Manca ormai poco al 17 aprile, giorno in cui andremo a votare per il cosiddetto “Referendum sulle trivelle”, ed ancora l’informazione a tal proposito è estremamente carente, se non totalmente assente.

Innanzi tutto cerchiamo di capire di cosa si parla.

Il Ministero dell’Interno specifica che il referendum è “relativo all’abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine hanno durata pari alla vita utile del giacimento”. Ciò significa che il referendum ci chiede se vogliamo abrogare o meno la legge che concede lo sfruttamento dei giacimenti (siano essi di gas o di petrolio), che si trovano entro le dodici miglia marine dalla costa, fino al loro totale esaurimento. Tutto ciò riguarda esclusivamente quelle piattaforme che si trovano all’interno delle dodici miglia dalla costa (una parte di essi in realtà), lasciando fuori quelli che si trovano oltre tale distanza.

La conseguenza, di una eventuale vittoria del SI e consequenziale abrogazione della legge, per le piattaforme coinvolte, prevede una chiusura allo scadere delle concessioni sullo sfruttamento tutt’ora in essere (con scadenze diverse, da uno ad una decina d’anni), anche se i giacimenti dovessero essere ancora sfruttabili.

Mentre se dovesse vincere il NO tutto resterebbe immutato e le concessioni sullo sfruttamento dei giacimenti potranno essere prorogate fino al totale esaurimento dei giacimenti.

Tra i promotori del SI i movimenti ambientalisti hanno espresso con forza il loro supporto alla causa, sostenendo che bisogna accelerare il processo di conversione alle energie rinnovabili e che continuare ad investire sulle trivellazioni è inutile, dispendioso e soprattutto pericoloso per la salute dei cittadini. Non solo, l’eventualità di un disastro ecologico in un mare “chiuso” come il Mediterraneo sarebbe devastante e senza una possibilità di risanamento, e questo rappresenta un rischio eccessivo per una fonte di energia che rappresenta una percentuale esigua del consumo nazionale.

Mentre dal fronte del NO, tra cui si annoverano diversi sindacati dei lavoratori, se da un lato si tende a minimizzare gli eventuali rischi ecologici, dall’altro si tende anche a mettere maggiormente l’accento sulle ripercussioni negative in ambito occupazionale. Il rischio maggiore, in caso di vittoria del SI, sarebbe la perdita di ingenti investimenti nel settore petrolchimico e la conseguente perdita di numerosi posti di lavoro, condizione inaccettabile per una economia in emergenza come quella nostra.

Al di là delle opinioni su questo tema, trovo inaccettabile la consuetudine, nata da qualche anno a questa parte, di invitare alla “diserzione” elettorale da parte dei nostri politici, se contrari ai referendum. Se non si vogliono cambiare le cose è inutile darci l’illusione di avere in mano uno strumento di “democrazia diretta” se poi serve solo ad imbavagliarci, con l’aggravante di uno spreco di milioni di euro di soldi pubblici. Pertanto un consiglio a tutti: sostenitori del SI ed anche del NO, recatevi alle urne per votare il referendum; prendere posizione nella vita sociale e politica è il primo passo affinché la società eserciti realmente la sua sovranità.

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Emanuele Pulvirenti via ParoLibera

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