Inchiesta, quella denominata “Vicerè”, che ha scardinato – come è oramai noto – la cosca catanese dei Laudani. 103 le persone finite in manette all’alba di ieri cui si aggiungono altri due arresti sempre nella serata di ieri (me restano 4 che sono ricercate), accusate tra i vari reati ed a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, detenzione e traffico di stupefacenti, detenzione e possesso illegale di armi.
Una maxi operazione antimafia che ha permesso di comprendere, tra l’altro, come i tentacoli del clan siano insinuati nei paesi dell’hinterland etneo. Da Paternò passando anche per Adrano con i locali sodalizi e boss pronti a rispondere alle direttive del vertice catanese allo scopo di far “funzionare” i propri loschi affari legati per lo più alle estorsioni ed al commercio di droga.
Tra gli indagati legati ai Laudani anche tre donne e tutte con ruoli importanti al vertice della cosca, capaci di gestire gli “affari” del clan ma anche di occuparsi della gestione di cassa, il tutto stando sempre alle direttive del clan catanese. E proprio per via di una delle tre donne indagate, Concetta Scalisi, il nome della cittadina adranita entra prepotentemente nella pagina di cronaca attuale.
Concetta Scalisi è infatti nome già noto per brutalità alle cronache giudiziarie (ricevette la prima condanna nel 2003 per omicidio in seguito all’operazione “Ficodindia 4”, più recentemente invece, nel 2014, arriva la condanna definitiva dell’operazione “Terra bruciata”), donna “boss” che “da il nome alla famiglia mafiosa ad Adrano”, queste le parole con cui fu indicata dal pentito Liotta.
Effettuati anche diversi arresti nella vicina Paternò; qui a saltare all’occhio è un altro inquietante aspetto legato alle infiltrazioni mafiose nell’apparato istituzionale. Nell’inchiesta spunta infatti il nome dell’avvocato paternese Salvatore Mineo, residente a Santa Maria di Licodia (Comune in cui ha ricoperto la carica di assessore e vice sindaco seppur per un breve periodo), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (insieme all’avvocato Giuseppe Arcidiacono di Acireale ed un carabiniere di Roma, Alessandro di Mauro).
Insomma la mente non può che andare a quell’ultima relazione della Direzione investigativa Antimafia e del Viminale presentata al Parlamento qualche mese fa e che faceva riferimento all’ultimo semestre del 2014. Dalla relazione si evinceva infatti come il “Triangolo della Morte” (che comprende proprio Adrano e Paternò, ma anche Biancavilla) non sia solo un timido, pallido e brutto ricordo degli anni ’90, ma una realtà attiva e dinamica con forti tensioni interne ai vari clan e guerre di potere.
“La famiglia di Cosa nostra catanese – scrive la Dia – e gli altri sodalizi mafiosi, seppur colpiti da operazioni di Polizia, continuano a gestire i propri affari in maniera silenziosa, fatta eccezione per la zona comprendente i comuni di Paternò, Adrano e Biancavilla, dove la lotta al potere passerebbe per i proiettili, le armi e gli omicidi”. Ma non è tutto i gruppi mafiosi “cercherebbero – si leggeva – di infiltrarsi nelle istituzioni. Segno chiaro di ciò gli atti intimidatori ad alcuni sindaci (di Adrano, Biancavilla e Santa Maria di Licodia, ai quali sono state date alle fiamme le rispettive auto ndR) che potrebbero essere letti come tentativi di inserirsi nella pubblica amministrazione per la gestione degli appalti e dei rifiuti. Quello che occorre – sottolineava la Dia – è un’alzata di testa e presa di coscienza da parte dei cittadini”.
Nella relazione si faceva infatti riferimento all’operazione “Time Out” che ad Adrano in particolare fece emergere “Un altissimo muro di omertà con le vittime di pizzo che non hanno la forza di denunciare”.
Sostanzialmente dalla relazione della Dia si apprendeva quindi l’impalcatura e le mire delle “famiglie” nell’hinterland oltre che nel capoluogo. Interessi che oggi nell’operazione “Vicerè” (in questo caso però relativa solo ai Laudani e clan affini) vengono di fatto confermati: tra gli altri la volontà di infiltrarsi nelle istituzioni ed anche il giro di estorsioni (a quest’ultimo si deve aggiungere l’omertà che anche in questo caso l’ha fatta da padrona con gli imprenditori che non avrebbero fornito particolare collaborazione con la magistratura).
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