Il prof. Francesco Branchina contribuisce a squarciare un altro velo che ricopriva la nobile storia della nostra città. Condividiamo questa nuova conoscenza con i nostri affezionati lettori.
Sull’importante ruolo che ebbe la città di Adrano dalla sua fondazione sino al 213 a.C., anno in cui venne proibito dai Romani il pubblico culto reso dai Siculi al dio Adrano, abbiamo già detto abbastanza altrove [1]. Si è anche dimostrato come essa abbia mutato nome più volte nel tempo. Dalla sua fondazione ed ancora al tempo del principe Teuto, nel VI sec. a.C., essa si chiamava ancora Innessa.
Conosciamo il nome del principe sicano Teuto grazie a Polieno, uno storico greco del II secolo che scrisse, tra l’altro, un’opera sugli stratagemmi militari attuati da diversi strateghi in secoli diversi. Uno degli stratagemmi narrati da Polieno venne perpetrato dall’infido Falaride, tiranno di Agrigento dal 570 al 554 a.C., ai danni di Teuto, principe di Innessa. Per sommi capi riportiamo il contenuto del racconto: il principe Teuto, avendo una figlia in età da marito, riceve molte proposte di matrimonio dai principi siciliani pretendenti, tra i quali il tiranno di Agrigento. Per farla breve, dal racconto emerge che Falaride non era interessato tanto alla figlia di Teuto quanto alle ricchezze di Innessa che, a detta di Polieno, era tra le più ricche città Sicule. Il Tiranno invia perciò, come ambasciatori di nozze, dei giovani guerrieri imberbi travestiti da donne, scortati da veloci bighe, che portano armi sotto le femminee vesti, per sferrare una retata degna più di un corsaro che di un tiranno al solo scopo, forse, di appurare quanto di vero ci fosse intorno alle decantate ricchezze della città.
Che il racconto di Polieno sia arrivato fino a noi è una fortuna insperata poiché esso ci permette di aggiungere dei tasselli determinanti al fine di ricostruire la storia della nostra città, che ci è giunta assai frammentaria e per gran parte mutila. Dal racconto emerge dunque che Teuto aveva una figlia, il cui nome, nonostante Polieno non lo tramandi, si può dedurre indirettamente attraverso comparazioni filologiche, storiche, culturali, etniche.
Si evince, attraverso la copiosa produzione della ceramica locale adranita del IV sec. a.C. – l’epoca cioè in cui Adrano contribuì, grazie all’apporto militare dato a Timoleonte, alla cacciata degli infidi tiranni greci – che la città assurse ininterrottamente, per lo meno dal periodo storico risalente a Teuto fino a quello di Timoleonte, ad un grande prestigio politico e di pari passo ad un’ulteriore crescita economica. La produzione della pregevole ceramica, il cui mercato di vendita, secondo gli studiosi, si estendeva al territorio orientale dell’isola, era caratterizzata dall’insistente raffigurazione di un volto femminile (vedi foto in copertina), che il nostro storico patrio Sacerdote Petronio Russo, a nostro avviso sbagliando, attribuiva alla Sibilla Cumana. Tale volto è talmente simile in tutti i vasi ritrovati da lasciare intendere che esso fosse il vero e proprio ritratto o comunque un’icona di una donna in particolare. Se a questo si aggiunge che in una pisside skyphoide, nota come La toeletta della sposa, conservata nell’antico museo di Adrano, sito in un locale del liceo classico G. Verga, trafugata, assieme ad un altro vaso e a reperti vari, dai soldati russi durante la seconda guerra mondiale – oggi esposta al museo di Mosca – vi è raffigurata la celebrazione di un matrimonio, è logico dedurre che l’iconografia in questione si riferisca alla figlia di Teuto e al suo celebre e sicuramente faraonico matrimonio, che vide coinvolti pretendenti di tutta la Sicilia, così come emerge dal racconto di Polieno.
