Poesia simbolista e dintorni.
Intervista con Alessandro Montalto

Alessandro Montalto, dopo un’investigazione sul simbolismo, concentrandosi sui Poeti Maledetti e, principalmente, su Arthur Rimbaud, nel 2006, pubblica la silloge poetica “Frammenti amalgamati”, Edizioni Incontro.
A breve, editerà i “Racconti dell’indefinito”, ossia, due brevi narrazioni, “L’insolito episodio del Professor Dell’Arem” e “Il podere sull’isola degli alcioni”.
Di prossima pubblicazione, anche “Tasti & Ratti. Esperimenti di etologia” e “Un martire siciliano nella Brera scapigliata”, opuscolo che illustra la vita di un militare della Grande Guerra, patita fra trincee e Arte.
Nell’attesa di poter chiacchierare ancora con l’autore sui suoi due brevi racconti, proponiamo un’intervista su “Frammenti amalgamati”.
Buona lettura.

DOMANDA: Il poeta è un essere in perpetua crisi espressiva. “Frammenti amalgamati” nasce da uno stato di tensione esistenziale e ideale, assorbe i contenuti e finisce per identificarsi con la crisi del linguaggio. Si giunge così a quell’affanno vitale, dove l’imprevisto della ricerca sconvolge ogni ragionamento. Come scoprire la propria poesia? Il poeta – uomo è colui che armonizza spirito ed intuizione?
ALESSANDRO MONTALTO: Credo decisamente che l’indagine indirizzata alla modalità espressiva sia, oggigiorno, ciò che faccia la differenza. Tutto (o quasi) è stato già narrato e decantato. Uno studioso tedesco del linguaggio affermò che non occorre più (ri)cercare il “chi” o il “quando”, al fine di raffigurare l’esistenza di qualcuno o il persistere di qualcosa, bensì il “come”. “È il modo di porre la cosa che implica la cosa”, dunque. La lingua italiana consente di illustrare anche le cose più mediocri dell’ordinario vivere mediante un esteso elevato ventaglio terminologico. “Frammenti amalgamati” è una silloge poetica che ben incarna questa “crisi del linguaggio” che, a sua volta, scaturisce da una “tensione esistenziale e ideale”. Le tre sezioni che la compongono, “Sussurri dalla Natura”, “Versi d’Amore” e “Urla dall’Essere”, attraverso ciò che in tanti definiscono “il Potere della Parola”, affrescano esseri, animati e non, avvenimenti e luoghi che il mio sentire ha estrapolato e, al tempo stesso, (ri)collocato, dalle e nelle tre pertinenti dimensioni (Natura, Amore e Essere) da me scrutate e capaci d’avermi invaghito. Le trentaquattro composizioni del volumetto sgusciano fuori da diari e taccuini inchiostrati nell’arco di molti anni. È stata fatta una certa selezione lavorando in equipe, cosa davvero stimolante e proficua. Le mie composizioni poetiche e il mio narrare nascono tanto dall’osservare tutt’intorno quanto dal fantasticare, semplicemente chiudendo gli occhi. Ho sempre rivolto lo sguardo all’integrale coinvolgimento dei sensi, mio e del Lettore. Ogni lirica, ogni racconto, germoglia e matura nella mia mente e, in essa, percorre una prolungata gestazione per poi far ammogliare, finalmente, la china alla carta. Ho scoperto così la scrittura nonché il mio congiungimento a essa. L’euritmico connubio fra “spirito” e “intuizione” è un esperimento più che possibile vagliandolo, però, attraverso il trascinamento sensoriale e percettivo (pro)posto al Lettore. Ecco perché, ogni poesia di “Frammenti amalgamati” è stata incorniciata con un “sottofondo” (collocato sotto al titolo) con l’inserimento di (dovute) note didascaliche e di un’illustrazione.

