Riceviamo e pubblichiamo il seguente intervento in merito ai finanziamenti destinati al Museo di Adrano (leggi), a firma di Massimo Liccardo, Storico dell’Arte originario di Adrano che vive e lavora a Firenze. Il blog resta, come sempre, a disposizione per eventuali interventi su questo o altri temi.
Pregiatissima redazione del blog ObBiettivo Adrano,

le recenti obiezioni sollevate dallarchitetto Aldo Di Primo sui finanziamenti che sottoporrebbero il Museo archeologico di Adrano a nuovi lavori di adeguamento e completamento mi spingono a voler dare un contributo personale in merito ad un argomento di cui spesso mi sono occupato e continuo ad occuparmi nel mio lavoro. Le problematiche inerenti il rapporto tra contenuto e contenitore in relazione agli spazi museali, la ricerca di una connessione tra l’architettura museale e i criteri logici alla base delle esposizioni contenute nel museo, sono senza dubbio argomenti costantemente presenti che si connettono strettamente alla ricerca, alla conoscenza e alla valorizzazione del Patrimonio culturale. Per questo motivo avverto la necessità di dare il mio piccolo contributo con alcune riflessioni sull’argomento.

Massimo Liccardo
Il Museo Regionale di Adrano tra passato e presente
Nell’ultima fatica letteraria di Jean Clair, storico e critico francese, viene indicato uno stile della critica e un modello intellettuale che sarebbe ingiusto riportare unicamente a un ambito specialistico, quale è quello della storia dell’arte. Le riflessioni contenute nel suo recente saggio, L’inverno della cultura, rinviano ad alcune attitudini indispensabili all’attività critica, indipendentemente alla disciplina di applicazione. Ci si riferisce anzitutto alla sensibilità “politica”, nell’accezione meno angusta del termine, e cioè alla percezione di alcuni conflitti e di come questi attraversino fatalmente ogni linguaggio e ogni esperienza.
Sviluppare un dibattito o porre alcuni interrogativi non è quindi un esercizio pedante fine a se stesso, non si esaurisce nel semplice gusto di polemizzare ma può aiutare a creare un Idea e soprattutto ad orientarsi all’interno di una società sempre meno critica e sempre più slegata dalle proprie radici: «Un uomo è legato a una città, non a un mondo indifferenziato o insensato, appartiene a una città, una civitas, una civiltà» (J. Clair).
Spesso mi sono occupato e continuo ad occuparmi nel mio lavoro delle problematiche inerenti il rapporto tra contenuto e contenitore in relazione agli spazi museali. Tali questioni che hanno riguardato e riguardano la museologia, la museografia e la museotecnica, cercano di connettere l’architettura museale ai criteri logici alla base delle esposizioni contenute nel museo.
Recenti sono le obiezioni sollevate dall’architetto Aldo Di Primo, in merito ai lavori di adeguamento e completamento che dovrebbero coinvolgere il museo regionale di Adrano. Tali interventi dovrebbero riguardare opere per il completamento funzionale e l’allestimento del Museo archeologico ospitato all’interno del castello normanno di Adrano.
Già con i fondi comunitari del Por 2000-2006, si è provveduto al restauro dell’edificio, al nuovo ordinamento delle collezioni e insieme al nuovo allestimento, per un ammontare di spesa di circa un milione e mezzo di euro.
Riconosco che un interessante restauro è stato condotto sulla struttura, sulle volte e sui frammenti di intonaco, così come centrata sia stata la scelta, nel nuovo ordinamento, di esporre pochi pezzi, i più rappresentativi. Lo stesso si può dire della semplificazione degli apparati didattici ed esplicativi, la cui razionale dislocazione nelle sale espositive lascia libera alla vista la struttura, così da poterne ammirare la severa bellezza.
L’arrivo di nuovi ingenti finanziamenti, circa 3,5 milioni di euro, stanziati nell’ambito del programma operativo regionale FESR 2007-2013, sembra sia destinato, almeno in parte, più che a lavori di restauro e di adattamento museale ad interventi la cui invasività potrebbe causare danni irreversibili non solo alle strutture ma all’aspetto originario dell’antico edificio. Per ovviare al problema del completo abbattimento delle barriere architettoniche, si dovrebbe installare un ascensore che, attraversando tutti i livelli dell’antico maniero, arriverebbe sino alla terrazza; inoltre, al fine di aumentare la superficie espositiva attraverso una esplicita opera di innovazione, verrebbe ripristinato il quarto livello del dongione, la cui pre-esistenza è testimoniata dagli alloggiamenti delle travi del solaio, ben visibili lungo i muri perimetrali.
