La scelta di pubblicare questo articolo è dettata dalla necessità di informare i cittadini sul contenuto e sulle motivazioni del Referendum Costituzionale in quanto rileviamo che sia presente ancora grande confusione ed incertezza. Siamo di fronte ad un ‘bombardamento mediatico’ fatto di annunci, proclami, slogan e quant’altro, che distoglie l’attenzione e la verità sul contenuto di questa riforma. Attraverso questo breve elaborato ci si augura di promuovere un’occasione di riflessione per mettere a confronto le due diverse posizioni sulla riforma costituzionale su cui i cittadini italiani sono chiamati ad esprimersi il 4 dicembre.

Prima di iniziare una obiettiva e neutrale disamina sulle ragioni del ‘Sì’ o del ‘No’, è opportuna una premessa su cosa sia un Referendum Costituzionale.

– Quando e come si richiede un Referendum Costituzionale?

Riguarda le leggi di revisione della costituzione (nella fattispecie ddl Boschi) e le altre leggi costituzionali.

Il cittadino che vota “Sì” vuole che la riforma trovi attuazione, mentre il cittadino che vota “No” si oppone alle variazioni proposte.

Il risultato del referendum conferma o respinge quanto proposto dal governo e non attua pertanto alcuna abrogazione di legge.

Secondo l’art. 138 della Costituzione Italiana, è possibile richiedere un Referendum Costituzionale dopo la seconda votazione da parte delle Camere di una legge di revisione costituzionale o di una legge costituzionale. È richiesta la maggioranza assoluta in seconda deliberazione, cioè il 50% + 1 dei componenti della Camera.

La richiesta può essere presentata da 1/5 dei membri di una Camera o da 500.000 elettori o da 5 Consigli Regionali, entro 3 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

– Bisogna raggiungere un quorum perché sia valido il Referendum?

Per questo tipo di referendum non è previsto un quorum (cioè di un numero minimo di votanti) e pertanto non rileva il numero dei partecipanti (a differenza del referendum abrogativo; quindi, che vadano a votare 2 persone o 100, sarà comunque valido). Vincerà il “Sì” o il “No” che abbia conseguito la maggioranza dei voti.

– È la prima volta che in Italia si vota ad un Referendum Costituzionale?

No, per l’Italia questo sarà il terzo Referendum Costituzionale della storia. Il primo risale al 2001, quando si votò sulla modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione (risultati: affluenza del 34%, vinse il “Sì”); il secondo risale al 2006, quando si votò sulle modifiche alla Parte II della Costituzione (risultati: affluenza del 52%, vinse il “No”).

– Era possibile una ipotesi di “spacchettamento” del Referendum del 4 dicembre?

L’ipotesi di “spacchettamento”, cioè di votare le varie proposte di modifica separatamente e quindi poter esprimere pareri diversi sui vari punti, non ha precedenti nella storia politica italiana. Ma è di qualche giorno fa la risposta dell’Ufficio Centrale per il Referendum della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal docente e costituzionalista Fulco Lanchester e del segretario di ‘Radicali Italiani’ Mario Staderini, entrambi esponenti del ‘Comitato per la libertà di voto’, per indire un referendum per lo “spacchettamento” del Rerendum Costituzionale.

– Chi ha proposto il Referendum del 4 dicembre 2016?

Il Referendum Costituzionale del 4 dicembre è stato richiesto per confermare o respingere la Riforma Renzi-Boschi. Idea di riforma che era stata in precedenza suggerita dall’ex parlamentare Pierluigi Castagnetti e, successivamente, dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano.

– Se il Referendum venisse approvato, non si potrà modificare in futuro?

Il Parlamento può approvare una riforma costituzionale e modificare nuovamente gli articoli della Costituzione modificati dalla riforma.


Fatte queste dovute premesse e calandoci nel merito, che cosa, in effetti, ci viene richiesto di votare?