D.: La più grande poetica o Arte che cos’è se non la più antica approssimazione al Vero? E mediocrità che cos’è se non assenza di ricerca? La ricerca non riguarda la camera buia di cui già si conosce l’ubicazione, ma le chiavi per aprirla. Fare poesia si identifica col fare ricerca?
A. M.: Concordo assolutamente. Scrivere è una crescente, amabile e tormentata ricerca. Ricerca che quasi tende al non tangibile e senza mai poter raggiungere la vetta. Dal canto mio, se non scrivessi (quando mi va di farlo, naturalmente…) o se non assimilassi quanto carpito da altri attraverso l’Arte in genere e mediante la scrittura in particolare, mi giudicherei come meno che mediocre. “Frammenti amalgamati” è stato allora distribuito superando quelle che sono le barriere del nostro territorio. È stato anche ben recensito e alcune sue composizioni inserite in delle antologie. Allo scopo di dar ulteriore spessore al valore della ricerca già menzionata, non posso non citare il ricordo di un Lettore che, durante una lunga soddisfacente chiacchierata, disse che, diverse poesie della silloge, l’avevano favorito nel “risvegliare cose quasi obliate” che dormivano sopite nel suo “inconscio”, spronandolo, di conseguenza, a “scavare su quanto sepolto” dal tempo. Avevo, indirettamente, invogliato alla ricerca un essere umano. Avevo, con il mio immaginario, offerto a qualcuno le “chiavi” per “aprire” la “camera buia” cui fai riferimento nella domanda. Altri scrittori lo fecero su di me e io, nel mio piccolo, riuscii a suggerire tale gradevole dinamica dell’intelletto. La ricerca, appunto. Parrà strano, ma “Frammenti amalgamati” rappresenta il primo, l’unico e l’ultimo, esperimento di ricerca poetica. Non che non sia riuscito o non abbia avuto consensi. Anzi, al contrario. Le soddisfazioni non sono mancate. Tuttavia, credo la narrazione mi appaghi maggiormente e mi dia un più energico compiacimento.

D.: In “Sussurri dalla Natura” si evince un poetare spaccato, collerico e visionario. Da queste collere visionarie e visioni colleriche può sorgere l’unità interna fra la terra o l’oggetto uomo e il cielo o il soggetto poeta?
A. M.: La terra e/o il cielo nonché l’uomo e/o il poeta penso siano due degli innumerevoli arcani dilemmi dell’uomo, di ogni tempo e ogni dove. Forse, mai sapremo davvero dove sfumi l’uno per dar inizio all’altro. O, forse, terra e cielo, uomo e poeta, altro non sono che i due volti del simbolico Giano Bifronte, due realtà in Una. In “Sussurri dalla Natura”, ogni sostanza terrena ne abbraccia un’altra che, magari, si libra in cielo. È possibile, pertanto, passare dalla lettura de “Le rondini” a quella de “All’ulivo” o “Al cipresso” e così via. I quattro elementi sono ben vivi, pur se soffusamente, in questa sezione e in tutta la silloge: l’aria (“Subdole essenze”), l’acqua (“Al Simeto”), la terra (“Fra Cielo, Sole e Terra”) e il fuoco (“Una lode all’Etna”). Le tangibilità (vivificate o meno) della Natura si pongono fra cielo e terra. E l’inorganico vuol esser quasi animato.

D.: Non possiamo cantare ciò che ci ferisce mortalmente, ma ciò che ci squilibra. È dalla noia della casa paterna che Leopardi giunge all’Infinito e non dalla sua gobba. È dalla contestazione della società che Rimbaud giunge alle Illuminazioni e non dalla sua gamba in cancrena. È da un insetto molesto (squilibrio e ricerca) che nasce la grande forma, piuttosto che da una ferita sconsolata (stato di cose e fatalità)? Tutto questo è Urla dall’Essere?
A. M.: La sezione “Urla dall’Essere” è la mia prediletta. Quando il libricino fu editato, fu scritto che è «l’incarnazione letterale dell’opera “L’Urlo” di Munch». A mio avviso, una definizione egregiamente azzeccata. La composizione – cardine della sezione è “Fuga dal Nulla”. Una fuga mentale, indispensabile e doverosa, “pro (r)esistere, laddove al rigetto di ciò che sta attorno si inframezza un gioco visionario e utopistico. “Urla dall’Essere” coglie e sviscera figure umane fuori dal nostro odierno (“Il lucidatore di scarpe”); esibisce componimenti definiti “psicanalitici” (“Montmartre” e “Un canto alla pipa”); celebra rievocazioni di volti non più in vita (“Al mai conosciuto” e “Alle mie nonne”); onora memorie infantili (“Il richiamo del destriero”). Sono i componimenti “più patiti” che abbia potuto plasmare. La mia “fuga dal nulla”, compiuta poetando e scrivendo, è orientata alla “noia” del vivere quotidiano, nasce dalla stessa “contestazione della società” di rimbaudiana memoria e dal voler dileguarsi rispetto alla “cancrena” di una collettività che reca “l’odoraccio ammorbante della cecità umana”.

“Frammenti amalgamati” è fuori catalogo. Chi volesse averne una copia oppure contattare l’autore per discuterne più approfonditamente, scriva a: [email protected].

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– Valeria La Rosa