di LAURA ANELLO (giornalista del “La Stampa”)
PALERMO – Alla faccia della superstizione, i novanta consiglieri regionali della Sicilia – che per legge hanno il diritto di farsi chiamare deputati – hanno pensato anche al benefit per il passaggio a miglior vita: un contributo di cinquemila euro per le spese funerarie. D’altronde, se hanno trascorso l’esistenza di agi nelle auguste sale del Palazzo dei Normanni di Palermo – un tempo reggia di Federico II – dovrebbero forse privarsi di incensi, velluti rossi e corone di fiori al momento della dipartita?
Ma anche la vita è bella per il deputato siciliano, l’unico consigliere regionale che abbia compensi equiparati ai senatori, 19.685 euro lordi al mese. Più tutti gli extra, dall’autista ai cellulari di servizio, dai portaborse ai viaggi all’estero (pardon, missioni istituzionali).
Sarà forse per questo – per l’abbondanza in cui vivono gli inquilini dei palazzi del potere – che altrettanta munificenza, liberalità, larghezza viene adoperata per legioni di precari, eserciti di formatori professionali, barellieri delle ambulanze. Il viaggio tra le spese delle amministrazioni siciliane non manca certo di riservare sorprese. Tanto che la gara bandita per acquistare trenta computer portatili per i consiglieri comunali della disastrata Favara – dove due bambine sono appena morte nel crollo della loro catapecchia – appare una tessera infinitesimale di un mosaico gigantesco. Una goccia nel mare. L’antipasto di un pranzo luculliano.
Proprio come i pasti che i deputati dell’Assemblea regionale possono gustare nelle due buvette di palazzo, una aperta pochi mesi fa con la possibilità di optare per menù etnici, dal sushi al pollo al curry. Per un primo gli onorevoli pagano 2 euro e 25, per un secondo 3 euro e 38, per un contorno 1 euro e 13, per il pane e il caffè 75 centesimi. Perché conti così stracciati? Perché il resto è a carico del Parlamento più antico d’Europa. C’è da stupirsi allora se l’apertura di questo punto di ristoro abbia innescato una piccola lotta di classe? I 220 tra commessi, segretari, stenografi non hanno sopportato che l’ingresso sia stato riservato solo a deputati e portaborse. Per loro solo la storica buvette, altrettanto economica ma meno suggestiva.
Così, non c’è da meravigliarsi nemmeno se l’Assemblea – assediata ogni giorno da legioni di disoccupati, cassintegrati, precari, indigenti – abbia speso 216 mila euro per il nuovo logo commissionato dall’allora presidente forzista Gianfranco Miccichè nel sessantesimo anniversario dell’autonomia regionale. E se le celebrazioni, per una ricorrenza che cadeva nel 2007, durino ancora oggi. Mentre è eterna la questione della formazione professionale, sulla quale proprio ieri è stato presentato un progetto di tagli alla spesa da 20 milioni: la Regione spende ogni anno 240 milioni di euro per foraggiare una galassia di migliaia di insegnanti. Pazienza se ogni corso costa alle tasche dei cittadini 108 mila euro, pazienza se viene seguito in media da undici allievi, se soltanto uno studente e mezzo, alla fine, trova lavoro. I calcoli li ha fatti il procuratore generale d’appello della Corte dei conti, Giovanni Coppola: «L’effettivo avviamento al lavoro di un giovane siciliano pesa sui contribuenti 72 mila euro, non so davvero se ne valga la pena».
Meglio è andata a un drappello di venti giornalisti che invece il lavoro l’hanno avuto dalla Regione, e per chiamata diretta, assunti a tempo indeterminato nell’ufficio stampa con la massima qualifica di capo redattore. Con quelli che c’erano già fanno ventitré, a fronte dei cinque di Palazzo Chigi. Forse per questo, il pm della Corte dei conti ha appena chiesto un risarcimento di sette milioni e 300 mila euro all’ex governatore Totò Cuffaro che li assunse e al successore Raffaele Lombardo che li tiene in servizio. Bazzecole rispetto al buco della Sise, la società che si occupa dei soccorsi con il 118, la cui passata gestione è stata inghiottita in una voragine da 60 milioni di euro, 40 dei quali solo per straordinari. A dispetto del fatto che per ogni ambulanza ci sono dodici soccorritori-barellieri, in totale 3.200 dipendenti, il doppio della Regione Piemonte. I costi? Nel 2008 quasi 90 milioni di euro.
Troppi primati per non innescare una gara di emulazione. Così Palermo, completata la stabilizzazione degli ultimi tremila precari (che costano 55 milioni di euro l’anno e che in passato sono stati impiegati con le più diverse mansioni, da «guardiani della aiuole» a «custodi della fontana municipale»), diventerà il Comune con più personale d’Italia: 9.594 occupati, uno ogni 69 abitanti. Più di Milano e Roma. E i giardinieri? Sono mille, il quadruplo che a Torino. Ma al verde sono anzitutto le casse.
Che dire? Non si può negare l’evidenza. Siamo al fallimento di un sistema… Dite che prima o poi tutto finirà per implodere?