I vertici del clan Scalisi, piegati ancora dal duro colpo inferto con l’inchiesta Time Out, rischiano di essere completamente schiacciati.Sono iniziate le udienze del Riesame per valutare i ricorsi presentati dai difensori degli indagati e la Procura ha depositato i verbali di un nuovo collaboratore di giustizia. Giuseppe Liotta ha deciso di entrare nel programma da pochi mesi: le date degli atti pieni di omissis partono dal 30 giugno 2015. Un nuovo pentito, dunque, che con le sue rivelazioni ha dato nuova linfa all’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. “Ho deciso di collaborare perché mi sono sentito tradito dal gruppo malavitoso in cui operavo”. Un tradimento, dunque, avrebbe spinto Liotta (in carcere per rapina) a diventare un “pentito”.

Liotta svela l’organigramma degli “alleati” dei Laudani ad Adrano. “Il vertice è Concetta Scalisi che porta il nome della famiglia”. Insomma sarebbe la figlia del boss Antonino, ucciso nel 1982, a tenere le redini dell’organizzazione criminale. Una “donna d’onore” per diritto di “sangue”: alla fine degli anni Novanta Concetta subentra al fratello Salvatore (anche lui morto) e ai nipoti finiti in carcere. E questo ruolo lo avrebbe fino ad oggi, secondo la versione del pentito. La “capomafia” di Adrano è stata accusata di triplice omicidio: al suo arresto si ferì le mani e l’addome con alcuni pezzi di vetro con l’obiettivo di esser trasportata in ospedale anziché entrare nel carcere di massima sicurezza di Catania. Una scena che fa comprendere “il carattere freddo” della ‘madrina’ della mafia. Ma prima delle manette per la Scalisi non sono mancati diversi periodi di latitanza.

E mentre Concetta è al vertice “Pippo Scarvaglieri è il “braccio meccanico”. Personaggio “di forte spessore e rispettato – racconta il pentito alla pm Assunta Musella – che continua a dare disposizioni anche dal carcere”. L’organigramma degli Scalisi si compone di molti altri nomi, personaggi quasi tutti finiti nella lista dell’ordinanza Time Out. Giuseppe Liotta, nipote di Pietro Maccarrone, li conosce bene: dal 2007 è entrato nel gruppo di Scarvaglieri. “Gli altri sono – rivela – Alfio Di Primo, inteso Pisciavino, Pietro e Salvatore Severino. Giuseppe Santangelo (il figlioccio di Scarvaglieri) è recentemente morto a causa di un infarto. E poi Marcello Stissi, Gaetano Di Marco alias “Tano Caliddu”, che in un periodo si è occupato delle estorsioni, il nipote Davide Di Marco, Carmelo Alongi, che sono attualmente i riferimenti e punti di forza di mio zio Pietro Maccarrone e Alfredo Maninno “detto” U Caliaru”.

Il nuovissimo collaboratore di giustizia fornisce elementi che sono perfettamente in linea con il contesto di tensione e fibrillazione interna al clan nel 2011, quando Scarvaglieri decise di affidare la gestione a Santangelo e in attesa della scarcerazione a Di Marco. Mentre Omar Scaravilli, dei Laudani, pressava per mettere al potere (o almeno affiancare) Francesco Coco, Cicciu Mafia. Quando Liotta esce dal carcere, è l’estate del 2011, percepisce “che la situazione era molto caotica essendoci più soggetti che volevano comandare ad Adrano, mentre Scarvaglieri ed il suo figlioccio, Santangelo Giuseppe, erano ancora detenuti”. All’epoca, secondo le ricostruzioni di Liotta, “il responsabile delle estorsioni era Gaetano Di Marco che operava insieme al nipote Davide. Contemporaneamente – dice –  ho constatato la presenza di Gìusepppe Mannino (fratello di Alfredo) il quale si occupava di estorsioni e aveva come referente Salvatore Rapisarda dì Paternò. Francesco Coco operava in maniera sempre più autonoma gestendo un proprio gruppo. La famiglia quindi attraversava un momento di grande confusione”.

Una cosa è certa per Giuseppe Liotta: il carcere non ha fermato “Scarvaglieri che ha continuato ad essere il capo indiscusso”.

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– Foto della Scalisi @ lifestyle.ie.msn.com

– Fonte articolo @ Laura Distefano via livesicilia.it