Ma come si chiamava questa principessa di Innessa? A questo punto è davvero semplice dedurlo: dall’evento del matrimonio, celebratosi intorno al 560 a.C. circa, visto che Falaride fu tiranno in Agrigento fino al 554, non si hanno più notizie di Innessa. Ma nel 480 a.C. appare d’un tratto, al fianco di Gelone, tiranno di Siracusa, che sta conducendo una guerra contro i Cartaginesi, una potente città alleata, Etna. In realtà Etna ed Innessa, come emerge dalla lettura di Diodoro, non sono altro che due nomi diversi per indicare la stessa città, inizialmente denominata, sino al periodo di Teuto, Innessa e rinominata successivamente prima Etna, poi di nuovo Innessa nel 476 a.C., dal tiranno di Siracusa Jerone (il quale aveva contemporaneamente attribuito il nome di Etna alla città di Catania, ingenerando confusioni interpretative tra gli storici), ed infine Adrano. Sulla rinominazione di Innessa\Etna in Adrano abbiamo apportato sufficienti prove nei nostri precedenti lavori.
Il buco storico che vede assente Innessa, che va dal 560 a.C. circa fino alla battaglia di Imera del 480 a.C. può essere dunque facilmente colmato immaginando le nozze di Etna, l’unigenita figlia di Teuto che, una volta sposata, avrebbe dato alla città il proprio nome. Il motivo della rinominazione della città – che non esclude però la sporadica coesistenza dei due nomi, Innessa ed Etna, come accade ancor oggi per Adrano, nota anche come Adernò – doveva sicuramente avere implicazioni di natura politica e socio culturale tipiche del popolo sicano. Era accaduto cioè che la successione al principato della città per via patrilineare si era probabilmente interrotta, non avendo avuto Teuto figli maschi.
A queste conclusioni ci inducono molte similitudini storiche riscontrabili nei popoli affini dei Sicani dei quali, nei nostri precedenti studi, ci siamo occupati. Il re Ittita Telipinus, per esempio, non avendo avuto figli maschi aveva dovuto cambiare le leggi: emanò dunque il Decreto di Telipinus, secondo il quale la successione dinastica sarebbe potuta passare al genero. Nel Lazio, regione abitata, secondo il racconto virgiliano, anche da Sicani, il re Latino diede in sposa Lavinia, la propria unica figlia, ad Enea, al quale portò in dote una città latina, denominata Lavinio, forse per sancire la supremazia del popolo locale; alla morte della principessa latina la città non passò alla signoria di Ascanio, figlio di Enea, che invece dovette andare a fondare una città tutta sua, Albalonga, ma al figlio di entrambi, Julio, in modo che l’eredità politica continuasse ad essere latina. Allo stesso modo è probabile che Teuto, dando in moglie la propria figlia ad uno straniero, magari un principe di Catania (forse non è un caso infatti che Jerone, nel 476 a.C., abbia rinominato Catania con il nome Etna, in onore della probabile illustre antenata!) e offrendogli in dote un territorio sicano, abbia imposto, in virtù forse di un diritto delle genti sicane, di attribuire alla città il nome della figlia.
Altre ragioni inducono inoltre a confermare la tesi secondo la quale la figlia di Teuto aveva il nome Etna. Infatti tutti i nomi di cose, persone e città che ruotano attorno al territorio di Adrano posto sotto la giurisdizione di Teuto sono riconducibili ad una lingua nord europea, come la stessa epigrafe del Mendolito, se da noi ben interpretata, testimonierebbe: Innessa, il primo nome della città, risulta formato da Inna ed essen, col significato “il cibo che cresce spontaneamente” o “il cibo contenuto nelle viscere della terra”; il nome Teuto indica un uomo appartenente al popolo dei Teutoni, popolo che sarebbe stato conosciuto in seguito, attraverso il racconto di Pitea di Marsiglia, che fece nel IV sec. a.C. un viaggio fino in Scandinavia; Adhrano, l’attributo del dio sicano, composto dai lessemi Odhr e Ano significa “divino furore” o “furore dell’Avo”; ed infine Etna è un nome di persona comunissimo nelle sue varianti di Atina, Tina, nel nord Europa. Va segnalato inoltre che il nome proprio di persona Eithne faceva già parte dell’antichissima mitologia nordica, di quella irlandese in particolare, dove con questo nome viene indicata una ninfa figlia del re Balor, moglie dell’eroe celta Cian (Ciane è il nome della ninfa trasformata in fiume da Plutone, presso Siracusa). Con l’Irlanda Adrano condivide inoltre il simbolismo solare della spirale, incisa nei capitelli rinvenuti nel Mendolito. A Dowth, nei pressi di Dublino, è stato rinvenuto un tumulo funerario del 2500 a.C. con inciso nella roccia tre spirali disposti a triangolo. Anche tre illustri re Irlandesi si chiamarono Teuto (Tuathal in irlandese), mentre altri tre re irlandesi, vissuti dal XV al III sec. a.C., portarono il nome, a noi oltremodo familiare, di Enna Airgtheach, Enna Derg, Enna Aignech.
