Rifiuti. La pesante eredità di commissariamenti.
La fase. È atteso nelle prossime settimane il testo del nuovo Piano regionale per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, tassello fondamentale assegnato al commissario delegato per l’emergenza.
Il periodo. La prima stesura del testo è stata bocciata. Sui rifiuti, la Sicilia è in situazione di emergenza dal 1999. Un sistema che ha arricchito società e consentito l’aggiramento delle leggi.
PALERMO – Un’emergenza senza fine. L’attuale stato dei rifiuti nell’Isola è figlio di una situazione degenere che ha mirato all’ingrassamento di pochi e alla bassa qualità del servizio. Un sistema che ha permesso il connubio raccolta-discarica, situazione in evidente conflitto d’interessi, e il proliferare della presenza mafiosa nel giro degli appalti, ha praticamente decretato la sua stessa fine.
A fronte di centinaia di milioni e milioni di euro spesi dal 1999 ad oggi – una cifra complessiva dello spreco non è quantificabile – l’immondizia resta ancora un problema e non una risorsa per la Sicilia. L’ultimo commissario, Raffaele Lombardo, non avrà più tempo per tergiversare: l’aggiornamento del piano va fatto entro dicembre.
Dieci anni di emergenza e milioni di euro gettati letteralmente in discarica. Il sistema della gestione dei rifiuti dell’Isola è entrato in fase commissariale nel lontano 1999, ha avuto ben quattro commissari – il più longevo e celebre certamente è stato Totò Cuffaro – ma non ha favorito alcun genere di riorganizzazione del sistema, anzi a guadagnarci sono stati i soliti noti: i politici con la loro pletora di clientes da piazzare, i mafiosi perfettamente integrati nell’intero ciclo, l’imprenditoria malata alleata del malaffare. In questo gioco a vantaggio di pochi ci perdono i cittadini che nell’arco di oltre due lustri hanno visto un netto peggioramento del servizio ed al contempo un aumento del costo delle tariffe.
Nella ricostruzione della fase emergenziale siciliana un capitolo a parte meriterebbe la questione della gara dei termovalorizzatori nel 2002, un affare da oltre cinque miliardi di euro e approfondito dal Qds nella scorsa settimana. La mala gestione e i favori sono stati plurimi, ma in sintesi la gestione commissariale siciliana è stata una colossale macchina di denaro a vantaggio di pochi. A partire dalle clientele. “Dal punto di vista organizzativo e delle strutture operative – si legge nella relazione della Corte dei Conti sull’emergenza rifiuti siciliana fino al 2005 – furono autorizzate sia assunzioni di personale esterno alla Pubblica amministrazione che l’utilizzo di quello in servizio, dando facoltà sia al commissario delegato che al vicecommissario, nonché ai prefetti, di nominare e di avvalersi di propri contingenti di personale”.
Non si tratta solo di vertici perché a cascata il meccanismo delle assunzioni si è riprodotto anche in piccolo. L’eccesso occupazionale è stato uno dei massi che li ha trascinato in fondo alla crisi finanziaria i 27 ambiti, che dovranno diventare 10 secondo la l.r. 9/2010. I dati parlano di un migliaio di assunzioni all’anno e principalmente in postazioni d’ufficio, al punto che il rapporto tra operativi e amministrativi è persino sceso sotto la quota di 60 a 40.
Poi c’è il dilemma degli appalti. La Corte dei Conti precisa che si tratta di procedure anomale, che per “importi superiori alla soglia comunitaria non ha previsto una gara conforme alle direttive europee in materia di appalti pubblici”, favorendo in tal modo coloro che “per la loro presenza sul luogo, erano a conoscenza della situazione fattuale prima della pubblicazione dei bandi e chi era già in possesso di impianti e studi di fattibilità tecnico-economico-finanziaria”.
Su questo sistema di favori e regalie ad personam il sistema mafioso ha messo vigorosamente le mani. Nel complesso le cifre stanziate per l’emergenza sono state vertiginose: 243 isole ecologiche per un importo di circa 18.500.000 euro (ad oggi ne risultano 239 collaudate), 150 centri comunali di raccolta per un importo di circa 113.000.000 euro (ad oggi ne risultano 79 collaudati), 15 impianti di compostaggio per un importo di circa 55.000.000 euro (attualmente sono 7 di cui tre privati), 7 impianti per la selezione della frazione secca per un importo di circa 30.200.000 euro, 19 progetti di mezzi ed attrezzature per un importo di circa 67.000.000 euro, 27 piani di comunicazione per un importo di 15.500.000 euro. Bilancio finale? Risorse finanziarie sia nazionali (per un valore di 153.268.125,43 euro) che comunitarie (per un valore di 239.860.572,52 euro) consacrate a tale attività con esiti imbarazzanti. Di fatto la gestione commissariale siciliana è sembrata perfettamente aderente e sovrapponibile al sistema-discariche. Ed ecco così il comune denominatore degli speculatori dell’emergenza da dieci anni a questa parte.
La diminuzione delle discariche è stata solo apparente, perché in realtà il conferimento in discarica è rimasto costante nel corso degli anni, mantenendosi intorno alla soglia del 90%, o poco meno. Attualmente la natura societaria, secondo i dati del piano rifiuti dell’ottobre scorso aggiornato ad agosto 2010, delle 14 discariche isolane è così distribuita: otto sono pubbliche (2.701.741 metricubi autorizzati), 2 miste (2.050.000 metricubi autorizzati), e 4 private (5.902.421 metricubi autorizzati).
Non stupisce certo se le quattro più grandi sono tutte private. Ovviamente la riduzione della monnezza in discarica – le tariffe vanno da 50 a 120 euro a tonnellata – non conviene a nessuno, fuorché ai siciliani. E i guadagni si gonfiano. Nella prima fase del periodo emergenziale, 1999-2005, la Corte dei Conti ha calcolato che in merito alle spese per interventi il costo speso per le discariche risulta “ampiamente superiore ad un terzo delle spese totali”, cioè pari a 60 milioni di euro. Adesso si parla di un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro per il conferimento indifferenziato in discarica.
Tuttavia l’attuale settore dei rifiuti isolano garantisce altre entrate poco trasparenti che la commissione Pecorella ha svelato nella sua relazione. Un esempio su tutti: il percolato ricco che anziché essere smaltito all’interno di Bellolampo viene trasferito in Calabria ad 80 euro la tonnellata (tra gennaio e aprile 3 milioni e 600 mila euro di spesa, ha confermato l’ex assessore Russo).
Insomma la parola chiave per gli speculatori dell’immondizia è il mantenimento dello status quo.