Una colossale mancanza di buonsenso in una fase in cui ne servirebbe a palate!
Detto (da Bossi), fatto: no all’Election Day del 6-7 giugno. I referendum sulla legge elettorale non si svolgeranno insieme ad amministrative ed europee, sconfessando, tra gli altri, il Presidente della Camera, Fini, che ieri affermava: «Sarebbe un peccato se, per paura di pochi, il governo rinunciasse a tenere la consultazione il 7 giugno risparmiando in tal modo centinaia di milioni».

Al di là della data in cui dovrebbe adesso tenersi il suddetto referendum (si parla del 21 giugno), proviamo a capire perché la Lega si è opposta con tutte le sue forze alla possibilità di accorpamento, minacciando addirittura di ritirare il proprio sostegno all’esecutivo. Proprio questa “minaccia”, non molto velata a dire la verità, ha fatto rompere gli indugi al Presidente del Consiglio, che ha di fatto accolto le istanze leghiste.

Il problema della data in cui votare un referendum è importante prima di tutto perché da essa dipende il raggiungimento del quorum e quindi la validità dell’esito del referendum stesso.

Nell’ipotesi di raggiungimento del quorum e di vittoria del “SI”, la Lega rischia di perdere seggi.
Nel dettaglio, il pezzo forte dei tre quesiti è l’assegnazione del premio di maggioranza: non più alla coalizione vincente (come avviene con la legge in vigore), ma alla lista che prende più voti. Verrebbe interrotto, in sostanza, il meccanismo delle alleanze, favorendo il partito di maggioranza relativa. Tant’è che il referendum propone di aumentare anche le soglie di sbarramento per accedere in Parlamento: 4 per cento alla Camera, 8 per cento al Senato. Per la Lega non sarebbe in gioco la propria sopravvivenza, ma il numero dei seggi e, di riflesso, il peso politico, attualmente notevole. Con pochi parlamentari, infatti, difficilmente riuscirebbe a trattare ad armi pari con il Pdl, qualora il centrodestra vincesse le elezioni con la legge referendaria.
Ecco perché i ministri leghisti hanno cercato e (sembra) ottenuto di dirottare il referendum su una data “scomoda”, con l’obiettivo di far saltare il quorum del 50% più uno, indispensabile per rendere valida la consultazione popolare.

L’altro problema concernente la data riguardava le implicazioni per le “casse” dello Stato. Far coincidere referendum ed elezioni europee avrebbe comportato un risparmio considerevole, possibilmente da utilizzare per il sostegno dei terremotati abruzzesi. Il ministro (leghista) dell’Interno si è affrettato a dire che il risparmio sarebbe stato di poco superiore ai 100 milioni piuttosto che ai 300/400 tirati in ballo dall’opposizione… Non credo tale affermazione meriti ulteriori commenti!

Concludo riportando una dichiarazione in merito dell’ex ministro Martino sulle pagine del quotidiano La Sicilia, che sottoscrivo in pieno.
Non importa se la stima di 400 milioni di euro di risparmi, da più parti considerata realistica, sia accurata o meno, è certo che il problema non si liquida dichiarando irresponsabilmente che non ne supera la metà. Anche solo il 25% di quella somma, 100 milioni, farebbe la differenza per il dramma dei terremotati oppure in altri campi.”
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