Molti nomi nordici, come per esempio quello di Andrea (An e odhr), che significa “potenza degli antenati”, venivano utilizzati sia per gli uomini che per le donne, poiché il significato di tali nomi era perfettamente compatibile con entrambi i sessi. Pure il nome Etna ricade molto probabilmente in questa regola grammaticale. Infatti esso ha il suo corrispettivo nel nome sumero Etana, antico re di Kis, la prima città sumera in cui fu introdotta la monarchia (i Sumeri, come dimostreremo nei successivi articoli, traevano le proprie radici etniche da un popolo affine a quello dei Sicani). Il re Etana non poteva avere figli e temeva, fino all’esasperazione, il fatto di non poter continuare né la stirpe né la dinastia regale; questo esagerato timore si giustifica però solo se si comprende il concetto romano e nord-europeo, dunque anche sicano e sumero, di “gentes” [2], inteso quale moto generazionale che procurava l’immortalità agli avi: i discendenti cioè, attraverso la propria nascita, garantivano l’immortalità degli Avi. Ora, il significato del nome Etana è “colui che invoca gli antenati al fine di concedere loro una progenie”. Infatti il nome risulta composto dai lessemi Et o hit, che in gotico significano invocare, e Ana col significato di nonna, antenata. Visto che il nome Etna o Aitna, in greco, non rappresenta altro che una variante sicana di quello sumero Etana, assieme alle varianti greca Atena, laziale Atina e germanica Tina, il nome della principessa avrebbe lo stesso significato già attribuito ad Etana, meglio traducibile con l’espressione: “colui che invoca una discendenza”. Etna dunque fu per suo padre Teuto l’incarnazione dell’invocazione stessa rivolta agli Avi, probabilmente all’Avo per antonomasia, al nonno (Ahn in tedesco moderno) di tutti i Sikani, o meglio al dio Odhr-ano (Adrano), il cui santuario egli custodiva nella propria città, Innessa, rivestendo il ruolo di principe e sacerdote, come era di dovere nelle antiche società indoeuropee. Come tutte le invocazioni fatte da uomini, aderenti a qualsivoglia religione, timorati di dio, se fatte con vera fede vengono accolte dal Dio o Avo protettore della stirpe, pure quella di Teuto venne accolta da Adhrano, l’Avo divinizzato dei Sikani\Sikuli. Ma la benedizione del dio sicano si spinse a manifestarsi oltre la carne e investì lo spirito se, ancora alla fine del IV sec. a.C., oltre due secoli dopo il principato del sovrano sicano nella città di Innessa\Etna\Adrano, sia Teuto, attraverso la scritta urbica del Mendolito, che sua figlia, immortalata nell’iconografia della ceramica adranita, vivevano nel ricordo e nei cuori della discendenza adranita, al punto da essere evocati quale simbolo della democrazia sicula contro i tiranni greci, nella feconda era adranita timoleontea.
A suffragare la tesi della reggenza della città da parte di una donna, Etna per l’appunto, in quell’arco di tempo precedente alla successiva rinominazione in Adrano, potremmo citare la presenza di un volto femminile nelle monete della zecca adranita. Il nostro concittadino e ardente patriota Reverendo Salvatore Petronio Russo, nell’affermare che Adrano ebbe una zecca di dodici monete, nel suo libro sulla storia di Adrano, dato alle stampe nel 1820, ebbe la diligenza di riportarne l’iconografia e le iscrizioni ivi incise. Su esse apparivano dei volti femminili che il Rev. Sacerdote identificava però con il volto delle dee Cerere e Proserpina, nonostante quelle monete portassero incisa chiaramente l’iscrizione che faceva riferimento alla nostra illustre principessa Etna. Dunque l’iscrizione Aitnion e il volto di donna incisi nella suddetta moneta, non possono che riferirsi a lei e il fatto che tali monete siano state rinvenute ad Adrano accresce le probabilità della bontà di tale tesi.
