Il professore Francesco Branchina fornisce, con la solita competenza, ulteriori elementi sulla storia della nostra città. 

Adrano, l’Avo. Potenza bellica e forza evocativa

COME LA CITTA’ ETNA VENNE DENOMINATA ADRANO

Se volessimo definire il ruolo della città di Adrano in seno alla civiltà Sicana\Sicula della Sicilia, non potremmo che paragonarla, per il suo ruolo di capitale sacra, all’odierno stato del Vaticano, portatrice però di un valore aggiunto, visto che essa fu pure una potenza bellica, annoverabile fra le sette città militarmente più forti dell’isola nel periodo storico coincidente in Sicilia con l’inizio della colonizzazione greca. Poiché la storia, scritta unilateralmente dai Greci, non rende giustizia al  vero ruolo dei siculi Adraniti, spetta a noi eredi riscattare i nostri valorosi padri, risvegliandoli dall’oblio a cui i Greci li condannarono.

Chi ci ha seguito nei precedenti articoli converrà che la casta sacerdotale degli Adraniti, il cui nome si legge da destra verso sinistra in monete chiaramente pre-elleniche, rappresentò il cuore pulsante della religiosità isolana in periodo pre-greco. Gli Adraniti erano i sacerdoti del dio Adrano, il cui santuario sorgeva nella città denominata Innessa, sotto il principato di Teuto, e successivamente Etna, in onore della figlia di Teuto. Ben presto la città avrebbe cambiato ulteriormente nome, assumendo quello odierno di Adrano, in seguito ad una complessa operazione politico-militare compiuta dal tiranno siracusano Dionigi.

Per comprendere l’attività suddetta, risulta necessario passare a setaccio le gesta che portarono il tiranno al comando della polis più potente dell’isola. Nel 405 a.C., appena proclamatosi tiranno di Siracusa, Dionigi subisce le ostilità degli aristocratici democratici siracusani i quali, dopo avergli sterminato la famiglia, per poco non riescono ad eliminare lo stesso tiranno. Riavutosi, attraverso inganni e tradimenti e soprattutto grazie all’utilizzo di mercenari campani, consolida la propria tirannia nella città; nel 403 a.C. inizia un’operazione di assimilazione dei territori siculi dell’entroterra. La prima città che il tiranno assedia, in atto di rappresaglia, è Etna, poiché questa potente città Siculo\Sicana – retta democraticamente attraverso l’istituto delle assemblee, presiedute da un primus inter pares, che deliberavano sui problemi di importanza capitale per la città – aveva inviato a Siracusa duemila cavalieri affinché dessero man forte agli aristocratici siracusani, che assediavano Dionigi nella sua reggia. Il tiranno si reca presso Etna ma, constatandone l’inespugnabilità, si limita a fare promesse ai rifugiati siracusani, che avevano trovato ospitalità nella città anti-tirannica, per convincerli a ritornare in patria. Alcuni si lasciano convincere, ma i più preferiscono rimanere in Etna, nella quale sentono garantita la propria libertà; altri infine, guidati da un cavaliere di nome Soside, il cui discendente si sarebbe reso protagonista, nel 213 a.C., della presa della Polis da parte dei Romani, partono come mercenari in Medioriente, arruolandosi nell’esercito che Ciro sta approntando contro il fratello Artaserse.

La scelta dei siracusani ostili a Dionigi di rifugiarsi in Etna, piuttosto che in città più vicine a Siracusa e altrettanto fortificate, credo possa rintracciarsi nei passati rapporti più che amichevoli intercorsi tra le due città, Siracusa ed Etna, fin dai tempi dell’illuminato “re” Gelone. Questi, infatti, dopo la battaglia di Himera del 480 a.C., volle fare dono di un tempio agli eroici Etnei che, come si evince dal racconto del greco Diodoro, nonostante la scarsa enfasi con cui lo stesso fa cenno al ruolo degli Etnei, furono determinanti per la sconfitta dei Cartaginesi. L’edificazione di un tempio greco nella città sicula di Etna, capitale della religione degli antenati, ebbe certamente un alto valore simbolico, che si traduceva in un innalzamento dello status politico\militare di Etna e soprattutto segnava un cambiamento epocale sotto il profilo religioso; infatti, per la prima volta, nella sicula Etna avveniva l’introduzione di un culto greco. Tale apertura da parte degli Etnei nei confronti dei Greci, molto probabilmente subita dai sacerdoti Adraniti, cultori delle antiche tradizioni sicane, avrebbe dato i suoi frutti politici, garantendo ai cittadini un trattamento privilegiato da parte dei tiranni.

