Il Prof. Francesco Branchina affronta il tema della tradizione dei defunti, che trova le sue radici, ancora una volta, nel nostro nobile retaggio spirituale.
I millenni trascorsi hanno sovrapposto dei veli ai profondi significati nascosti nel nome del dio Adrano che, come argomentato in precedenti studi, ritengo identificabile con l’avo divinizzato dei Sicani\Siculi in generale e degli Adraniti in particolare. Lo studio appassionato della storia avita, se unito all’ardore che collega i discendenti agli antenati, consente tuttavia di eliminare uno ad uno questi veli.
Il culto riservato agli Avi dai nostri antichi progenitori sopravvive ancora nel rito celebrato a Novembre. Fino alla precedente generazione esso si trasmetteva immutato nel suo profondo valore religioso. I nostri progenitori, esattamente come i Latini di due o tre millenni fa, accendevano delle lucerne sotto i ritratti degli avi, che erano perennemente collocati in un luogo vicino al focolare domestico, il davanzale del camino per i più abbienti: il fuoco fisico alimentava idealmente l’ardore che univa gli Avi agli eredi. Il legame tra gli uni e gli altri trapela dal concetto, espresso da Plutarco nella Vita di Camillo, di moto generazionale contenuto nel vocabolo gentes. L’etimo del termine, la cui pronuncia originaria era caratterizzata dal suono gutturale della consonante “g”, riconduce infatti al verbo gehend, di derivazione protogermanica, lingua comune a latini e Sicani della prima ora, col significato di andante. Sulla derivazione protogermanica della lingua sicana non diremo oltre, avendo riservato all’argomento approfonditi studi nelle nostre pubblicazioni. Anche il lessema gene è riconducibile al verbo gehend, infatti il gene “va”, si trasmette cioè dall’avo all’erede, facendo rivivere in qualche modo l’Avo attraverso il discendente, non solo relativamente alla trasmissione degli aspetti somatici ma anche tramite il passaggio di quelli spirituali, conferendo in tal modo l’immortalità agli antenati. Non a caso il Romano definì il primogenito “figlio del dovere”, in quanto con tale concepimento il padre assolveva il suo compito nei confronti degli Avi, garantendo loro la sopravvivenza, il “cammino”; qualora poi non avesse potuto procreare avrebbe fatto ricorso, con divina intuizione, al sacro istituto dell’adozione, considerato come un innesto che, una volta attecchito, si sarebbe fuso con il corpo della pianta, rendendo impossibile distinguere la marza dal porta innesto.
Ma il grande miracolo, per noi uomini moderni, è che a distanza, forse, di sei mila anni, il lessema, riscontrabile anche nell’antico alto tedesco, anu/o, contenuto nel nome del dio divinizzato, dell’avo primigenio (Adrano, Giano, Inanna, Nannar, Etana … ), continua a vivere nel vocabolo nonno (ahn in tedesco moderno), rappresentante per antonomasia dell’istituto più sacro che la società umana abbia mai spontaneamente concepito, la famiglia, la quale ha mantenuto il suo ruolo fino alla nostra era infausta, che sta per dare vita ad un nuovo ciclo cosmico, quello dell’acquario, che diluirà ogni sacra istituzione, facendo della stessa famiglia un ibrido, un mostro a due teste, con due padri o due madri. Nei giorni dedicati ai defunti, la cui festività cade nei primi giorni di Novembre, la tradizione voleva che si andasse al cimitero per fare visita ai nonni defunti. Questo periodo era inteso, in Sicilia così come in Scandinavia e nel mondo germanico, come il momento favorevole per creare un contatto con l’aldilà, per aprire una porta, un varco, uno stargate capace di collegare il mondo col sovra-mondo, il discendente con l’anu, il nonno per eccellenza, l’avo primigenio che, essendo in contatto con le forze del sovramondo, poteva intercedere a favore dei discendenti.