La riforma prevede:

  1. La fine del bicameralismo perfetto;
  2. Variazioni sulla composizione del Senato e sull’elezione dei senatori. Questi ultimi saranno eletti durante le elezioni regionali tra i candidati consiglieri e diminuiranno da 315 a 100;
  3. L’eliminazione della figura del senatore a vita in quanto i senatori resteranno in carica 7 anni;
  4. Nuove regole per l’elezione del Capo dello Stato;
  5. Nuove modalità per l’approvazione delle leggi;
  6. Variazioni nelle competenze di Stato e Regioni
  7. Aumento dei poteri della Corte Costituzionale;
  8. L’abrogazione delle province e del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro);
  9. Alcune novità in materia di referendum (abbassamento del quorum per il referendum abrogativo qualora i promotori riescano a raccogliere 800.000 firme);
  10. Introduzione del referendum propositivo con diretta partecipazione del popolo nel processo legislativo.

 

Per brevità, cercheremo di focalizzare gli aspetti più dibattuti.

– Fine del bicameralismo paritario o perfetto

Il bicameralismo perfetto (o paritario), é quel sistema che conferisce poteri identici ai due rami che compongono il Parlamento italiano (Camera e Senato)

Con la riforma dell’art. 55 della Costituzione proposta dal ddl Boschi, verrebbe a superarsi il bicameralismo perfetto e toccherebbe solo alla Camera votare o meno la fiducia al Governo e approvare la maggior parte delle leggi. Il nuovo Senato – composto da 100 membri e non più da 315 elementi – manterrebbe (insieme alla Camera) la funzione legislativa sui rapporti tra Stato, UE ed enti territoriali.

Inoltre – come previsto dal nuovo articolo 70 – il nuovo Senato manterrebbe la funzione legislativa anche: a) per le leggi di revisione della Costituzione, le altre leggi costituzionali; b) per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche; c) per le leggi sui referendum popolari; d) per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni.

Se almeno un terzo dei senatori lo richiederà, il nuovo Senato avrà la facoltà di proporre modifiche su una legge approvata dalla Camera, la quale potrà scegliere di accettare o ignorare queste modifiche.

Tuttavia, se le leggi in questione riguardano le competenze legislative esclusive delle Regioni o leggi di bilancio, la Camera può scavalcare le modifiche volute dal Senato solo a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Le ragioni del “Sì”:

  • Il numero dei senatori passerebbe dai 315 attuali a 100;
  • I senatori sarebbero così eletti: 95 dai Consigli Regionali (21 sindaci, 1 per regione tranne il Trentino-Alto Adige che ne nominerebbe 2, e 74 consiglieri regionali) e 5 dal Capo dello Stato.
  • Secondo il testo del decreto, sarebbero i cittadini, al momento di eleggere i Consigli Regionali, a indicare quali consiglieri saranno anche senatori.
  • I senatori riceverebbero come stipendio solo quello da sindaco o da consigliere, non avrebbero dunque il sovrappiù da senatore, ma godrebbero comunque dell’immunità (cioè non potranno essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione del Senato).
  • Il peso decisionale del Senato verrebbe oltremodo ridotto, dando molti più poteri alla Camera dei deputati (cioè, se il Senato chiedesse alla Camera di modificare una legge, la Camera accoglierebbe la richiesta ma non sarebbe obbligata a considerarla e quindi ad attuarla).
  • Verrebbe abolita la carica di senatore a vita, in quanto i senatori nominati dal Presidente della Repubblica rimarrebbero tali solo per 7 anni, mentre i restanti 95 solo per la durata del proprio mandato territoriale. Gli attuali senatori a vita (Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo e Renzo Piano), rimarrebbero tali ma non sarebbero sostituiti.
  • L’iter di approvazione delle leggi sarebbe molto più rapido, venendo meno il lunghissimo e usuale tira e molla tra Camera e Senato.
  • Il Senato non voterebbe più la fiducia al Governo ma lo farebbe solo la Camera dei Deputati. In questo modo, il Governo sarebbe più stabile perchè avrebbe, teoricamente, la fiducia totale della Camera.
  • Ci sarebbe un risparmio sui costi della politica.
  • La seconda carica dello Stato diventerebbe il Presidente della Camera e non più il Presidente del Senato. Ma, quasi come una funzione di supervisore, il Presidente del Senato potrebbe convocare il Parlamento in seduta comune nel caso in cui il Presidente della Camera esercitasse le funzioni del Presidente della Repubblica.

