– Lo schiavo siciliano Euno che guidò la guerra di liberazione che scoppiò in Sicilia, nella città di Enna, nel 139 a.C. –

Il dottor Francesco Branchina, con la solita maestria ed acutezza, ci parla del popolo di Adrano e del suo atteggiamento dinanzi agli eventi che colpiscono la società.

Adrano padrona del proprio destino

 Agli Adraniti di questa generazione, oro grezzo, diamante non sfaccettato. Che la consapevolezza della nostra nobile storia serva a sgrossare quell’oro, fare gioielli di quel diamante.

ELOGIO DELLA STIRPE 
Chiunque potrebbe facilmente constatare le peculiarità che caratterizzano il popolo adranita, differenziandolo dai vicini. I comportamenti degli adraniti sono assimilabili a taluni fenomeni naturali difficilmente governabili: ad una tempesta che, se da un lato dà le ali ad un’imbarcazione, dall’altro può affondarla nel caso in cui il timoniere non sia all’altezza del proprio compito; ad un tuono pauroso di cui si avverte il rumore ma non si individua l’origine; ad un fulmine che squarcia il cielo, illuminandolo d’intensa luce, ed è capace di incendiare una quercia, se un parafulmine non è in grado di catturarlo. Lo stesso linguaggio differenzia l’Adranita dai cittadini di tutti i paesi viciniori, il cui parlare, in qualche modo, si presenta addolcito da una cantilena che lascia presagire la disponibilità ad un pacato discorrere.

Quello adranita invece, come si è già avuto modo di osservare nel saggio Adrano, città di Dèi, nella storia del Mediterraneo greco, “è un linguaggio assai rude, severo ed austero, un suono più di petto che di gola. Esso esce dai polmoni come una ventata d’aria calda del libeccio estivo, che investe, percuotendo nell’anima. Esso non attraversa i lunghi percorsi della laringe, della trachea, della gola, che mediano, strada facendo, l’iniziale arcana durezza, ma si riversa direttamente, iniziando dall’atto vitalizzante polmonare, alle corde vocali che, poderosamente colpite, trasmettono traumaticamente potenti suoni all’esterno, diretti a colpire le fragili pareti del diaframma auricolare degli ascoltanti. L’adranita non parla, egli tuona. Egli non dice le cose, le urla. Fin dal suo linguaggio egli appare come un’indomabile forza della natura, memore di quei giganti di cui conserva intatto anche il tratto dell’ingovernabilità, ravvisabile nell’irridente Polifemo che, alle leggi dell’ospitalità sacra agli déi, cui si appellava Ulisse, opponeva risate derisorie, beffarde e irriverenti nei confronti della stessa autorità divina.

Alla severità del linguaggio corrisponde nell’adranita una storica disillusione nei confronti del mondo e di chi, di volta in volta, se ne volesse porre alla guida. Disincantato com’è, non verrà visto applaudire l’oratore nei comizi, né applaudire l’artista sul palcoscenico, né in assembramenti finalizzati a proteste popolari, ma verrà visto invece, muto osservatore di ciò che appena lo sfiora, prendere silenziose e personali decisioni fra le sue quattro mura, in una sorta di aristocratica solitudine, nella scelta di ciò che egli ritiene utile per sé e per la propria famiglia, unica istituzione che riconosce e che difenderebbe ad ogni costo. Come quei Ciclopi che eressero le poderosa mura della nostra città, l’adranita fu valente scultore della dura lava, a cui diede le più belle forme; come quelli, fino al secolo scorso, in molti divennero mitici per la loro forza erculea e primeggiarono per la loro resistenza alla fatica e alle difficoltà”.

CALATI JUNCU
Il popolo adranita, che pure esibisce, nella quotidianità, comportamenti ispirati alla celebre locuzione latina “frangar, non flectar”, ha tuttavia saputo mettere a frutto l’antico adagio popolare sintetizzato nell’espressione “calati juncu ca passa la china”; ha saggiamente imparato dalla propria storia che ci sono momenti in cui è necessario non opporre resistenza agli eventi negativi, poiché ogni reazione, in mancanza di strumenti idonei a scrollarsi di dosso il giogo imposto dall’epoca infausta, risulterebbe vana. In questi momenti non contrasta e non si oppone, ma lascia che gli eventi passino, aspettando che la loro forza inarrestabile si scarichi completamente e cessi di nuocere.

Fatalmente, sembra che ogni ventennio sia apportatore di novità. Questo ventennio è, per gli Adraniti, al suo scadere. Essi hanno compreso che la china sta scemando. Il giunco tornerà eretto a guardare il fiume scorrere placido sotto di sé.

CHIAMATA A RACCOLTA
Qualche timida voce, a cui questo sito ha dato risonanza, si è già alzata. Benvenuti siano gli eredi dei nostri Avi, di quei titani che alzarono poderosa mura per cingere una sacra città, inaccessibile ai profanatori. Se oggi, tuttavia, qualcuno di questi dissacratori vi è penetrato, sappia che l’Adranita saprà riconoscerlo, in quanto dissimile da sé, e come quel dio che, pentitosi d’aver creato l’uomo, lo annientò, ricaccerà fuori dalle mura cittadine quegli schiavi, figli di Euno, un tempo accolti pietosamente per offrire loro scampo dalla daga romana.

Non agli eredi di Euno ci rivolgiamo, non a coloro che raccolgono immeritati onori, vivacchiando nella quotidiana mistificazione, ma agli eredi spirituali di chi, animato da un sacro spirito, dal mos maiorum, deliberando tra le segrete stanze del palazzo comunale, ha lasciato ai posteri piazze, spazi verdi, ampie strade, che non hanno pari nei comuni viciniori. Agli eredi di quest’ultimi – ancora numerosi in Adrano, i quali, proprio perché degni eredi di una aristocrazia dello spirito, schiva per natura dalle luci della ribalta, continuano a vivere, quali convitati di pietra, in un’aristocratica solitudine – ci rivolgiamo perché si chiamino a raccolta e diano, prometeicamente disinteressati, il loro contributo per ristabilire, in questa città, ciò che un tempo fu intesa come semplice normalità e che oggi viene additata come segno di conquistata civiltà.

La semplice affermazione: “Io ci sono” sarebbe, al momento, sufficiente, per compattare una categoria di simili. Il passo successivo potrebbe essere compiuto al grido: “Il migliore ci sia da guida”.          

Francesco Branchina