La conferma dagli esperti INGV. Gli studiosi continuano a registrare un aumento della risalita delle emissioni. Possibile eruzione.
Nelle scorse settimane, i Comuni etnei del versante sud hanno rilevato fuoriuscita di cattivi odori dai rubinetti (“tanfo di metano”, leggi): sin dall’inizio una delle possibili spiegazioni è stata fatta risalire all’Etna.
Su un articolo pubblicato su La Sicilia dello scorso 29 maggio (vedi foto a lato), tra le possibili cause, si fa riferimento proprio ai gas del vulcano.
L’Acoset, che gestisce il servizio, dopo aver spiegato d’avere riscontrato «una lieve presenza di idrocarburi naturali» nella galleria di Ciapparazzo, si è attivata per garantire la capillare regolarità delle forniture e la qualità dell’acqua stessa. Contestualmente, gli esperti dell’INGV (Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia), hanno registrato, e continuano a registrare, un aumento della risalita dei gas, che dimostra come «il fenomeno potrebbe verificarsi in coincidenza di una nuova fase di ricarica magmatica nelle porzioni profonde del sistema di alimentazione». Spinto dai gas, il magma risale all’interno del vulcano e gli stessi gas che fanno da motore alla massa fusa stanno via via saturando l’edificio vulcanico, infiltrandosi anche nei pozzi d’acqua potabile.
Ci sono dunque molte probabilità che questa sia la chiave di lettura dei cattivi odori fuoriusciti dai rubinetti, che negli ultimi giorni hanno tenuto in apprensione le popolazioni dei Comuni etnei del versante sud (tra cui Adrano, Nicolosi, Ragalna e Mascalucia).
Spiega Rocco Favara, direttore dell’Unità funzionale di Geochimica dell’Ingv di Palermo, presente sull’Etna con una sofisticata rete di stazioni di rilevamento, che «nei disciolti delle acque dell’Etna vi sono molti elementi chimici che non riscontriamo in altre parti della Sicilia. L’acqua del vulcano contiene anche quantità limitate di idrocarburi naturali. Può accadere che, in presenza di una risalita di una maggiore quantità di gas dal sistema profondo, nelle gallerie drenanti si possono realizzare, per brevi intervalli, apporti maggiori al normale di alcuni componenti. Nei prossimi giorni abbiamo in programma una nuova serie di verifiche e analisi per aggiornare il quadro, così come facciamo ogni mese. Un altro elemento che da settimane teniamo sotto stretto controllo – conclude Favara – è l’attività alle Salinelle di Paternò (foto a lato). I vulcanetti di fango emettono attualmente flussi di gas, prevalentemente metano, con un’intensità tre-quattro volte superiore alla media. Anche se non esiste una prova diretta che l’aumentato flusso di componenti organici abbia un coinvolgimento magmatico, è molto probabile che il ribollire del fango sia legato alla risalita dei gas dal sistema etneo. Del resto, anche i dati satellitari raccolti dai colleghi di Catania parlano di una ripresa del rigonfiamento dell’edificio vulcanico sin dai primi giorni di aprile».
«I valori registrati con il Gps sono chiari – spiega a sua volta Mario Mattia, responsabile dell’Unità funzionale per la Deformazione del suolo dell’Ingv di Catania -: da due mesi a questa parte, la camera magmatica posta a circa quattro chilometri sotto il livello del mare si gonfia con costanza. Nulla di strano, nelle dinamiche di un vulcano, la cui struttura agisce più o meno come una spugna: dopo essersi sgonfiato in seguito alle attività parossistiche e a quella effusiva, il sistema dell’Etna si è contratto perché è venuta meno la massa che lo teneva in tensione».
Possibile, allora, interpretare tali fenomeni come precursori di una nuova eruzione? «Presto per dirlo – concludono gli esperti -. Al momento possiamo solo stare all’erta e vigilare».
fonte: La Sicilia