Le ragioni del “No”:

  • Il Senato non avrebbe praticamente più senso di esistere, in quanto mancherebbe il contrappeso democratico alle decisioni della Camera dei Deputati.
  • Il popolo non avrebbe la possibilità di scegliere i senatori in quanto individuati direttamente dai Consigli Regionali e dal Presidente della Repubblica.
  • I criteri di selezione dei senatori non sono così chiari allo stato attuale.
  • I senatori non lavorerebbero più a tempo pieno in Senato in quanto rivestirebbero, in primis, incarichi amministrativi nelle proprie città/regioni di appartenenza.
  • Se i 95 senatori eletti dai Consigli Regionali restassero in carica di senatori solo per la durata del loro mandato territoriale, potrebbe verificarsi che all’interno del Senato si cambi più volte la composizione dei membri. E, nel caso di sostituzione di uno o più membri dei consiglieri regionali o sindaci, non è chiaro come dovrebbe avvenire tale ricambio.
  • Il risparmio sui costi della politica sarebbe esiguo.

– Cambiamento del metodo di elezione del Presidente della Repubblica

L’art. 83 della Costituzione Italiana così recita: << Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta >>.

Le ragioni del “Sì”:

  • All’elezione non parteciperebbero i delegati regionali.
  • La maggioranza dei 2/3 dell’assemblea sarà necessaria fino al quarto scrutinio, poi i 3/5 dei membri e, dal settimo scrutinio, i 3/5 dei presenti in aula (uscire dall’aula, dunque, non conterà più come un “no”).

Le ragioni del “No”:

  • Essendo il Senato ridotto di numero, l’elezione del Presidente della Repubblica potrebbe essere “manovrata” dalla Camera e quindi dall’influenza del Governo in carica.
  • Con l’introduzione della maggioranza dei 3/5 al settimo scrutinio, si terrebbe conto solo del numero dei votanti e non di tutti i parlamentari, quindi potrebbe avvenire che il Presidente venga eletto anche da un piccolissimo gruppo di parlamentari e non dalle coalizioni più cospicue.

– Modifica dell’elezione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale è un organo dotato di speciali competenze in grado di accertare l’illegittimità o meno delle scelte operate dal legislatore ordinario. Oggi, il Parlamento sceglie 5 giudici sui 15 totali in seduta comune. Altri 5 li nomina il Capo dello Stato e i restanti i rappresentanti della magistratura.

Le ragioni del “Sì”:

  • I 5 giudici eletti dal Parlamento sarebbero eletti non in seduta comune, ma 3 li nominerebbe la Camera e 2 il Senato;
  • Lo sdoppiamento della votazione sarebbe necessaria perchè il senato possa limitare il potere di scelta della Camera.

Le ragioni del “No”

  • Minori garanzie di imparzialità a causa del diverso procedimento di elezione dei giudici costituzionali. Infatti, l’elezione da parte del Senato (organo privo di legittimazione democratica, di composizione esigua e con novantacinque membri su cento designati dai partiti) mina l’autorevolezza del giudice e, quindi, della Corte Costituzionale. Essere eletti, come attualmente, da un Parlamento in seduta comune (di novecentoquarantacinque membri eletti dal popolo) è cosa ben diversa in termini di adeguata legittimazione ad assolvere all’alta funzione.

– Abolizione del CNEL

CNEL è l’acronimo che sta per Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Previsto dalla Costituzione all’articolo 99, istituito nel 1957, rappresenta un organo su materie economiche per il Parlamento, nato come ponte tra mondo dell’impresa e del lavoro e Stato. Il CNEL prevedeva inizialmente 112 membri (99 in rappresentanza dei sindacati dei lavoratori e associazioni di imprenditori, più 12 esperti del mondo accademico, più un presidente), oggi ne conta 65. La funzione del CNEL è quella di promuovere disegni di legge e pareri. Ad oggi, il CNEL ha offerto un contributo quasi nullo allo sviluppo del Paese.