Timoleonte
Timoleonte
Il lessema Odhr – che, unito ad Ano, dà vita al nome del dio Adrano – era un attributo riferito all’avo stesso, definito “furioso”. Del resto un sacro furore, probabilmente a motivo delle leggi di ereditarietà, caratterizzò sempre gli adraniti, già a partire da quel lontano 480 a.C. in cui essi, a fianco di Gelone, nella battaglia di Himera1, con il loro coraggio ebbero un effetto propulsore nei confronti degli scoraggiati alleati greci, cambiando le sorti della battaglia; oppure quando, sostenendo il condottiero Timoleonte, cacciarono i tiranni greci dall’isola; ed infine quando, purtroppo, alimentarono con un furore non più sacro il fenomeno del banditismo del dopoguerra, che vide negli adraniti i più numerosi aderenti.
L’eredità della lingua sicana, a sua volta riconducibile ad una primigenia lingua nord-europea o protogermanica, diffusasi successivamente, con le migrazioni, sino in area mesopotamica, sopravvive tutt’oggi, a motivo dell’utilizzo rituale e dunque immutato di tale lingua nel prestigioso tempio del dio Adrano, fino al 213 a.C. Il lessema e il concetto di ninna nanna riportano infatti molto indietro nel tempo: con questa cantilena si invitava il neonato ad “entrare” nel mondo “dei nonni”, dal quale proveniva. Inna Ana è infatti traducibile in a.a.t. letteralmente con “dentro” – così da indicare una fase di compenetrazione del neonato nel mondo ultra fisico – e “Antenato”. Non è un caso se tra i Sumeri ritroviamo la dea Innanna, garante tra l’altro della fecondità, considerata, come il suo nome stesso indica, la custode dei valori ancestrali degli Avi, come la latina Vesta, detentrice del sacro fuoco che alimenta la stirpe, la “gentes”, gli Avi. La ninna nanna, νάνι νάνι in greco, Nani Nani in rumeno, aveva dunque alle origini lo scopo di indirizzare e condurre a buon fine il viaggio onirico del neonato, di farlo entrare in contatto con quel mondo, evocando l’ano.
Capitello esposto presso il Museo di Adrano
Capitello esposto presso il Museo di Adrano
Si noti che tale pratica è oggi riscoperta, per i suoi effetti terapeutici, anche in medicina. Si suggerisce infatti ai parenti di un individuo che riversa in stato di coma permanente di parlare col malato, evocando ricordi piacevoli della sua vita, provocando in tal modo il rientro dello spirito nel corpo. Una pratica simile è descritta nel Libro egiziano dei morti, scritto un paio di millenni prima della nostra era, in cui si suggeriva al parente prossimo del defunto di parlargli all’orecchio, onde guidarlo nel cammino dell’aldilà. Non è neanche un caso, e forse vi sarà occasione di approfondirlo in altra sede, che il dio della luna sumero – e si noti che la luna è collegata all’attività onirica – si chiamava Nannar. A proposito di luna e di astri, ci piace far notare inoltre che gli Adhranhiti, cioè i sacerdoti del dio Adhrano, come i sacerdoti sumeri, gli Annunaki, non dovevano essere a digiuno delle scienze astronomiche. Lo testimonierebbe la numerosa simbologia ritrovata nel territorio di Adrano, incisa su manufatti come capitelli e ceramiche (vedi foto a lato).
Pytos esposto presso il Museo di Adrano
Pytos esposto presso il Museo di Adrano
Sono infatti numerose le incisioni che raffigurano stelle e soli a raggi nei pesetti da telaio; la croce potenziata è raffigurata in uno splendido pytos del III millennio a.C. (foto a lato); in ultimo il carro del sole e la spirale, che rappresenta la forma delle galassie, sono incisi negli splendidi capitelli di duro basalto ritrovati nel sito del Mendolito.
Sui legami religioso-culturali tra Sumeri e Sicani Adraniti, appena accennati in questa sede, sarà possibile ritornare con un successivo articolo.
1 Francesco Branchina –Adrano, Dimora di dèi, nella storia del Mediterraneo greco- Ed. Simple
A questo articolo Jung avrebbe attinto a piene mani, tanto è carico di preziose suggestioni. Il percorso non è neppure semplicemente storico, ma sconfina in quell’inconscio collettivo dove ogni parte del nostro dna e del mistero della nostra esistenza, trovano radice. I miei più sentiti complimenti all’autore, per gli eccellenti approfondimentii!