editoriale di Giuseppe Testa su La Sicilia di oggi
Ignorando l’allarme segnalato da un astensionismo mai pervenuto a percentuali così alte, la classe dirigente che, in parte, abbiamo la grave colpa di esserci scelti, continua a baloccarsi con fondazioni e correnti, esoteriche alchimie, rituali bizantini, fumisterie dietro le quali si cela poco altro che un groviglio d’interessi personali: rapaci, insaziabili.
Da domani, a Roma e a Palermo, il senso delle cose, oltre a quello della misura, esigerebbero, in linea teorica, dei ragionevoli atti di resipiscenza. Il centrodestra, dove Fini sta ormai come quinta colonna, dovrà affrontare (e, possibilmente, risolvere) una situazione equivoca che non promette niente di buono. A questo punto, il peggio che ci possa capitare è assistere a una lunga transizione frustrante, in attesa che lo scontro tra i co-fondatori polverizzi il Pdl precipitando il Paese nella vacanza di potere destinata ad acuirne tutti i mali presenti.
Se davvero l’unico modo di ritrovare slancio, volontà e capacità di fare, è di scindere una coppia così male assortita, a costo di passare per il voto anticipato, allora lo si faccia senza indugi e senza rimpianti. Le tentazioni terzopolistiche, gli agglutinati dei delusi o degli illusi, non hanno mai goduto da noi di tanta fortuna.
Dunque, Berlusconi e il suo ex-delfino si decidano: lasciar marcire per mesi questo Paese sempre più marginale, aggravandone i problemi (il lavoro, l’immigrazione, la stagnazione, la deriva morale, la confusione fra poteri dello Stato), è la sola prospettiva che riusciamo a intravedere dietro a un duello strisciante, prolungato nelle aule del Parlamento.
Quanto alla Regione, ha da domani cinque giorni di tempo per varare una manovra di Bilancio dalla quale – sia detto senza livore – è già un miracolo aspettarsi nulla, o poco, più del faticoso mantenimento dei livelli di occupazione al limite della soglia di guardia, e della oculata gestione del debito garantito da un autonomismo storicamente frainteso o male inteso.