Per molti contrari al referendum costituzionale, unico quesito meritevole del “Sì”.

Le ragioni del “Sì”:

  • Le ragioni della sua abolizione stanno soprattutto nei numeri: le leggi proposte da questo organo al Parlamento sono state solo 14 in quasi 60 anni di attività. Un po’ pochine. Se poi consideriamo che solo una è stata presa in considerazione dalle Camere, la sua posizione si aggrava. Inoltre, quanto ai pareri che dovrebbe dare, li ha dati solo in 96 occasioni. Dunque, viene considerato dai più un ente inutile, generatore di sprechi e utile solo per distribuire poltrone.

Le ragioni del “No”

  • I sostenitori del “No” alla sua soppressione sono alquanto pochi, adducendo le loro motivazioni all’utilità di questo ente.

– Modifica del Titolo V della Costituzione

Il Titolo V della Costituzione riguarda gli enti territoriali (città, comuni, province e regioni). Già con la Riforma Costituzionale del 2001 ci sono state delle modifiche sulle competenze Stato-Regioni ma con alcune incomprensioni e difficoltà di interpretazione che necessitano di modifica.

Le ragioni del “Sì”:

  • Verrebbe soppressa la cosiddetta competenza concorrente, cioè la sovrapposizione di competenze tra Stato e regioni.
  • Nelle mani esclusive dello Stato ritornerebbero varie competenze: la produzione, il trasporto, la distribuzione di energia, le infrastrutture, la sicurezza, porti e aeroporti, commercio con l’estero, salute, turismo, ambiente, digitalizzazione, finanza.
  • Si ridurrebbero gli stipendi dei consiglieri regionali.
  • Si abolirebbero le province.
  • Sul trasporto pubblico locale, che non riguarda dunque i trasporti nazionali, la competenza rimarrebbe agli enti locali e non allo Stato;
  • Verrebbe introdotta la ‘clausola di supremazia’ che consentirebbe allo Stato di intervenire in materie non riservate ad esso qualora lo richiedesse la tutela dell’unità giuridica o economica nazionale.

Le ragioni del “No”:

  • Lo stato stabilirebbe delle disposizioni generali che poi le singole regioni dovrebbero attuare da zero.
  • Nulla si sa ancora sul rapporto tra Stato e Regioni a Statuto Speciale.
  • Tramite la ‘clausola di supremazia’, si darebbe allo Stato un potere e una legittimità di azione che andrebbero al di là delle sue competenze.

– Cambio del numero di firme e del quorum dei Referendum

Il referendum abrogativo è la richiesta al corpo elettorale di pronunciarsi sull’abrogazione (cioè l’annullamento) di una norma giuridica contenuta in una legge dello Stato. È previsto dall’art. 75 della Costituzione. Il referendum popolare può essere chiesto da 500.000 elettori o 5 Consigli regionali per sottoporre all’abrogazione parziale o totale di una legge o di un atto avente valore di legge. Il referendum abrogativo può essere richiesto per le leggi ordinarie dello Stato e per le leggi regionali. Non è invece ammesso per le leggi tributarie, per le leggi di bilancio, per la richiesta di amnistia o indulto, per la ratificazione dei trattati internazionali. Possono partecipare alla consultazione popolare tutti i cittadini aventi diritto di voto. Il referendum abrogativo è approvato soltanto se almeno il 50%+1 degli aventi diritto al voto partecipa alla votazione del referendum e se tra gli elettori votanti viene raggiunta la maggioranza dei voti espressi validamente sulla richiesta di abrogazione contenuta nel testo del referendum.

Le ragioni del “Sì”:

  • Il referendum abrogativo rimarrebbe così com’è oggi (500.000 firme raccolte per attuarlo e il risultato del 50% + 1 degli aventi diritto per approvarlo).
  • In più, potrebbe essere scelta una nuova forma di referendum abrogativo, in ragion della quale le firme da raccogliere dovrebbero essere almeno 800.000, ma il quorum sarebbe abbassato al 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche (ad esempio: nelle ultime elezioni del 2013, l’affluenza alle urne è stata del 75%, il quorum in questo caso si aggirerebbe al 38% degli aventi diritto).
  • Verrebbe introdotto il referendum propositivo (al momento utilizzato nel Nord Europa) per introdurre nuove leggi.