Anche la tesi, da noi già sostenuta, secondo la quale col termine Adranitani si indicavano i sacerdoti del dio, verrebbe confermata ulteriormente dalla presenza di un’altra moneta, nella quale è raffigurato da un lato, ancora una volta, il profilo di una donna e dall’altro il cavallo marino con la scritta ADRANITAN. Naturalmente, data per buona la tesi che la donna raffigurata sia Etna, la figlia di Teuto, e che il conio fosse stato effettuato prima del IV sec. a.C., ne deriverebbe che Adranitan non fosse riferito ai cittadini, visto che la città non si chiamava ancora Adrano ma Etna, ma appunto ai sacerdoti, quali evocatori, Hit o Heitan, della potenza o furore, Odhr, del dio Ano (Odhr – An(o) – Heitan). Ulteriore conferma giunge da un conio nel quale appare, nel dritto, la figura del dio in versione mistica, cioè col capo coronato d’alloro, e nel rovescio il toro, che era simbolo di Agrigento, con la scritta Adranitan (foto a lato); il fatto che la scritta si legga da destra verso sinistra significa che il conio venne fatto prima che la cittadina adottasse la scrittura greca, che invece si leggeva da sinistra verso destra, dunque prima della pseudo-fondazione di Dionigi, il quale in realtà si limitò ad attribuire alla città il nuovo nome di Adrano. Poiché il Toro ivi rappresentato era il simbolo di Agrigento e il cavallo marino, presente nella moneta di cui sopra, assieme ai delfini, creature marine, lo erano di Siracusa, è verosimile che le due medaglie fossero state coniate per sancire la lega anti-cartaginese, durante il principato di Terone in Agrigento e del grande Gelone a Siracusa, lega che portò alla celebre vittoria di Himera del 480 a.C., nella quale gli Etnei, futuri Adraniti, avrebbero dato un impulso eroico determinante per la vittoria sui Punici.
Le conferme in merito a quanto sostenuto sul termine Adranitan continuano. Un’ulteriore moneta raffigura da un lato una lira con la scritta Adranitan e dall’altro un volto di giovane uomo col capo cinto d’alloro, che il reverendo Petronio Russo identificò con il dio Apollo e noi riteniamo invece identificabile con il nostro dio locale Adrano, ritratto in versione mistica e non nella consueta versione guerriera. Lo testimonierebbe la presenza della lira, elemento presente anche in una iscrizione sumera cuneiforme, nella quale si fa riferimento alla lira del dio An\u; la lira era strumento utilizzato allora in funzione liturgica, al fine di esercitare, col suo suono melodico, una influenza estatica, spirituale, compatibile con il significato del verbo gotico Heitan, “invocare”. Del resto, se la scritta fosse stata riferita agli abitanti della città e non ai sacerdoti del dio sarebbe stata Adranoy piuttosto che Adranitan. È probabile perciò che queste due monete fossero state coniate in due particolari occasioni di pericolo scampato per la città, di cui i sacerdoti si presero il merito, avendo evocato (Heitan) l’intervento del dio. Una potrebbe essere stata quella dell’incursione perpetrata ai danni della città dall’infido tiranno greco Falaride, durante i preparativi di matrimonio della principessa sicana, come raccontato da Polieno, motivo per cui sulla moneta apparirebbe anche l’iscrizione del nome Aitnion; l’altro quello dell’assedio del tiranno Iceta nel 344 a.C., durante il quale si vide prima la statua del dio Adrano sudare e scuotere la lancia, poi vennero viste le porte del tempio spalancarsi, motivo per cui gli abitanti accolsero amichevolmente il generale greco Timoleonte e al suo fianco si resero protagonisti delle più belle pagine di storia non scritta della nostra città: la cacciata dei tiranni greci da tutte le città siciliane.
[1] Francesco Branchina: Adrano, dimora di dèi, nella storia del Mediterraneo greco, Ed. Simple
[2] Sul concetto di gentes e sull’affinità dei popoli Indoari vedasi l’ultimo libro di Francesco Branchina, La lunga notte. L’Occidente, i Veda e la trilogia delle “razze” umane, Edizioni Simple; in particolare si fa riferimento al cap. XV, Il Lazio e i Veda.