Il grande linguista Antonino Pagliaro non aveva dubbi. La parola «cirneco» deriva da kyrenaikòs, cane cirenaico e la usa Aristotele nella Historia animalium. È attraverso la mediazione latina cyr(e)naecus «in cui la scomparsa della vocale atona, la continuazione del dittongo e lo spostamento dell’accento sulla penultima sono normali» che assume il nome attuale. Il cirneco è in questa fase in gran spolvero perché l’Ente nazionale cinofilia italiana ha deciso che, nel 2018, per la prima volta, si disputeranno i campionati nazionali di lavoro, mentre ci si prepara a festeggiare gli 80 anni dello standard di bellezza della razza canina più antica del mondo. Questo vecchio siciliano, fiero ed elegante, viene oggi classificato come appartenente al Gruppo 5 «tipo Spitz e Primitivo», precisamente alla Sezione 7° «Tipo Primitivo da Caccia».

Lo standard di bellezza e di lavoro è la certificazione di esistenza in vita di una razza, il suo riconoscimento ufficiale che, per un cane così antico e importante, arriva grazie a uno di quei miracoli che solo le belle donne cocciute sanno compiere. Una vecchia storia in gran parte dimenticata che vale la pena ricordare. Corre il 1932, e un veterinario del piccolo centro etneo di Adrano, Maurizio Migneco, pubblica su «Il cacciatore italiano» la prima descrizione del cirneco dell’Etna, lanciando un appello ai «cinofili di buona volontà» per ricostituire l’antica razza dimenticata. All’invito rispondono in tre: l’avvocato Filippo Sferlazzas, cinofilo; il cavalier Domenico Diletti da Brisighella (provincia di Ravenna), allevatore di épagneul breton; Donna Agata Paternò Castello dei duchi di Carcaci.

Fermi! Una donna, in Sicilia e negli anni Trenta! E che donna! Diventerà il nume tutelare del cirneco, riuscendo, in meno di sette anni, a ottenere quello che lei stessa definirà «il miracolo dello standard». Agata appartiene a un’illustre famiglia di origine normanna, molto influente a Catania. È un bastian contrario per definizione. Nel senso che fa tutto ciò che, per una «normale» ragazza siciliana dei primi del Novecento, sarebbe «sconveniente». Chi mai oserebbe, infatti, riprendere una Carcaci perché, ventenne, (nasce nel dicembre del 1914), passeggia in pantaloni lungo la via Etnea, o frequenta l’Università, va a caccia all’estero, dirige le proprie aziende col piglio del capitano d’industria?

Ricostruendone grazie alla figlia Livia Giachetti – una essenziale biografia, s’incontra una donna che corre sempre. Ma, soprattutto, una aristocratica vera, di quella razza questa sì in estinzione cui non servono la rassicurante presenza dei cortigiani e il rispetto ossessivo delle convenzioni. Agata mette sempre entusiasmo e passione nelle battaglie della vita. Donna di grande fascino come ancora può notarsi dalle tante immagini che la vedono in giro per il mondo, con gli inseparabili cirnechi per niente sportiva nell’accettare le sconfitte, peraltro rare. Una volta si mette in testa di allevare le capre maltesi, sprovviste di corna. Quando ad alcune caprette spuntano quelle che non avrebbero dovuto esserci, la duchessa si arma di seghetto e provvede personalmente alla rimozione…

L’amore per le bestie, costante della vita. Sfogliando l’album di famiglia, è sempre in compagnia di cavalli, gatti, cani. Durante la guerra, per salvare gli animali dai bombardamenti, se li porta a casa. Nel salotto di casa Carcaci si gioca a bridge in compagnia del vitello preferito. Nel testamento si ricorda di capre e cavalli. Sempre in guerra, riesce, chissà come, a sfamare gli ottanta cani che vivono a Carcaci. Ma il vero miracolo è lo standard del cirneco, un capolavoro di perfezione tecnica, redatto dal professor Giuseppe Solaro, fra i più grandi esperti di tutti i tempi, senza mai scendere in Sicilia. «Sono nata e cresciuta tra i cirnechi perché, avendo le nostre terre vicino Adrano, non potevano mancare tra i cani di casa numerosi Cirnechi, anche se il concetto di razza era limitato ai setter ed ai pointer, mentre il Cirneco, che è una razza più antica, era considerato alla stregua di un cane da pagliaio».

Agata s’innamora di una cagna di nome «Fettuccia», di proprietà di un impiegato di casa Carcaci. «Più studiavo i cirnechi, più m’innamoravo della loro bellezza, della loro nobiltà». Nel corso degli studi che portarono all’approvazione dello standard Agata gira la Sicilia, acquista esemplari, costituendo così il nucleo originario dell’allevamento «Aetnensis». L’attività di selezione comincia nel 1934, con Katiuscia, due anni dopo l’articolo-appello di Migneco. Il 5 maggio 1942 nascono a Carcaci i capostipiti del suo allevamento Aetnensis. Signorina, Bellina, Vespina, Palomba, Santuzza, Edoardo, Pupa, Fiamma. Nomi siciliani che hanno fatto la storia della razza.

La signora dei cirnechi seleziona i clienti in base alla simpatia che le ispirano. Poi si ammala di cancro e, per curarsi sale in Piemonte. Ma continua a occuparsi dei Cirnechi. Fino alla fine. Muore nel febbraio 1958. Il Cirneco perde la mamma, ma ormai cammina da solo. È un cane di razza, la più antica fra le razze italiane.

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Felice Modica via il giornale.it