L’imprenditore agricolo ucciso e bruciato da due suoi dipendenti
Sarebbero gli autori di un atroce omicidio per una piccola questione di interessi, che si è consumato il 15 dicembre del 2010, quando in contrada Ponte Saraceni di Adrano, vennero ritrovati resti umani all’interno di una “Mercedes E” totalmente distrutta dalle fiamme.
Solo dopo alcuni giorni i resti di quel cadavere carbonizzato vennero accoppiati a Carmelo Arcoria, imprenditore adranita quarantaseienne: si era allontanato dalla sua abitazione di Contrada Dagala nel pomeriggio del 13 dicembre e non aveva dato più notizie.
Ma sua scomparsa era stata denunciata giorno successivo dalla moglie al Commissariato.
Immediatamente le indagini presero una svolta ben netta: durante l’esame autoptico eseguito dal medico legale, all’interno della cavità cranica è stato rinvenuto un frammento di ogiva incamiciata. Insomma, qualcuno gli aveva sparato in testa.
Inoltre, dalle dichiarazioni rese dal proprietario di un fondo limitrofo al luogo di ritrovamento e dalla rilevazione della presenza di numerosi copertoni all’interno della carcassa dell’auto, gli inquirenti si convinsero che l’omicidio fosse stato commesso altrove e che l’autovettura fosse stata posizionata sul posto allo scopo di incendiarla e distruggere il cadavere.
Bisognava allora scavare sulla personalità della vittima, sulle sue relazioni ed attività professionale.
E su questo versante si sono mosse le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Toscano e dirette dai sostituti Pasquale Pacifico, Lucio Setola e Laura Garufi.
Ne sono emersi particolari ancora più agghiaccianti, svelando un microcosmo di intrecci, imbrogli e piccoli ricatti. Arcoria infatti gestiva a una cooperativa di lavoratori che si occupava della raccolta di agrumi, ma stava attraversando una difficile situazione economica ed era inadempiente al pagamento di numerosi stipendi. Non solo, ma è risultato coinvolto in un giro di false attestazioni sulle giornate lavorative di braccianti agricoli, ragione per cui era stato anche indagato per il reato di truffa aggravata .
Il piccolo imprenditore ha cercato di farsi restituire cinquemila euro prestati al suo caposquadra Scafidi. Ed è stato per lui l’appuntamento fatale: il suo “dipendente” gli avrebbe sparato a bruciapelo in macchina, mentre l’altro “dipendente” Vincenzo Lo Cicero, lo ha aiutato a spostare il cadavere e trasportarlo a bordo della “Mercedes” poi incendiata. Altro particolare davvero feroce: Lo Cicero riceveva il sussidio di disoccupazione grazie alle dichiarazioni del suo “principale”.
Sono stati i tabulati e le registrazioni telefoniche a condurre magistrati e poliziotti sulle tracce dei due: una massa di documentazione notevole, in cui Scafidi racconta per filo e per segno come ha ammazzato Arcoria.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal G.I.P. Giuliana Sammartino.
Il procuratore della Repubblica di Catania, Michelangelo Patanè, durante la conferenza stampa, ha reso noto che un omero umano, un osso che non appartiene alla vittima, fu trovato dagli investigatori tra i resti dei pneumatici utilizzati per bruciare il corpo e l’auto dell’imprenditore e, secondo gli investigatori, potrebbe appartenere ad una persona uccisa anni addietro.