vita ascetica sull’Himalaya, onde guadagnarsi un posto laddove le cose del mondo sono mera apparenza (Maya). Poiché noi crediamo che una “città” come Adrano possa fornire decine e decine di uomini che abbiano a cuore la città, del proprio per poter  campare e in pari tempo capacità amministrative, vada cercato tra questi colui che interpreti il ruolo di sindaco “a termine”.

Comprenderei quanti dei miei concittadini deridessero un progetto politico o la ricerca di un leader secondo i metodi esposti sopra, tuttavia è sotto gli occhi di tutti come le società siano mutate radicalmente attraverso le utopie nate dalla mente di singoli individui e condivise successivamente con coraggio prima da pochi uomini e poi da intere nazioni; basti pensare al Comunismo o, agli antipodi, al Fascismo. Del resto anche confessioni religiose quali il Buddismo, il Cristianesimo, l’Islamismo, il Luteranesimo nacquero come teorie bislacche di singoli individui capaci nel tempo di creare i presupposti per un’inversione di tendenza. Il successo di tali comportamenti ed idee fu possibile poiché tutti questi facitori di idee politiche e religiose ebbero un comune denominatore: tutti furono motivati dallo stesso ardore e disinteresse, tutti spingevano verso un’unica direzione, il bene collettivo, tutti si avvalevano di una caratteristica indispensabile ad ogni vero leader, il coraggio.  

Già Schopenhauer aveva individuato nel leader, quali componenti indispensabili, “l’ardimento, il coraggio, la forza per difendere, a costo della vita, la Patria”. Noi oggi osserviamo nei politici due atteggiamenti opposti, a seconda delle loro caratteristiche etiche e comportamentali: quelli onesti difettano di coraggio e quelli disonesti ne hanno da vendere. Ecco dunque che, per il cittadino, diventa difficile trovare il leader ideale citato dal filosofo. Eppure oggi la legiferazione attribuisce al primo cittadino competenze e poteri tali da rendere verosimile la comparazione con la massima magistratura romana. Infatti, in qualità di ufficiale del Governo, egli può emanare atti in materia di ordine e sicurezza pubblica, svolgere funzioni in  materia di polizia giudiziaria, adottare Ordinanze a protezione dell’incolumità dei cittadini (art. 54 T.U.E.L).

A questi poteri ricorse il commissario che decise di aprire al traffico l’isola pedonale della Via Roma, di questi stessi poteri potrebbe servirsi il nostro primo cittadino per invertire il percorso infausto che ha trasformato la nostra imponente ed austera piazza cittadina in un caotica bolgia infernale.

Comprendiamo che quanto affermato fin qui potrebbe essere liquidato come una faciloneria da salotto, tuttavia tra coloro i quali tendono a vedere in un semplice sasso una montagna insormontabile e quelli che, forse con la medesima mancanza di equilibrio, nello stesso sasso vedono solo un granellino fastidioso, preferiamo questi ultimi visto che, il valore aggiunto dell’ottimismo, li porrebbe in una posizione di vantaggio in vista della ricerca della soluzione. Ancora una volta, in prova di ciò che affermiamo, è la storia che ci viene in soccorso: Focione, udito che i sessantenni che egli aveva chiamato alle armi, per far fronte ad una emergenza, si lamentavano, rispose che non vi era nulla di strano in tale convocazione, visto che a guidarli sarebbe stato lui, che di anni ne aveva ottanta; Massinissa ebbe un erede a ottantasei anni, a novanta, il giorno prima di morire, dopo aver sconfitto i Cartaginesi, fu visto davanti alla sua tenda mentre consumava pane nero come un semplice soldato. I cittadini adraniti, nella loro stragrande maggioranza, appartengono a quest’ultima tempra d’uomini e sapranno trovare il modo di scrollarsi il vittimismo e l’inconcludenza di pochi, prima che da tali caratteristiche sia contagiato il nostro sano tessuto sociale.

Francesco Branchina