Intanto Dionigi, non rinunciando al suo progetto imperialistico e abbandonando per il momento l’assedio dell’inespugnabile Etna, continuava la sua battaglia per l’annessione dei territori siculi con ogni mezzo, non mantenendo la parola data e facendosi beffa di tutte le regole etiche che avevano fatto delle gesta belliche atti eroici da epopea fin dai tempi di Omero. Pertanto, mostrando di non temere gli dèi, spergiuro e mendace, conquistate col tradimento Catania, Lentini, Naxos, ne deporta gli abitanti superstiti, dopo aver passato i più a fil di spada. Il suo cruccio rimaneva tuttavia l’indomita e potente città di Etna, ammantata d’ardore sacro con quel suo dio primordiale che sarebbe stato temuto ancora duecento anni dopo dagli stessi Romani. Fin qui non si aggiunge nulla alla narrazione di Diodoro. Da questo momento in poi proveremo a leggere tra le righe di una storia superficialmente raccontata, non esitando a ricorrere all’indagine psicologica dei personaggi che fecero la storia, avendo imparato che perfino un Annibale non poté sottrarsi ad una determinante sconfitta psicologica nel confronto con Scipione, ancor prima di subire quella militare.

Dionigi dunque, da abile stratega mostra i muscoli, assediando nuovamente, intorno al 403 a.C., le ciclopiche mura della città sacra, nei confronti della quale, appena ottant’anni prima, Gelone aveva manifestato la propria riconoscenza; ma nello stesso tempo manda ambasciatori per parlamentare con il consiglio cittadino.

Con un pizzico di fantasia, dote concessa allo storico qualora venga apertamente dichiarato al lettore tale sconfinamento, si potrebbe immaginare perfino il dialogoavvenuto durante l’ipotetico incontro tra Dionigi e il consiglio cittadino di Etna: i sacerdoti Adraniti, con le loro vesti di lino bianco, il bastone ricurvo e forse la lira d’oro del dio, con la quale evocavano il “furore dell’Avo” Adrano, assieme ad una rappresentanza di cittadini illustri che facevano parte del consiglio cittadino di Etna, scortati da un piccolo contingente di guerrieri armati di lancia ed elmo, come a testimoniare la componente bellica del dio, andavano incontro al tiranno. Questi, da parte sua, assistito dal suo astuto amico retore e storico Filisto, che poco prima, convincendolo a non cedere, lo aveva salvato dall’assedio degli aristocratici democratici siracusani, avrà certamente sfoderato le celeberrime capacità oratorie vanto dei Greci, che gli avrebbero consentito di tenere testa, negli anni successivi, alla stessa filosofia di un improvvido Platone che, venuto a trovare il tiranno a Siracusa, sarebbe stato poi venduto da questi come schiavo.

Dionigi, nel suo progetto di trovare una soluzione onorevole per entrambe le città, dovette innanzi tutto ricordare alla sacra ambasciata etnea l’antica amicizia contratta con Siracusa fin dai tempi del re Gelone. Il piano del tiranno consisteva nell’ottenere dagli Etnei di ospitare in città una insignificante guarnigione siracusana (o magari quei mercenari campani che vi avrebbe trovato Timoleonte cinquant’anni dopo), più politicamente simbolica che militarmente efficace, onde dare valore e visibilità politica alla propria azione militare; in seconda istanza intendeva cambiare il nome alla città, denominandola Adrano: questo mutamento di nome, da un lato, per i Greci, avrebbe avuto un valore simbolico di rifondazione, dall’altro, per i Sicani, che del resto avevano già accettato che Innessa venisse denominata Etna, avrebbe sancito un nuovo inizio, sotto l’egida diretta del loro potente dio. I sacerdoti Adraniti, consultato il dio circa la soluzione proposta dal tiranno, dovettero trarne auspici positivi, così gli Etnei, incoraggiati dal parere dei sacerdoti, decretarono di chiamarsi, da quel momento innanzi, Adraniti.

Da quel momento, come è possibile notare attraverso la lettura di Diodoro, il nome della città Etna non sarebbe più apparso nelle cronache politico militari dell’isola, che pure l’avevano vista protagonista degli eventi precedenti, sostituito dal nome Adrano, città nata già adulta, la quale si sarebbe imposta da subito sul territorio, giungendo, nel 344 a.C. a rendersi protagonista della cacciata dei tiranni dell’isola e continuando altresì inalterate tutte le tradizioni siculo\sicane che i padri avevano trasmesso e perdurato nei millenni precedenti. Appena fu possibile, nel 344 a.C., gli Adraniti “restituirono il favore” al tiranno, recandosi a Siracusa, dove abbatterono la tirannide, che era passata a Dionigi II, e istituirono un consiglio cittadino, sulla falsa scia di quelli siculi, formato da siracusani democratici, da cittadini adraniti, tindaridi e tauromeni, tutte città che, riunitesi in lega, avevano contribuito militarmente all’operazione antitirannica.

