In Italia, dopo ferventi polemiche, moralismi di vario genere e rallentamenti legislativi, nel 2016 si è finalmente arrivati alla regolamentazione normativa con legge 76/2016 “c.d. legge Cirinnà”, con la quale sono stati definiti numerosi aspetti riguardanti il rapporto sia giuridico che patrimoniale tra persone conviventi ma non sposate, anche e soprattutto in presenza di figli.

Cosa si intende per “conviventi di fatto”?

Si tratta di due persone, anche dello stesso sesso, maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

La legge Cirinnà, ha voluto contrattualizzare questo rapporto e non renderlo semplicemente fattuale, ma giuridico: la coppia infatti, concordemente, decide di registrare, attraverso la previa autentica di un avvocato o di un notaio, un vero e proprio contratto di convivenza dinnanzi all’ufficiale di stato civile del comune di residenza, ove si stabilisce, tra l’altro, quanto deve apportare ciascuno alle necessità della famiglia sia durante la convivenza sia nel caso in cui questa finisse. Quindi, suppone non solo il passo definitivo per vivere insieme ed essere riconosciuti come coppia di fatto ma anche un primo passo per un’eventuale separazione.

Da quel momento in poi, il convivente di fatto ha diritto a diventare, qualora fosse necessario, amministratore di sostegno del compagno; gli obblighi di reciproca assistenza sono infatti gli stessi dei coniugi regolarmente sposati.

La casa comune

Notevoli anche le statuizioni in materia di casa comune. Si stabilisce infatti che, in caso di morte del proprietario, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

Il diritto al mantenimento

La legge non prevede per i conviventi more uxorio (nda: significa ‘A modo di moglie’, per indicare la condizione di due persone che convivono stabilmente senza aver contratto matrimonio) un assegno di mantenimento in caso di separazione. In caso di cessazione della convivenza di fatto, però, il giudice può stabilire un diritto agli alimenti (assegno) qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

L’affidamento dei figli in caso di separazione

La legge riconosce pari diritti ai figli nati nell’ambito di una convivenza more uxorio rispetto a quelli venuti al mondo da una coppia sposata.

La procedura da seguire per l’affidamento dei figli in caso di separazione è la stessa, dunque: se manca l’accordo tra i conviventi, questi possono rivolgersi al Tribunale dei Minori. Sarà il giudice a stabilire il diritto di visita, l’assegno di mantenimento, l’affidamento e l’assegnazione della casa familiare.

Qualora, infine, il coniuge divorziato, percipiente assegno divorzile, contragga nuovo rapporto more uxorio, fa venir meno ogni obbligo di assegno di divorzio a carico dell’altro coniuge, che verrà dunque esonerato da tale obbligo.

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 Avv. Vincenzo Andrea Caldarella