Il boss Vincenzo Rosano non teme di essere ammazzato, perché ha disconosciuto il figlio pentito, Valerio, alla ribalta alcuni mesi fa per la comparsa di necrologi ad Adrano. “Ho deciso – ha detto il boss – di disconoscerlo come figlio, considerandolo morto, e pertanto non ho motivo alcuno di temere per la mia incolumità personale”.
Era il 28 settembre 2017. La Procura era già sulla pista che ha portato, nei giorni scorsi, all’esecuzione del blitz Adranos. Il boss si sentiva sicuro anche in carcere, ma in quel momento, gli inquirenti stavano valutando le dichiarazioni del figlio.
Dichiarazioni importanti perché provengono da chi è cresciuto nel cuore della mafia, all’interno di un territorio caldissimo.
Esattamente, Valerio Rosano inizia a collaborare il 20 settembre del 2017, mentre si trovava in carcere e da subito ha ammesso di essere responsabile anche di reati per i quali non era stato mai indagato.
IO COLLABORO – “Ho deciso di collaborare con la giustizia – dice il pentito – perché voglio cambiare vita e dare un futuro migliore a mio figlio. In realtà io sono detenuto da oltre tre anni e da circa un anno già pensavo a fare questo passo ma mia moglie non era convinta e per questo tardavo a decidermi. Ora sono convinto della mia scelta a prescindere da cosa sceglierà mia moglie”.
CURRICULUM – Valerio Rosano ripercorre il suo rapporto con la mafia a partire da quando aveva 15 anni, quando inizia la sua “esperienza criminale”, come ama definirla, “perché mio padre Vincenzo apparteneva al clan mafioso Santangelo”.
Nel 2011 Rosano viene arrestato per detenzione di mezzo chilo di eroina, non era ancora affiliato al clan, si occupava del traffico di droga e di rapine “con i miei fratelli Rosano Francesco e Rosano Nicola. Ai tempi ancora né io né i miei fratelli appartenevamo al clan Santangelo ma solo tra di noi facevamo questi reati”.
Il figlio del padrino resta in carcere fino al 2013, subito dopo viene affidato ai servizi sociali, “e quindi sostanzialmente ero libero. Mio padre – aggiunge il collaboratore – in quel periodo tra il 2011 ed il 2013 era detenuto e percepiva lo stipendio dal clan Santangelo quale componente dello stesso clan. Poi nel 2013 mio padre andò ai domiciliari e poco dopo tornarono liberi per scadenza termini sia mio padre che Alfio Santangelo, Nino Quaceci, Gianni Santangelo e Nino Crimi cioè i personaggi più importanti del clan”.
IL SUMMIT – Un incontro per chiarire gli equilibri della famiglia Santangelo è avvenuto nella casa della nonna del pentito. “In questo momento ci fu un incontro – dice Rosano – ed un chiarimento tra la nostra famiglia e gli esponenti della famiglia Santangelo, e tale incontro avvenne nell’abitazione di mia nonna madre di mio padre sita a Monterosso ed erano presenti mio padre, miofratello Francesco, mio cugino Nicola, Alfio Santangelo, Gianni Santangelo, Nino Quaceci ed Angelo Pignataro. In tale occasione dopo un chiarimento noi siamo tornati a pieno titolo nel clan Santangelo e da quel momento anche io e mio fratello Francesco abbiamo iniziato a percepire lo stipendio”.
L’OMICIDIO. L’uccisione di Alfio Rosano insieme a due esponenti provoca tensioni nel clan. “Voglio chiarire che le ragioni di dissidio ed allontanamento con il clan Santangelo risalivano all’omicidio di mio zio Alfio Rosano ucciso insieme al cugino di Alfio Santangelo dal genero di mio zio Alfio Rosano nel luglio del 2006. A seguito di tale triplice omicidio mio padre pretendeva immediata vendetta da parte del clan Santangelo ed invece Nino Quaceci rinviava sempre tale vendetta e per questo mio padre si era allontanato dalla famiglia Santangelo anche se ha sempre continuato a percepire lo stipendio dal clan”.
L’INCONTRO – Valerio Rosano svela agli inquirenti una confidanza che gli avrebbe fatto il fratello Francesco: “Mi ha riferito cosa era accaduto nel citato incontro di chiarimento che se ben ricordo avvenne ad inizio 2014, ed in particolare Alfio Santangelo disse che dovevamo restare insieme per essere più forti e mio padre acconsentì anche per l’antica amicizia con lo stesso Santangelo”.
RITORNO IN CARCERE – “Io poi venni arrestato nell’aprile 2014 – racconta il collaboratore – ed anche all’interno del clan Santangelo mi sono occupato di spaccio di stupefacenti ed in particolare di grossi quantitativi di marijuana. Prima di questo incontro con Alfio Santangelo io ed i miei fratelli spacciavamo ma per conto nostro e non all’interno del clan mafioso, ma poi nell’ultimo periodo prima del mio arresto spacciavamo stupefacenti per conto del clan Santangelo, percepivamo lo stipendio dal clan e versavamo i proventi nella cassa comune a Nino Crimi”. Valerio Rosano resta detenuto nel carcere Cavadonna di Siracusa, anche con altri componenti del clan Santangelo, addirittura anche con il padre. Il carcere consentiva ai Rosano di controllare il clan. “In questi periodi – aggiunge il pentito – continuavo ad avere notizie del clan sia tramite gli altri detenuti sia tramite i colloqui con mio fratello Francesco…”.
Le sue dichiarazioni sono ritenute credibili dagli inquirenti e sono state riscontrate.
***