L’influenza adranita su Siracusa, a partire da questa data e fino al 213 a.C., fu maggiore di quanto appaia dalla superficiale lettura della storia, raccontata del resto da storici greci, restii ad ammettere e narrare tale influenza; Adranodoro, genero di Gerone II e pretendente alla tirannide dopo la morte del suocero, avvenuta nel 216 a.C., fu probabilmente un cittadino di provenienza adranita, appartenente ad una famiglia aristocratica trasferitasi a Siracusa al seguito dei condottieri adraniti. La presenza di famiglie adranite a Siracusa, con incarichi politici di rilievo, appare altresì ovvia se si considera che Timoleonte, per ripopolare Siracusa, resa deserta dalle continue guerre fatte dai due Dionigi, dovette richiedere uomini perfino a Corinto la quale, raccogliendo uomini attraverso un bando, riuscì a inviarne sessantamila. Plutarco aggiunge esplicitamente che anche da tutta la Sicilia, rispondendo al suddetto bando, si erano recati uomini a Siracusa per abitarvi.

Altro motivo per credere che l’influenza politica sicula su Siracusa fu sempre incisiva, soprattutto dopo i fatti del 344 a.C., è la presenza nella Polis di un antichissimo tempio che Cicerone, nelle Verrine, afferma essere dedicato ad un antico dio locale, un “Giove imperatore” che i Greci chiamavano Urio. Era dunque un tempio non greco in cui la statua del dio viene paragonata da Cicerone, semplificando, a quella del dio romano Giove, che si ergeva sul Campidoglio; allo stesso modo Diodoro (90-27 a.C.), nel lib. XXXIV, cap.28, avrebbe chiamato “Giove etneo” il dio Adrano (o perché il suo santuario si trovava nella città di Etna-Adrano o perché questo culto era ormai ristretto al territorio etneo). Ora si dà il caso che ur, in lingua germanica, significhi antico, primordiale, perciò Urio non era in realtà il nome del dio ma l’aggettivo che lo indicava come pre-greco, antico, primordiale. L’unico dio siculo che corrispondeva a tale appellativo era appunto Adrano, l’Avo, l’antenato. Va ricordato a tal proposito che, prima di essere conquistata dai Greci, Siracusa era una città sicula, come conferma il suo stesso nome (sicher husa, “casa sicura o dimora certa”, inespugnabile, caratteristica di Ortigia, luogo del primo insediamento umano) e che i Killiroi (cilliri in siciliano) erano in realtà i siculi sottomessi, i quali esercitavano il culto del dio Adrano. Urio era dunque l’appellativo che i Siculi-Killiroi avevano dato al tempio pre-greco del dio antico, il tempio primordiale, edificato per primo e dedicato all’Avo, al nonno, all’antenato, in poche parole il tempio dove si esercitava il culto di Adrano. Tale culto sarebbe caduto in disuso nella Sicilia romana dopo che i Decemviri, nel 213 a.C., ne avevano decretato la chiusura alla pubblica devozione2; sarebbe stato sconosciuto perfino al colto Cicerone, così come ai Greci, tra cui Diodoro.      

Eviteremo in questa sede di fare riferimento alle argomentazioni di carattere geografico, cultuale e militare, suffragate rispettivamente dai testi di Strabone, Plutarco e Cicerone, che provano l’identificazione delle città Innessa, Etna e Adrano; eviteremo altresì di dimostrare come sarebbe stato impossibile per Dionigi, impegnato in una spossante campagna militare contro i Cartaginesi, fondare la città di Adrano, sicché si sarebbe limitato in realtà ad attribuirle il nuovo nome (Adrano) e a rabberciare qualche tratto delle preesistenti imponenti mura pre-greche. Rimandiamo coloro che volessero approfondire tali aspetti al nostro già citato saggio storico.   


1 Tucidide, storico che abbiamo adottato quale maestro ideale, essendo stato il più scrupoloso tra gli storici, nel racconto sulla guerra del Peloponneso, in riferimento ai discorsi che tenevano statisti e condottieri, dice: «E quanto ai discorsi che tennero gli uni e gli altri sia in procinto di fare la guerra che durante, tenere a mente le parole precise di quei discorsi era difficile tanto per me, nel caso in cui le avessi udite personalmente, quanto per quelli che me le riferivano da qualche altro posto; ma, a seconda di quanto ciascuno a mio parere avrebbe potuto dire nel modo più adatto nelle diverse situazioni successive, così si parlerà nella mia opera, che io mi terrò il più possibile vicino al pensiero generale dei discorsi effettivamente pronunciati».

Francesco Branchina – Adrano, dimora di dèi, nella storia del mediterraneo greco – cap.VII par.6