Le ragioni del “No”:

  • Nulla si sa su quali sarebbero i parametri e le caratteristiche del referendum propositivo.
  • Raggiungere 800.000 firme sarebbe più difficile delle 500.000 di oggi.

– Modifica del sistema di proposta di leggi di iniziativa popolare

Per presentare, oggi, una legge di iniziativa popolare, bisogna raccogliere 50.000 firme.

Le ragioni del “Sì”:

  • Le firme salirebbero a 150.000.
  • Verrebbe snellito ed accelerato il processo di approvazione delle leggi.

Le ragioni del “No”:

  • I dettagli su questa modifica sono ancora sconosciuti.
  • Svilisce la partecipazione diretta dei cittadini alle iniziative per i disegni di legge popolari.

 

Nella speranza di aver contribuito a chiarire un po’ di più le idee sul prossimo  Referendum del 4 dicembre, qualunque sia la vostra scelta, andate a votare!


Come vota chi non si trova in Italia?

I cittadini italiani residenti stabilmente all’estero (e iscritti quindi all’AIRE) possono votare come sempre per corrispondenza tramite il plico che gli verrà inviato a casa da parte del Consolato italiano.

Più complesso è invece il caso degli italiani, residenti in un comune italiano, ma che per motivi di lavoro, di studio o di salute si trovano a vivere temporaneamente all’estero per un periodo di almeno 3 mesi. Essi possono votare per corrispondenza a patto che inviino l’apposito modulo compilato, con allegata una copia di un documento di identità valido, all’ufficio elettorale del proprio Comune di residenza. Esso può essere inviato per posta ordinaria, per fax, per posta elettronica anche non certificata, o anche fatto pervenire a mano al Comune di residenza da una persona diversa. È indispensabile indicare nel modulo l’indirizzo postale esatto del luogo in cui si vive e al quale si vuol ricevere il plico elettorale. Va indicato anche il periodo esatto di presenza all’estero (che deve essere di almeno tre mesi). Questo modulo sarebbe dovuto pervenire all’ufficio entro dieci giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale almeno entro l’8 ottobre. Dopo tale data non è più possibile far partire questa procedura e l’unica alternativa per votare è tornare in Italia. Tutti coloro che avranno invece rispettato la scadenza hanno ricevuto, entro circa due settimane, al proprio domicilio temporaneo una busta contenente la scheda elettorale e una busta più grande, già affrancata (e quindi senza spese per l’elettore) con già scritto l’indirizzo a cui va spedita dopo aver votato.

Per quanto riguarda i cittadini che vivono fuori dal comune di residenza ma comunque sul territorio italiano (ovvero i cosiddetti “fuori sede”, come studenti universitari o lavoratori) esistono due possibilità.

Intanto c’è quella di rientrare a casa sfruttando i forti sconti e agevolazioni ferroviarie ed aeree che vengono abitualmente realizzate nei referendum. Inoltre si può essere accreditati come “rappresentanti di lista” da parte di un comitato ufficiale (sia esso per il SI o per il NO), entrando direttamente in contatto con loro tramite i vari canali disponibili (social, email e sedi fisiche). In questo caso la scadenza è molto vicina alla data del voto: i comitati hanno infatti tempo per nominare i rappresentanti di lista fino al venerdì antecedente al voto. Nello specifico alle ore 12 di venerdì 2 dicembre ciascun ufficio elettorale comunale deve avere i nominativi, anche se per i ritardatari (siamo in Italia, e come sempre le cose si fanno tutti all’ultimo minuto) c’è la possibilità di presentarsi all’insediamento del seggio alle ore 16 del sabato o addirittura alle ore 7 della domenica mattina, prima dell’inizio del voto.

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– ObBiettivo Adrano