La storia specifica del museo di Adrano, la cui collocazione all’interno dell’antico edificio, di probabile fondazione normanna, si deve ad una fortunata serie di congiunture, che risale alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso: la ricerca di una consona collocazione dei reperti che meritoriamente il professore Saro Franco aveva cominciato a raccogliere e che grazie a numerose campagne di scavo riemergevano dai territori circostanti, e l’intuizione dell’archeologo Luigi Bernabò Brea, Sovrintendente di Siracusa, di poter recuperare un edificio che, dopo varie vicissitudini poteva essere con un minimo intervento funzionalizzato a museo. Le necessità della museologia e delle discipline sopradescritte, all’epoca non erano tante o quantomeno erano diverse rispetto a quelle che la creazione e l’organizzazione di un museo odierno prevede, dagli allestimenti alle tecniche espositive. Insieme a questi ambiti risultano oggi essere imprescindibili gli standard nazionali ed internazionali relativi alla conservazione e alla sicurezza delle opere e delle persone, oltre al già citato abbattimento delle barriere architettoniche.
Se si analizza poi la specificità della tipologia museale, che si caratterizza nel nostro caso per la presenza di collezioni eterogenee per lo più costituite da reperti archeologici, le complessità legate all’esposizione e le problematiche ad esse collegate risultano essere molteplici.
Considerando la struttura parte imprescindibile dell’identità di un museo e le relazioni che intercorrono tra essa e il patrimonio conservato ed esposto, le specificità delle collezioni e le diverse tipologie museali si perviene al rapporto fra ‘contenuto’ e ‘contenitore’, in cui l’ideale sarebbe un equilibrio tra i vari agenti del processo museale. Maggiori difficoltà si pongono qualora l’importanza emblematica e la valenza storico artistica dell’uno o dell’altro vengano a prevalere.
Si sarebbe dovuto stabilire, prima di nuovi interventi di adeguamento e completamento, se il fine principale fosse quello di conservare l’opera architettonica o privilegiare le collezioni e la fruibilità di esse.
Penso che sia difficile armonizzare negli interni fortemente caratterizzati un rapporto spazio/uomo/oggetto/sicurezza, senza apportare la minima alterazione alle caratteristiche architettoniche antiche; valorizzare l’esposizione delle collezioni e contemporaneamente dotare gli ambienti dei più avanzati requisiti tecnologici senza arrecare probabili danni irreversibili alle strutture.
Se le finalità dei lavori di restauro sacrificheranno la prima istanza della tutela, vale a dire quella conservativa, e non saranno volti, come definito nell’articolo 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ad un “intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo”, ciò comporterà una inammissibile lesione alla integrità fisica del bene culturale.
Ci si dovrà a questo punto interrogare sulla reale necessità di un nuovo investimento di denaro pubblico, forse concepito e perseguito all’esterno della sede istituzionale deputata alla tutela e da essa non contenuto, e infine subìto. Ci si ritroverà forse un’altra volta di fronte ad un ennesima gestione piuttosto disinvolta non solo della borsa pubblica, ma soprattutto del Patrimonio culturale.
Sarebbe stato auspicabile richiedere e investire questi ingenti fondi per la realizzazione di una nuova struttura costruita a tale scopo, piuttosto che ristrutturare vecchi edifici destinati in origine ad utilizzi diversi da quello musale che riproporrebbero le stesse problematiche del Castello, che dovrebbe in ogni caso e comunque conservare la sua funzione museale, pena il rischio di qualche deriva verso il marketing pseudo culturale.
Si dovrebbero preferire spazi che consentano, sia per le loro dimensioni che per i loro caratteri architettonici, di mirare a svariati obbiettivi: incremento delle opere esposte, inserimento nei percorsi di visita di esemplari ora in deposito; un ritmo più pausato nella disposizione delle opere che potrebbe migliorare sia la godibilità che la sicurezza; moderna impiantistica e la creazione di sale opportunamente attrezzate per l’esposizione di tipologie che pongono problemi particolari e infine l’istituzione di nuovi servizi per i visitatori.
Il nuovo museo sarebbe potuto sorgere nei pressi dell’area archeologica delle “Mura Dionigiane”, laddove il paesaggio agricolo peri-urbano è stato sfigurato dall’abusivismo edilizio. Tale intervento di riqualificazione avrebbe potuto recuperare e valorizzare sia l’area archeologica che il contesto urbanistico.
Da studioso, mi auguro che almeno una minima parte degli ingenti finanziamenti, siano investiti per la realizzazione e la pubblicazione di un catalogo scientifico del museo e delle sue collezioni che possa sostituire la misera brochure pieghevole, unico strumento oggi a disposizione dei visitatori e degli studiosi. Infatti i musei servono in primo luogo a creare e ad aumentare la conoscenza, e il loro primo compito deve essere la “Ricerca”.
Dott. Massimo Liccardo
Storico dell’Arte,

Firenze
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