Antonio Rossitto su Panorama del 25 Novembre

C’è un detto siciliano che riassume l’attitudine al comando di don Raffaele da Grammichele: “Unni tocca, sconza”. Traduzione: “Dove tocca, distrugge”. Due anni e mezzo dopo la sua elezione, quattro giunte rocambolescamente ribaltate all’attivo, il governatore della Sicil più ia rischia di passare alla storia come il politico più sfascista della storia repubblicana.
Gli alleati, intanto: don Raffaele quelli li ha “sconzati” in modo irrimediabile. Per prima cosa, ha dato una sistematina al Pdl isolano, l’alleato con cui aveva plebiscitariamente vinto le elezioni nell’aprile del 2008. Strategia finissima, la sua. Da una parte, Lombardo ha solleticato gli istinti autonomisti di Gianfranco Miccichè, che annunciava a più riprese la nascita del Pdl Sicilia. Dall’altra, ha preso le distanze dal Pdl ufficiale: i “lealisti” che facevano riferimento al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Un anno di guerriglia più tardi, i vecchi soci sono tutti all’opposizione. E la spaccatura all’interno del Pdl è stata sancita dalla nascita del partito di Miccichè: Forza del Sud.
Don Raffaele, bontà sua, è riuscito però a “sconzare” pure l’Udc. Il leader Pier Ferdinando Casini, in cambio dell’appoggio al governo siciliano, ha ricevuto in dote i cinque deputati e i tre senatori dell’Mpa. Identica operazione ha fatto Gianfranco Fini con i suoi futuristi. Così Lombardo è ora tra i padri fondatori dell’astro nascente della politica italiana: il terzo polo. Un nuovo cartello che poco hanno gradito i tre pesi massimi elettorali dell’Udc nell’isola: il senatore Totò Cuffaro, Calogero Mannino e l’europarlamentare Saverio Romano. Il loro nuovo partito si chiama Pid: Popolari per l’Italia di domani.
Le scissioni all’interno dell’Udc e del Pdl erano però effetti voluti e consapevoli. Corollario non voluto del divide et impera lombardiano è stato invece quello di “sconzare” massimamente il suo nuovo alleato: il Pd. Per i democratici le paturnie crescono di ora in ora. Hanno siglato l’inedita alleanza con il nemico di sempre appena due mesi fa. E adesso si ritrovano accanto a un governatore che, scrivono i magistrati, avrebbe solidi e duraturi rapporti con i mafiosi. Seccante. Soprattutto per un partito che vorrebbe fare della lotta alla criminalità una bandiera. I senatori Ignazio Marino ed Enzo Bianco chiedono di ritirare l’appoggio al presidente. Di parere opposto è il loro collega Giuseppe Lumia, alfiere del lombardismo e suo garante a sinistra.
Ha fatto però di peggio, don Raffaele: ha “sconzato” persino il fronte delle vittime della mafia. Bernardo Mattarella, figlio del politico Piersanti e consigliere regionale del Pd, da sempre avversa il fondatore dell’Mpa. Mentre Caterina Chinnici, figlia del magistrato Rocco, resta silente assessore alla Funzione pubblica della giunta Lombardo.
Sullo stesso versante, il governatore rischia di “sconzare” intere famiglie. Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo ed europarlamentare pieddina, invoca la fine del patto scellerato. Invece sua nipote Lucia, figlia del giudice ucciso dalla mafia, è a capo di un ufficio tecnico alle dirette dipendenze dell’assessorato alla Sanità siciliano. Quello giudato da un ex magistrato della Dda di Palermo, Massimo Russo. Dal 1991 al 1994, era stato pm a Marsala: proprio al fianco di Borsellino, che dirigeva l’ufficio. Nel suo caso, quindi, quella definitivamente “sconzata” sarebbe la memoria.
Accidente mnemonico capitato pure al suo segretario particolare, Carlo Maiorca. Che per anni ha avuto lo stesso ruolo nel palazzo di giustizia palermitano: uomo di fiducia di procuratori come Gian Carlo Caselli, storico imbastitore di processo a politici sospettati di collusioni con Cosa nostra, e Piero Grasso, adesso alla guida della Procura nazionale antimafia.
Partiti, politica, paladini della lotta ai boss, famiglie di eroi nazionali: Lombardo ha sfasciato tutto. Ora le sue sorti sono appese all’inchiesta della magistratura catanese. Divisa su chi vorrebbe provvedimenti contro il presidente, come l’aggiunto Giuseppe Gennaro, e chi invece evoca cautela, come il procuratore Vincenzo D’Agata. Perchè don Raffaele è riuscito pure in questo: “sconzare” i magistrati che lo indagano.
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