«Ma non è che ora fa come quello lì della Germanwings? ». Sì, è uno spettacolo mozzafiato, il mare di Cefalù. È lì, sulla destra, dal finestrino, quando la corsa si ferma.
Nell’autobus serpeggia il panico.
«Che cosa è successo? È venuto giù un altro pezzo di autostrada? », si chiede Michele, giovane e brillante laureato con uno splendido avvenire alle spalle in un call center palermitano. Tutto può essere, nel Regno delle due Sicilie, due isole isolate nell’isolitudine di piloni tremanti e di frane incombenti.
Ma stavolta – alle 17,23 del primo giorno di ordinaria follia sull’asfalto, accanto ai pendolari “orfani” dell’autostrada Catania-Palermo – è un falso allarme. Nessun crollo, niente interruzioni. Non è un problema idrogeologico, semmai “idraulico”.
Per intenderci: l’autista, dopo più di tre ore e mezza di viaggio, accosta in una piazzola. E si chiude nel bagno interno del bus.
Fa pipì.
A qualcuno scappa un timido accenno d’applauso quando il nostro “eroe” torna al suo posto. Non è Schettino, non c’è bisogno di qualcuno che gli dica «Salga a bordo, c… ». Già perché questa non è la Concordia.
Benvenuti a bordo. Del Catania-Palermo. «Quello delle due». L’autobus rosso fuoco della Sais, che da ieri fa un percorso “creativo” (ma obbligato) per collegare le due città, dribblando l’interruzione sulla A19. Gli autobus, come tutti i mezzi da 15 metri in su, non possono sostenere le deviazioni sull’A19. E allora che si fa? Il periplo dell’Isola. Da Catania a Messina, per arrivare a Palermo, attraverso la A20. Un bus, due autostrade al prezzo di una, tre città metropolitane, una trentina di passeggeri. Rassegnati, obbligati, quasi addormentati.
Pronti, via.
Sono le 14,04 quando si parte dal capolinea all’angolo fra viale Libertà e via Archimede, alle spalle della stazione. E incontriamo un compagno di viaggio scelto dal destino e dalla complicità: Rosario Faraci, docente dell’Università di Catania. Ma che fa, prof, un test dal vivo sui danni economici alla Sicilia spaccata a metà dal pilone della vergogna? «No, vado a Palermo con Aldo Missale, già direttore del Capitt di cui sono presidente. A Palermo c’è un convegno sul progetto fra le tre università e i distretti. Ci saranno l’assessore, i dirigenti, gli studenti premiati con le borse… Non potevamo mancare».
Giusto, sacrosanto.
Ma c’è un costo nascosto di questo neo-pendolarismo accademico: «Ho dovuto rinviare gli esami programmati per domani (oggi, ndr) pomeriggio alle 16. Forse gli esaminandi saranno contenti, io meno». Ed è un danno minore, rispetto a quello che l’autostrada interrotta provoca nella vita di una giovane docente di Adrano. «Insegno a Bagheria, non potrò più fare la pendolare giorno dopo giorno, come prima. Da tre ore a quattro ore e mezza a tratta: dovrò trovare sistemazione lì». Nessuno, sia chiaro, le pagherà l’affitto.
Ma non c’è alternativa.
Tappa all’aeroporto Fontanarossa. Un’altra decina di passeggeri in più. E si riparte. Destinazione… Catania. Sì, perché per prendere l’A18 si rientra in città, attraversando parte nel centro e uscire dal raccordo tramite via Vincenzo Giuffrida. Alle 14,39 al casello di San Gregorio. Quasi 40 minuti di gioco dell’oca per tornare alla casella di partenza. Mentre arrivano notizie fantozziane: «Il bus partito alle dieci e mezza da Palermo è arrivato ora ora». Ce la faremo anche noi?
La Catania-Messina è un percorso di guerra, fra restringimenti, buche e gallerie al buio. Ed è una magra consolazione l’insolita “cartolina” di Taormina vista da chi deve andare a Palermo. La Perla dello Jonio passa quasi inosservata, nei sedili dove regnano distrazione e rassegnazione. C’è chi dorme, chi legge, chi sfoglia il tablet, chi smanetta con lo smartphone. Girano le foto ironiche, sul web. Dal “cchiu piloni ppi tutti” al viadotto dell’Ikea, passando dalle rotatorie insulari fino al volo Ryanair Catania-Palermo svenduto a 13 euro.
Ridiamo per non piangere.
Anche perché alle 15,28 siamo ancora a Messina. Un’altra tangenziale, un’altra speranza. La mancanza. Di un’hostess che ci serva uno snack: «Dolce o salato? ». Niente da fare.
Si cambia mare: il Tirreno. Si cambia autostrada: la Messina-Palermo. Una turista spagnola, salita all’aeroporto di Catania, si inginocchia sul sedile e scatta foto a raffica. In effetti, a pensarci bene, questo bus è il “bignamino” delle bellezze della Sicilia. Abbiamo visto (due volte!) Catania, ammirato l’Etna, la costa jonica. E adesso si apre un altro scrigno. I Nebrodi da un lato, le Eolie dall’altro. Faraci cinguetta un’idea geniale: #inuoviviaggidigoethe e il Grand Tour costa 15 euro e 20 centesimi. Un affarone per i turisti. Un salasso per i pendolari. Anche se – ci fanno notare – il nuovo percorso significa aggiungere 50 euro di pedaggi e 70 litri di carburante, in soldoni quasi 200 euro in più a corsa, «e il biglietto per ora è invariato». Per ora.
I piloni, i maledetti piloni. Geometrie sicule, che degradano sul mare. A Cefalù la cefalea impera. «Il presidente dell’Anas, Ciucci, si dimette». La notizia non ha l’effetto analgesico sperato. «Un minuto di silenzio per festeggiare? ». No, meglio un minuto di sonno in più. Manca un quarto d’ora alle 18 e s’intravvede Palermo. In lontananza. Faraci appallottola un appunto: “A18+A20=A19”, l’equazione del giorno. Sempre docente di Economia resta: «Forse a tutti non è chiaro il danno economico che subirà la Sicilia in poche settimane. Non è allarmismo gratuito, è la triste realtà. Gli stessi albergatori forse non hanno colto la gravità della cosa. A Palermo in hotel non sapevano dell’allungamento del percorso. La Sicilia ora è veramente spaccata in due. Penso a come cambierà la logistica delle aziende e dei trasporti in poche settimane. Il treno potrà risolvere il problema del trasporto persone, ma le merci? ».
L’interrogativo resta sospeso. Alle 18,24 siamo alla stazione di Palermo, saltando la storica fermata di via Oreto. Il tttraffico di johnnystecchiniana memoria sembra concedere una tregua. Ha pietà di noi. Benvenuti a Palermo. Siamo arrivati. In quattro ore e 20 minuti. Con un quarto d’ora in più si fa Roma-Milano andata e ritorno. In Freccia Rossa.
Ma quella Italia è. Non è la Sicilia.
Non fa più fermate neanche per pisciare, si va dritti a casa senza più pensare.
Ma quello De Gregori è. Non è l’autista della Sais.

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Mario Barresi